Il caffè con il lettore
La decapitazione di un docente che aveva mostrato foto di Maometto e la condanna di alcuni suoi allievi motivo per riflettere a fondo
Gianvito Pugliese
Oggi caffè in ritardo, carissime/i ospiti, ho dovuto decalcificare la macchina del caffè, che da un paio di giorni esponeva il messaggio con la richiesta di specifica. Poi, ovviamente, sciacquare bene più volte, per non farvi bere residui di calcare distaccato o di anticalcare.
Andiamo senza indugi all’argomento della nostra riflessione odierna. Il fatto: un Tribunale minorile francese ha condannato sei giovani studenti per il ruolo avuto nella decapitazione del loro insegnante.
Samuel Paty, questo il nome del docente che fu ucciso nel 20200, mediante decapitazione a pochi passi dall’ingresso della scuola in cui insegnava.
Il professore fu assassinato per aver mostrato alla sua classe alcune vignette che avevano come soggetto il profeta Maometto durante una lezione dedicata alla libertà di espressione.
L’aggressore, un giovane ceceno radicalizzato, estraneo all’istituto scolastico, fu ucciso dalla polizia francese, prontamente accorsa sul luogo della tragedia.
Il tribunale ha condannato cinque degli imputati, di età compresa tra i 14 ed i 15 anni all’epoca dell’attentato, ritenendoli colpevoli di aver seguito le mosse del docente ed averle segnalate all’aggressore.
Condannato pure un imputato, 13enne all’epoca della tragedia, accusato di aver mentito sui social circa le modalità del dibattito in classe. così causando la rabbia dell’aggressore nei confronti del docente.
A tutti i minori sono state inflitte pene detentive brevi, e comunque sospese. I giovani condannati hanno dichiarato alla stampa, presente in forza all’udienza di condanna, di ignorare l’intenzione del ceceno di uccidere il loro insegnante.
Fin qui in breve, ma esaustiva sintesi, lo svolgimento dei fatti. Ora provo, anzi proviamo insieme, cari ospiti, a ragionare.
Ai genitori, non tutti per carità e per fortuna, ma molti, troppi manca di aver dato ai loro figli un’educazione seria e di averli aiutati a maturare. I tempi dell’attuale modo si vivere sono inspiegabilmente stressanti e rendono quasi nullo il rapporto genitore-figlio.
Dicevo inspiegabilmente perchè il progresso tecnologico ci da in teoria molto più tempo a nostra disposizione, ma ecco spuntare una società superficiale che se non sei tonico e palestrato non sei nulla, se non vai a giocare a calcetto con gli amici ti bolla come asociale e complice la società dei consumi, divide le strade di genitori e figli, impegnati in attività ludiche e sociali totalmente differenti. Alla fine si diventa quasi degli estranei che, quando va bene, condividono il desco. Ma attenti, sono seduti alla stessa tavola, ma le rispettive diete impongono loro di consumare cibi differenti e, quanto al dialogo, non ne parliamo. Tutti, infatti, a tavola con telefonino, che ci offre dialoghi farlocchi sulle migliaia di chat disponibili.
Il massimo della conversazione è lo scambio tra i commensali di post ritenuti interessanti. Cresce così, più fisicamente che altro, uno o più figli senza una guida, senza un esempio, senza neanche un’educazione vera. E costoro affronteranno i fatti della vita come ci suggerisce di viverla il novello guru del terzo millennio: l’influencer. Chi è generalmente costui o costei? Un nulla facente, attaccato ai social dalla mattina alla sera, che totalizzando like in quantità ha trovato modo di campare alla grande. La sua forza? La totale ignoranza di tutto, che lo porta a risposte di una banalità incredibile. Ma è proprio l’assenza del sapere che il suo cliente vuole ed adora. Si può, così, identificare totalmente in quella risposta del suo modello esistenziale e ciò soddisfa il suo ego oltre l’immaginabile.
Poi il povero professore spiega la libertà di espressione. Parla difficile, tecnicamente, non interessa, dunque, accusarlo su un social di anti islamismo diventa un bel gioco ed il ceceno radicalizzato non fa paura, ma ci ricorda tanto l’eroe del videogioco di moda dove più teste mozzi più sei fico.
La domanda che mi pongo e, mi sembra di capire che condividete tutti o quasi, è: “ma questi chi li addrizza”? Naturalmente non i nonni, capacissimi e con il tempo a disposizione e la vocazione per farlo. Come si fa? Li abbiamo parcheggiati, in attesa della chiamata finale. nella Rsa -Residenza sanitaria assistita, che magari si rivelerà peggio di un lager, come la cronaca ci racconta quotidianamente.
Amo il progresso, ma questo è solo regresso, culturale, morale e sociale. Dio ci aiuti, perché noi non ne siamo capaci.
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