The Dave Brubeck Quartet all’Olympia e alla Filarmonica di Berlino

Martedì la rubrica di Antonio de Robertis (la voce della Radio) Novecento in Concerto Grandi assembramenti per eventi memorabili

Antonio de Robertis

Tempo di lettura 4:30 min.

Oggi, un concerto davvero speciale, una registrazione storica della migliore tradizione jazzistica, effettuata fra ottobre e novembre del 1972 in due sancta sanctorum: la Filarmonica di Berlino, che appartiene alla musica classica e l’Olympia di Parigi, teatro maggiormente destinato a ospitare i grandi divi della buona musica cosiddetta leggera, o giù di lì.

Grandi protagonisti, il pianista e compositore Dave Brubeck, morto otto anni fa alla veneranda età di 92 anni, figura di importanza fondamentale nella storia del jazz, e il grande sassofonista baritono Gerry Mulligan, uno dei più eminenti rappresentanti della corrente cool, purtroppo scomparso molto tempo prima, che ha lasciato una traccia profonda anche in Italia, a Milano per l’esattezza, dove registrò un disco assieme a Pino Presti, Tullio De Piscopo, Angel Pocho Gatti e, pensate un po’, Astor Piazzolla.

Quanto a Brubeck, vero intellettuale innamorato di Bach, Chopin e Bartók –seppure così distanti e diversi tra loro- è stato un grande divulgatore del jazz fra i giovani, come testimonia “Jazz Goes To the College”, il disco che raccoglie le registrazioni del suo Dave Brubeck Quartet effettuate in molti campus universitari. È noto al grande pubblico per Take Five, firmato dall’alto sassofonista Paul Desmond, primo esempio di tema jazz salito ai primi posti della Hit Parade, nel 1961.

A rinverdire i fasti del quartetto, a Brubeck si aggiungono Paul Desmond al sax alto, Jack Six al basso e Alan Dawson alla batteria.

Il Dave Brubeck Quartet si era sciolto alla fine del 1967 dopo diciassette anni di sodalizio, ma queste registrazioni testimoniano di una felice riunione, allargata a Mulligan, che aveva già collaborato altre volte.

Il titolo del disco rimarca l’importanza, l’eccezionalità dell’evento: We’re All Together Again For The First Time.

È il 1972, dicevamo… Un anno in chiaroscuro. Fra ottobre e novembre accadono molte cose e ne ricordiamo alcune.

Il 24 ottobre Sadat dichiara guerra a Israele. Il piano d’attacco, elaborato congiuntamente con la Siria col nome di Operazione Badr, porterà alla guerra dello Yom Kippur.

Il 7 novembre Richard Nixon viene rieletto presidente degli Stati Uniti d’America con il sessantacinque per cento dei voti.

Il 17 novembre Juan Peron fa il suo rientro in Argentina dopo diciassette anni d’esilio in Spagna.

Il 28 novembre a Parigi vengono ghigliottinate due persone accusate di omicidio. L’ultima esecuzione capitale in Francia era stata eseguita nel 1969.

Un mese prima, il 26 ottobre, all’Olympia di Parigi il quartetto di Dave Brubeck esegue una composizione dello stesso Brubeck, impreziosita da uno stupendo assolo di Paul Desmond al sax alto: Koto Song, descritta da Brubeck come un blues ispirato dal canto delicato di due ragazze giapponesi ascoltate a Kyoto.

Koto Song

Normalmente i critici, i giornalisti specializzati, tendono a incasellare, a etichettare i musicisti e da quel momento i poveri artisti passano il loro tempo a cercare di togliersela l’etichetta, quale che essa sia. Così è accaduto anche a Brubeck. Negli anni Cinquanta, i cosiddetti opinion makers, decisero che quel pianista era troppo accademico per essere un vero jazzman. Aveva fatto studi seri: composizione con Darius Milhaud, poi contrappunto, poliritmia; quindi non poteva avere nulla a che fare con la spontaneità del jazz.

Brubeck, da vero artista, non rispose mai alle provocazioni se non con i fatti, portando il jazz, ai tempi del primo rock ‘n’ roll, fra i teenagers scatenati che normalmente ballavano sulle note delle canzoni di Bill Haley, Elvis Presley, Jerry Lee Lewis e simili; e scalando anche le classifiche di vendita dei 45 giri con la sua musica ricca di swing e, perché no, impeccabile dal punto di vista formale.

Proprio una bella soddisfazione, mi pare.

Dall’Olympia, ci spostiamo alla Filarmonica di Berlino… ed ecco Take Five.

In primo piano, il sax contralto di Paul Desmond, compagno di strada artistica di Brubeck.

In italiano il titolo suona come “batto cinque”, attacco di tempo dispari, il genere di ritmo che ha spesso caratterizzato le composizioni di Brubeck.

Proprio qui sta la sua originalità: nell’energia del tocco e nella predilezione per tempi non canonici, dal 5/4 -come quello di Take Five, appunto- al 9/8.

La versione live che propongo è lunghissima – sedici minuti – ma è un gioiello incomparabile e quando risuonerà l’ultima nota, scommetto che tornerete alla prima.

Quella lontana sera del 4 novembre 1972, avendo undici minuti in più rispetto a quella da studio, i cinque musicisti, si prendono pienamente il loro spazio da solisti, come nella migliore tradizione jazzistica.

Take Five

Il 1972 è anche l’anno delle Olimpiadi di Monaco di Baviera ed è proprio lì che il 5 settembre si consuma l’avvenimento più tragico. Un commando di terroristi palestinesi irrompe nel villaggio olimpico, uccide due componenti della squadra israeliana e ne prende in ostaggio altri nove. Il tentativo di liberazione da parte delle forze dell’ordine finisce in un bagno di sangue.

La musica, quale che sia il genere, costituisce, da sempre, pacifico elemento di coesione, condivisione, gioia. Ed è con la musica che proviamo a ricordare, con animo positivo, anche il 1972 e le sue tragedie.

A mo’ di firma, come una sorta di sigla di chiusura del concerto, ecco Dave Brubeck al pianoforte in un tema popolarissimo, un’esescuzione “lampo” di uno degli standard più famosi della tradizione statunitense: Sweet Georgia Brown.

Sweet Georgia Brown

Il mio long playing in vinile è talmente malridotto da essere impresentabile. Non pubblico neppure la foto del CD, tuttora in commercio, perché sarebbe banale. Buon ascolto.

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