Il caffè con il lettore

La maledizione dei pieni poteri nella storia della politica italiana. Come è andata e come andrà

Gianvito Pugliese

Per una volta lasciatemi proporvi un sogno irrealizzabile, vorrei vestire i panni del divino Otelma e, dopo aver raccontato la storia italiana dei “pieni poteri”, avventurarmi in una predizione per il prossimo futuro, neanche troppo lontano. Scherzo, non serve la sfera magica di cristallo, più utile ai raggiri che alle previsioni, conoscere bene la storia, in realtà ci consente di prevedere, con un minimo margine di errore, quanto accadrà in futuro, a meno che Giambattista Vico, nei suoi “Corsi e ricorsi storici”, non abbia detto una colossale sciocchezza, affermando che “la storia si ripete“. Sarà, ma per me l’affermazione di Vico e la sua filosofia sono Vangelo.

Permettetemi, oggi di scatenarmi in volo libero o meglio, immaginando di star guardando una pellicola, in un flash back, mettendo per una volta da parte il rigido rispetto della successione temporale.

Parto, dunque, dal caso Matteo Salvini, datato 2019. A luglio di quell’anno il leader della Lega era vicepresidente del Consiglio e ministro degli Interni nel Conte I. Cominciò ad accarezzare l’idea dei “pieni poteri” e a non farne mistero. Così, chiese a Conte di farsi da parte per permettergli di diventare, forte di un 35% ottenuto dalla Lega alle europee di qualche mese prima, primo ministro e chiedere agli Italiani “i pieni poteri”, eterna “fissa” di nazionalisti, sovranisti e dittatori.

Conte, abilmente smascherò l’inaffidabilità di Salvini in un memorabile discorso in Parlamento (l’unico, che io ricordi, di un qualche livello del leader pentastellato), e Salvini, che dalla crisi di governo non ottenne le elezioni anticipate, si trovò di fronte al riaffidamento a Conte dell’incarico di formare il governo. Incarico che condusse al Conte II. Primo risultato: Salvini da vice presidente e ministro, in due mesi scarsi, si ritrovò parlamentare, con un pugno di mosche in mano. Provò a reagire da bellicoso, qual’è, e dal 35% ora si ritrova, dopo un precipizio nel baratro del gradimento degli elettori, a percentuali ad una cifra e gioisce quando mantiene il nove scarso. Inutile infierire, anche se lui lo fa spesso e volentieri, commentando come gli è andata.

Torniamo indietro, Mussolini col movimento, da lui fondato a marzo del 1919 e trasformato nel 1921 in Partito Nazionale Fascista, il 28 ottobre dello stesso anno, con la marcia su Roma, avviò la conquista del potere. Il re Vittorio Emanuele III, al rifiuto di Antonio Salandra di formare un nuovo governo, il 30 ottobre 1922 affidò il compito a Benito Mussolini, che il 16 novembre presentò alla camera la lista dei ministri. Presto l’ambizione, male comune a tutti i dittatori, lo portò a pronunziare il famoso discorso del bivacco (“Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli…”) che concluse chiedendo i pieni poteri, che ottenne con legge 3 dic. 1922 n.1601. Un errore storico che costò agli Italiani, oltre che un ventennio di dittatura, anche una guerra civile tra i sostenitori della Repubblica di Salò (Italia settentrionale in mano alle truppe tedesche di Adolf Hitler) e quelli dell’Italia libera (Italia meridionale liberata dal nazi-fascismo grazie allo sbarco e l’avanzata, fino alla linea gotica, degli alleati). Una guerra fratricida che costò all’Italia un flagello di morti, in prevalenza giovani. Liberarsi dai tiranni costa sempre molto, troppo sangue.

Benito Mussolini morì il 28 aprile 1945 a Giulino, frazione del comune  di  Tremezzina, in provincia di Como, dove fu ucciso a colpi di  arma da fuoco, insieme all’amante Clara Petacci, mentre travestito da soldato tedesco, in un camion carico di soldati del “Terzo Reich”, cercava di raggiungere la Germania ed il suo amico e protettore Adolf Hitler. Una fine decisamente ingloriosa per un politico che nell’immagine del possente ed atletico macho aveva fondato il suo potere e la sua gloria.

