Kablin Gibran
I figli
Gianvito Pugliese
I figli
I vostri figli non sono figli vostri.
Sono i figli e le figlie del desiderio che la vita ha di sé stessa.
Essi non provengono da voi, ma attraverso di voi.
E sebbene stiano con voi, non vi appartengono.
Potete dar loro tutto il vostro amore, ma non i vostri pensieri.
Perché essi hanno i propri pensieri.
Potete offrire dimora ai loro corpi, ma non alle loro anime.
Perché le loro anime abitano la casa del domani, che voi non potete visitare, neppure nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di essere simili a loro, ma non cercare di renderli simili a voi.
Perché la vita non torna indietro e non si ferma a ieri.
Voi siete gli archi dai quali i vostri figli, come frecce viventi, sono scoccati.
L’Arciere vede il bersaglio sul percorso dell’infinito, e con la Sua forza vi piega affinché le Sue frecce vadano veloci e lontane.
Lasciatevi piegare con gioia dalla mano dell’Arciere.
Poiché così come ama la freccia che scocca, così Egli ama anche l’arco che sta saldo.
Kablin Gibran
Non so, francamente quanto abbia inciso nella sua poetica il suo essere nato libanese, diverrà poi naturalizzato statunitense, o quanto abbia inciso essere di religione cristiano-maronita. Quello che credo sia estremamente vero e che le sue poesie, tradotte in più di venti lingue, risentono del suo desiderio insopprimibile di fondere la civiltà occidentale e quella orientale. E sarà per questo che Gibram, vissuto tra il 1883 ed il 1931 divenne un mito per i giovani dell’epoca e le sue raccolte considerate breviari mistici.
Andando all’analisi del testo, la poesia dedicata ai figli prende le mosse dalla considerazione, che i figli non ci appartengano perchè nascono dal desiderio dell’uomo di far sopravvivere da un lato la propria specie, ma soprattutto trasmettere nel futuro, quando non si saremo più, un pezzo di se, sperando che quella parte di te sia trasmessa attraverso tuo/a nipote. E’ in una parola il desiderio umano dell’eternità raggiungibile, l’unica possibile.
E non possiamo neanche sperare di trasmettere altro che alcuni principi, perché loro crescendo si formeranno i propri che saranno diversi e migliori, perché loro sono il futuro ed il progresso, noi viviamo già nel passato.
Il finale mi ha ricordato il finale dell’Odissea omerica, ad Ulisse che, unico piega quell’arco da cui scoccherà le frecce che daranno nuovamente decoro e libertà ad Itaca, al suo popolo, alla sua reggia ed alla sua Penelope.
E come le frecce liberatorie d’Ulisse, scoccate da un arco che nessun altro era riuscito a piegare, così noi possiamo solo essere un arco dal quale prenderanno il volo i nostri figli verso il loro futuro, che appartiene solo a loro e che noi possiamo solo contribuire a raggiungere.
Sull’arciere mi trasmette la sensazione, più a pelle che per ragionamento, che incarni l’amore tra padri e figli, infatti l’arciere ama le frecce (i figli) ma anche l’arco (i padri).
Per me questa splendida poesia è stata una scoperta e spero che il suo commento non via abbia annoiati.
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