Minacciato “lo shutdown” in Usa, Biden attacca “i repubblicani estremisti”
Lo scontro sul bilancio è prassi consolidata in Usa, ma questa volta non può esserci compromesso con quei repubblicani che vogliono l’Ucraina fuori dalla Nato e non sostenuta.
Gianvito Pugliese
E’ stato davvero difficile questa mattina, dopo aver letto l’articolo dell’agenzia giornalistica AGI, relativo all’argomento oggetto di questo editoriale ed averci ragionato sopra, resistere alla tentazione di tuffarsi nell’argomentare, che francamente mi stuzzica davvero parecchio.
Ma l’insegnamento del grande Michele Campione, il giornalista di Puglia come titola il premio omonimo che l’Ordine dei giornalisti di Puglia ha voluto creare per ricordarlo, o quanto meno i suoi principi fondamentali, sono talmente radicati in me da non permettere di ignorarli consapevolmente,
Dunque, certo, prima il fatto e con lo stesso la semplificazione delle parole straniere o desuete, senza mai dimenticare di fare la stessa cosa dinanzi agli acronimi. Tra gli obblighi del giornalista col suo lettore, oltre ovviamente di dire sempre e solo la verità, almeno come ciascuno di noi la percepisce, c’è quello di esemplificare e rendere la lettura scorrevole e gradevole.
Michele spiegava: “Devi mettere in condizione di capire il tuo articolo anche un astronauta (uomo o donna che sia) appena sbarcato dalla luna, quindi breve riassunto dell’antefatto, racconto del fatto e, quindi, il tuo parere. Ma comunque il lettore deve essere libero di pensarla diversamente da te senza per questo sentirsi sminuito“. Era l’epoca ovviamente in cui gli astronauti erano praticamente isolati dal mondo durante la navigazione. Spero di averlo parafrasato in modo quantomeno puntuale. Chiudo la parentesi, scusandomi di essermi ripetuto, ma l’orgoglio di venire da quella scuola ed aver avuto tale Maestro è davvero immenso.
Partiamo dunque dalla parola “Shutdown” contenuta nel titolo. E’ “Il blocco delle attività amministrative negli Stati Uniti d’America (in lingua inglese chiamato government shutdown) è la particolare procedura del governo federale degli Stati Uniti d’America che coinvolge il settore esecutivo ogni qual volta il Congresso non riesce ad approvare la legge di bilancio” Più sinteticamente Wikipedia, facendo riferimento agli effetti pratici, lo definisce “Blocco delle attività amministrative negli Stati Uniti d’America”.
Passiamo al fatto. Gli Stati Uniti sono abituati allo scontro all’ultimo sangue tra democratici e repubblicani sul bilancio, con un compromesso sempre raggiunto in zona Cesarini (scusate il termine calcistico per definire l’ultimo momento o in extremis). Il mancato accordo comporterebbe la paralisi amministrativa e tutto sommato, a conti fatti, nessuno si vuol prendere la responsabilità politica di averla provocata. Sarebbe una Waterloo politica, perché gli americani in massa non gli perdonerebbero il dannosissimo misfatto e alle elezioni pareggerebbero i conti.
Ma questa volta lo strappo e la distanza tra i due schieramenti appare incolmabile. Il Pomo della discordia è rappresentato principalmente dagli aiuti a Kiev, con De Santis, governatore repubblicano della Florida, che dice no all’Ucraina nella Nato.
Ergo Joe Biden lancia l’accusa ad “un piccolo gruppo di estremisti repubblicani” di volere un impasse per bloccare il bilancio a una settimana dalla sua chiusura. Chiede ai parlamentari di rimediare. Il Presidente americano ci ha tenuto a precisare che “lui e il capo dei repubblicani alla Camera, Kevin McCarty, avevano precedentemente concordato i livelli di spesa pubblica” ma “ora un piccolo gruppo di repubblicani estremisti non vuole essere all’altezza dell’accordo, quindi ora in America tutti potrebbero essere costretti a pagarne il prezzo”.