Cosi dai festeggiamenti di quel 3 dicembre del ’22 il cerchio si chiude il 28 aprile di ventitré anni dopo, con la morte durante la fuga e l’esposizione del suo cadavere, appeso a testa in giù, cosa francamente riprovevole, ma comprensibile alla luce dei tanti morti ammazzati con esecuzioni sommarie per mano dei nazifascisti. In questo caso i pieni poteri, che segnarono l’avvio del regime dittatoriale, sono costati molto di più, di quanto accaduto al capitano (de che?) Matteo Salvini.

Abbiamo visto il sovranista ed il dittatore, non ci resta che il /la nazionalista.

Si carissime/i ospiti del caffè, per una volta di prima mattina, come si conviene, avete indovinato, si tratta di Giorgia Meloni, l’attuale primo ministro italiano. Non per spegnere il vostro entusiasmo e la soddisfazione, ma non è che ci volesse poi molto a capirlo.

Dobbiamo riconoscerlo, non è che, come talvolta ho sostenuto anch’io, sia talmente incolta, oddio colta non è, da non sapere che la storia si ripete. Magari, non sa che a dare ad un detto popolare la dignità di pensiero filosofico sia stato il nostro Vico, come dubito sappia che l’altro noto detto, che lo ha preceduto di quasi un secolo, “il fine giustifica i mezzi”, fu coniato da Niccolò Macchiavelli, solo in apparenza per consigliare e giustificare il Principe. In realtà era stato coniato allo scopo di metterlo a nudo dinanzi ai suoi sudditi, e quando il re o il principe, appaiono nudi, il loro potere di dissolve come neve al sole.

La verità è che “i pieni poteri” sono nel dna di dittatori, ma anche di nazionalisti e sovranisti, che gira e rigira mal sopportano la democrazia e tutti i lacci e lacciuoli a questa strettamente legati e connessi.

Vogliono governate indisturbati, non rendere conto ad altri che ai manipolabilissimi elettori, da tenere in uno stato d’incultura peggiore della loro. Altrimenti come fai a controllarli facilmente e fargli credere che l’asino vola?

Se la Meloni non contasse nel livello pietoso di sottocultura della sua base elettorale, passata, presente e futura, non avrebbe mai osato dire, come ha fatto, rispondendo ad una delle prime domande della conferenza stampa del 4 gennaio, che la crescita italiana è la più alta in Europa, laddove tutti sappiamo che quella del nostro Paese è stimata intorno allo 0,6/7% mentre la media europea si aggira intorno al 3,7 per quest’anno ed al 6,1 per l’anno successivo.

E non dimentichiamo che presentando Aruja, quell’altro campione di cultura, che risponde al nome di Giovanni Donzelli, ha affermato che con la Meloni la disoccupazione è “praticamente scomparsa”. E la Giorgia nazionale si è guardata bene dal correggerlo. E’ una dichiarazione non solo falsa, ma ridicola. Chiunque sa che i disoccupati sono oltre due milioni (dato Istat 2023), che i sottooccupati, quelli occupati da poche ore al giorno a poche ore a settimana o mese, tantissimi di più e gli inattivi parecchio più numerosi. Se gli occupati sono il 61,8%, compresi quelli a tempo parziale, è evidente che Donzelli mente, non solo spudoratamente, ma anche con scarsissima intelligenza, si tratta, infatti, di una bugia che ha le gambe cortissime. E la premier in pectore (cioè, che vorrebbe esserlo, ma non lo è) si guarda bene dal smentirlo, con ciò rendendosi complice di quel comportamento. Evidentemente anche lei, come Donzelli e compagnia cantante ritiene gli elettori dei deficienti matricolati.

In realtà dittatori, sovranisti e nazionalisti sono accomunati dal modo di pensare del Marchese del Grillo: “perchè io so io, e voi non siete un…”

La Meloni non fa mistero di aspirare ad una riforma della costituzione che consenta l’elezione diretta del presidente del consiglio, che dalla legittimazione popolare e non parlamentare, come oggi, acquista un potere maggiore e sproporzionato, che fa saltare all’aria l’architettura costituzionale dell’equilibrio tra i poteri, giudiziario (la magistratura), legislativo (il Parlamento) ed esecutivo (il governo). Due le principali menzogne che accompagnato questa proposta. Primo: “I poteri del Capo dello Stato rimangono intatti”. FALSO Più che dimezzati, non propone più al parlamento il primo ministro e non dispone lo scioglimento delle camere. Il premier è eletto direttamente e può tranquillamente ignorare totalmente il Capo dello stato. Secondo: “Il premierato garantisce la stabilità”! FALSO in Inghilterra, dove vige da sempre il premierato, in circa due mesi si sono avvicendati tre primi ministri al 10 Downing Street,

