Quarant’anni fa il terremoto in Irpinia
Il più violento registrato in Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale. Un resoconto attento e preciso che si aggiunge all’esperienza di vita vissuta in quello di Maria Catalano Fiore.
Cinzia Montedoro
Furono novanta, i secondi che cambiarono il volto di diverse regioni del Mezzogiorno,uno degli eventi più drammatici e devastanti nella storia d’Italia. Erano le 9.34 del 23 novembre 1980, esattamente quarant’anni fa: un sisma di magnitudo 6,9 gradi della scala Richter con epicentro tra i comuni irpini di Teora, Castelnuovo di Conza, e Conza della Campania, colpì la Campania e la Basilicata causando 3000 morti, 8.848 feriti e 300mila sfollati.
Era una domenica qualsiasi e molti italiani erano incollati alla tv per le partite di calcio, all’improvviso ci fu un fortissimo boato e la terra iniziò a tremare, il terremoto portò la devastazione più totale tra la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale.
I soccorsi purtroppo furono tardivi, all’epoca la Protezione Civile non era molto organizzata ed efficiente e fu molto difficile raggiungere le zone dell’entroterra con i mezzi di soccorso, inoltre le linee telefoniche ed elettriche furono bruscamente interrotte e la rete ferroviaria smise di funzionare nell’immediato. A Balvano (Potenza) il terremoto fece crollare la Chiesa madre causando la morte di 66 persone, la maggior parte bambini che erano all’ultima Messa della domenica (in totale in paese i morti furono 77). In questo luogo devastato dal terremoto si recò anche Giovanni Paolo II, Papa Wojtyła salì su un banco della scuola locale recuperato tra cumuli di macerie. Era il 25 novembre del 1980, quarantotto ore dopo la scossa.
I ritardi furono lo scandalo di una catastrofe, significativo rimase il titolo del Mattino di Napoli del 26 novembre, tre giorni dopo il terremoto, con il grido “FATE PRESTO” in prima pagina.
A denunciare queste inefficienze fu lo stesso Presidente della Repubblica Sandro Pertini che in uno storico discorso in televisione rivolto agli italiani spiegò con forza le inadempienze dei soccorsi, alcuni dei quali arrivati in tutte le zone colpite solo dopo cinque giorni, il duro discorso scosse le coscienze dei tanti che si mobilitarono volontariamente in aiuto dei terremotati, commosse il suo appello: “Un appello voglio rivolgere a voi, italiane e italiani, senza retorica, un appello che sorge dal mio cuore, di un uomo che ha assistito a tante tragedie, a degli spettacoli, che mai dimenticherò, di dolore e di disperazione in quei paesi. A tutte le italiane e gli italiani: qui non c’entra la politica, qui c’entra la solidarietà umana, tutte le italiane e gli italiani devono mobilitarsi per andare in aiuto a questi fratelli colpiti da questa nuova sciagura. Perché, credetemi, il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi».
E ora, a decenni anni di distanza restano ancora visibili le tracce del terremoto, alcuni paesi sono diventati ‘fantasma’ come i centri antichi di Conza, Apice e Melito Irpino e resta , sicuramente, la memoria di una tragedia che sarebbe dovuta essere gestita in modo più capace, ed oggi a distanza di quarant’anni il meridione assapora ancora l’amaro in bocca di un’immane tragedia.
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