I parlamentari della Camera dei rappresentanti ed del Senato hanno solo cinque giorni, fino al 30 settembre, per raggiungere l’accordo e non paralizzare i servizi governativi. Biden ha aggiunto: “Il finanziamento del Governo è una delle responsabilità basilari del Congresso, è ora che i repubblicani inizino a fare il lavoro per cui gli americani li hanno eletti“.
La Casa Bianca vuole nella legge di bilancio 24 miliardi di dollari di aiuti militari e umanitari a Kiev, ma una corrente repubblicana minoritaria alla Camera si oppone ad oltranza al piano sostenuto, tanto dai democratici, che dalla maggioranza dei repubblicani stessi.
Come se non bastasse tuona sul sostegno all’Ucraina Ron De Santis, governatore repubblicano della Florida, che punta alla nomina alle elezioni presidenziali del 2024. Lo stesso De Santis: “Non penso che l’adesione dell’Ucraina alla Nato sia nel nostro interesse, aggiungerebbe più obblighi per noi, quindi se aggiungi più obblighi, allora quali sono i benefici che ne otterremo“?
Questo accade due giorni dopo che Joe Biden ha incontrato Volodymyr Zelensky. Biden ha garantito un nuovo pacchetto di aiuti anche militari per Kiev. Zelensky a Washington è stato accolto tiepidamente, ed al Congresso l’ala destra dei Repubblicani, è sempre più contraria all’appoggio di Kiev da parte di Washington.
Che significato ha questa tensione senza presedenti? Quali sono i possibili retroscena? Perchè Ron De Santis diventa improvvisamente tanto temerario? Proviamo a dare una risposta.
Fino ad oggi la posizione dura, ai limiti della pesante volgarità nei confronti di Biden e l’Ucraina era stato monopolio di Donald Trump, che più viene scalfito da scandali e rinvii a giudizio, più diventa minaccioso ed estremista. Se ne parla poco, ma della dipendenza di Trump da Vladimir Putin sanno, se non tutti, davvero moltissimi. Ne dedicai un pezzo, che vi invito a rileggere, quando i fatti emersero.
Ron De Santis, non è un mistero, mira nelle primarie repubblicane a scalzare Trump dalla possibilità di competere nuovamente con Biden per la conquista della White House (Casa Bianca).
Mi domando: De Santis vuol semplicemente togliere a Trump l’esclusiva di un atteggiamento contrario al sostegno all’Ucraina? Non dimentichiamo che Trump ripete come un disco scassato: “Se fossi stato io Presidente la guerra in Ucraina non sarebbe mai cominciata. E da Presidente la farei finire in tre giorni“. Che qualche cretino ci creda è possibile, come pure che De Santis non voglia lasciare a Trump neanche quelle poche chances. Ma c’è un’altra ipotesi che non scarterei a priori, per quanto difficile da credere.
E se il Cremlino, abituato a non fidarsi mai di nessuno, avesse optato per conquistare un secondo uomo forte in America? Non dimentichiamo che la Russia interferì sulle elezioni che videro vincitore Trump e sconfitta la Clinton, che pur aveva ottenuto più voti dell’avversario. Emersero hackeraggi russi sulle email della Clinton. Ma denaro russo investito su Trump e voti comprati non sono facili da provare, soprattutto quando il beneficiato, divenuto Presidente, pone pesanti veti alle indagini.
L’inguaiatissimo Putin, la guerra con l’Ucraina si sta mettendo proprio male, potrebbe voler puntare anche su un altro cavallo? E tra le condizioni per ottenere l’appoggio russo non sarebbe illogico chiedere a De Santis di bloccare gli aiuti Usa all’Ucraina.
Non ho certezze in proposito, non sono il Mossad, ma più ci ragiono su, più mi rendo conto che non è un’ipotesi da film di fantascienza. Senza peraltro dimenticare che le “fantasie” di Jules Verne si sono rivelare profetiche.
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