La storia è sempre la stessa, All’elettorato posso dire tutte le bugie e sciocchezze che mi fa comodo che si bevano, tanto sono disinformati, un po’ perchè viviamo in una società dove l’informazione e la lettura sono di pochi, mentre la maggioranza viene inebetita da trasmissioni televisive che con la cultura non c’entrano assolutamente nulla ed ora si è aggiunta la disinformazione da social, semplicemente terrificante. Vedi i no-vax, pezzo consistente dell’elettorato della nostra cara Meloni. Cara nel senso che costa. Non so ancora se oggi o domani pubblicheremo i costi per gli italiani dello staff Meloni, mai visti di così alti.

E giusto per completare il discordo a tv e social. dobbiamo aggiungere la troika dei giornali di destra che contano, dove una notizia non manipolata ad uso e consumo del padrone, non si pubblica neanche per sbaglio.

Intendiamoci non è che i giornali dell’altra sponda siano tanto diversi.

In mezzo ai due fuochi la stampa libera che muore o è in agonia per mancanza di fondi a differenza dei primi che navigano decisamente nell’oro.

La Meloni ha tratto frutto, ma solo in parte dall’esperienza referendaria di Matteo Renzi, che giurò di ritirarsi dalla politica se avesse perso i referendum, fu sconfitto su tutta la linea e dalla politica non si è mai ritirato.

Giorgia Meloni più prudente, ha già detto che se perde resta inchiodata alla sua poltrona, neanche una verifica elettorale prevede, anzi la allontana più che può. Ciò che la Meloni non arriva a pensare, né l’aiutano coloro che dovrebbero sapere per consigliare e sono assolutamente mediocri, è che, a fronte di scalate vertiginose al potere, le cadute sono ancor più repentine e precipitose, E’ accaduto a Renzi, a Salvini, a Conte, solo per citare gli ultimi tre politici, Draghi è un tecnico è non fa testo. Ma ancor peggio è che quando vieni palesemente sconfitta, come avverrà al referendum se ci si dovesse arrivare, la caduta a seguire è inevitabile ed inarrestabile. Già ora una discesa si nota.

Uno per tutti. Renzi aveva portato il Pd ad oltre il 40% ed ora fa il leader di un partito, Italia Viva, del 3% scarso. E più passa il tempo più il rischio che l’elettorato sappia aumenta. Signore/i, dati Bankitalia; debito pubblico al 15.9.2023 (ad un anno dal Governo Meloni) 2,858,6 miliardi., ad un anno prima all’insediamento 2,742. Differenza 116,6 miliardi. E quali grandi opere e riforme messe in campo o realizzate? Zero. Mancette elettorali, invece, tante, troppe; sono quella differenza che pagheremo noi, i nostri figli ed i nostri nipoti.

Sono di questi giorni i tagli alla sanità, alla scuola, alla cultura, ai servizi sociali. Si va smantellando, a colpi di mano, provvedimenti e riforme blindate, lo stato sociale, le conquiste dei cittadini e restaurando un potere che favorisce solo i propri grandi finanziatori.

Gli italiani non sono portati per le rivoluzioni, ma l’economia si e sarà l’economia del Paese, mortificata da una politica da orticello improduttivo, che ne segnerà la fine. Non me l’aspetto da altre fonti, tanto ormai gli inquisiti ed i rinviati a giudizio nel governo non si contano. ma non fa più scandalo, e prova a rimediare Salvini, che propone un “ridimensionamento della Severino”. Mi sa che fra non molto ci saranno i punti qualità per il governo, attribuiti dal congruo numero di inquisiti, sottoposti a giudizio, ed il top si raggiungerà contando i condannati.

Era un argomento francamente difficile, trattato di sfuggita più volte; inevitabile parlare della nostra vita, ma come al solito il nostro caffè … in realtà la nostra discussione porta sempre a conclusioni nuove e più elaborate. Buona Domenica. A domani.

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