Le Signore dell’Arte – 4 Lavinia Fontana, Elisabetta Sirani, Fede Galizia, Ginevra Cantofoli…Marietta Robusti, la Tintoretta….e le altre…
Ultima, ma non completa parte del discorso sulle artiste donne tra il 500 e il 600. Un discorso che andrebbe ampliato e prolungato anche nei secoli seguenti quando le donne pittrici cominciano realmente ad assumere posizioni lavorative e sociali , ma la strada è ancora molto lunga…..
Maria Catalano Fiore
Altre donne artiste meritano di essere ricordate, altre sono ancora nel limbo dei ricordi, tracce di opere e di documenti, ma poche certezze. Ad esempio la figlia del Tintoretto…….
Altre pittrici emergono man mano dall’oblio dei secoli grazie a storici instancabili. queste donne, fanno parte di quelle che Giorgio Vasari definiva “da bottega paterna” cresciute nell’Arte, superavano anche i genitori che non le mollavano per un perdere grosse committenze e perché avevano bisogno delle loro rifiniture in ritratti ed altro. Alcune riuscivano a “svincolarsi” altre sono morte troppo giovani per riuscirci, ma nella loro epoca erano conosciute e stimate. Le loro opere? spesso difficile identificarle perché firmate da altri, o interventi camuffati. Vediamo un po’………
Lavinia Fontana, bolognese (Bologna 1552- Roma1614). Figlia del pittore manierista Prospero Fontana, intraprende a sua carriera a Bologna, poi per altre Chiese importanti della zona.
Fa parte di quella categoria di pittrici che devono, comunque lavorare sotto l’egemonia paterna. Deve sottostare a determinati canoni, essere impiegata per lo più in Pale d’altare e seguire direttive anche ecclesiastiche. Invece Lavinia ha un suo stile ricco di sensualità e di un gusto estremamente raffinato per i dettagli.
Lavinia, si rivela, infatti, molto più libera nella ritrattistica, lavori che il padre le affida volentieri. Uno stile, diverso, lontano sia dai precetti bolognesi che dalla rigidezza romana. E’ una donna colta, studia e si accosta soprattutto alla pittura fiamminga del periodo: finezze di esecuzione, studi di tessuti, di merletti, monili, pettinature ecc…..
E’ talmente legata alla sua arte, ed oppressa dalle commissioni da non aver tempo d dedicare alla sua vita privata. A 25 anni, età tarda per l’epoca, accetta una proposta di matrimonio da parte del pittore Giovanni Paolo Zappi, di Imola. Lo Zappi diventa il suo accompagnatore. Lavinia capovolge i ruoli, è lei che dirige la “bottega” il marito il suo mestierante. Ruolo che lui accetta di buon grado anche perché Lavinia è richiesta, a Roma nel 1603, da Papa Gregorio XIII che diventa il suo mecenate e protettore in toto. Proprio con la copertura papale si può dedicare a tele tutte sue.
In queste tele, la pittrice, si libera completamente, inserendosi però’ in un mondo di Dei ed Eroi mitologici, ma liberi da canoni, quindi anche figure nude, ma pudiche, la sua abilità nell’affrontare questi temi mitologici è notevole. Temi sino ad allora riservati solo a colleghi maschi. Proprio affrontare il nudo con tanta scioltezza e senza ambiguità determina il benestare papale.
E’ indubbio che prima a Bologna, poi a Roma, Lavinia Fontana gode di grande fama e lavora moltissimo, peccato che le sue opere siano disperse in Italia e, soprattutto, all’estero. Nel suo ultimo periodo di vita le viene proposta una grossa commissione: “La Visione di San Giacinto” per la Chiesa di Santa Sabina a Roma, dove lavora sino al 1614, anno della sua morte improvvisa.
Sempre del Nord è Fede Galizia (nata a Trento o Milano nel 1578- morta a Milano 1630). Anche lei svolge il suo apprendistato sin dall’età di 12 anni nella “bottega d’Arte” paterna di Nunzio Galizia da Trento. Anche lei viene utilizzata spesso come ritrattista in giro per case nobili.
In lei però prevale la dottrina della scuola lombarda e di Lorenzo Lotto, infatti predilige alzate con frutta e fiori.
Spesso deve, comunque, assolvere committenze, come questa “Giuditta ed Oloferne” sulla scia del famoso ciclo di Artemisia Gentileschi, ma alla impostazione di pathos caravaggesca, prevale la scuola Fiamminga nella la minuziosità degli abiti, pizzi e gioielli particolari. Giuditta è una gran Signora che va a spasso con un gingillo, la testa di Oloferne, che pare dormire tranquillo sotto lo sguardo della serva perplessa. Non c’è ribellione contro gli uomini, ma semplice indifferenza.
Rari i soggetti religiosi da lei trattati. In lei prevale una autonomia ben distante dai dettami della Chiesa romana non ritrae Santi e Martiri….
Le sue opere più diffuse, ora quasi tutte all’estero, sono le alzate di frutta e fiori eseguite su tavole massimo 30×40 molto più commerciali. Diciamo come un esercizio ripetitivo a lei imposto per vivere.
Elisabetta Sirani (Bologna 1638-1665) pittrice molto talentuosa dalla breve vita. Anche lei “allevata” dal padre Giovanni Andrea Sirani (allievo di Guido Reni), morta a soli 26 anni per un sospetto avvelenamento.
Le notizie su di lei e sulle sue numerose opere si devono al Conte Carlo Cesare Malvasia (Bologna 1616-1693), storico dell’arte, autore del volume “Felsina Pittrice”, una raccolta di biografie di artisti emiliani e romagnoli ed una vera guida artistica di Bologna nel XVII secolo. Autore anche di una Biografia dettagliata sulla vita di Guido Reni nonché di Cesare ed Annibale Carracci.
E’ proprio il Conte Malvasia che ci tramanda notizie su Elisabetta ed anche la meticolosa “nota” dei dipinti redatta dalla pittrice stessa su un libretto che consente di seguire la sua abbondante produzione.
Elisabetta va man mano specializzandosi in quadri a soggetto religioso o in ritratti, graditi alla committenza. L’ultima fase della sua produzione rivela l’avvio di una evoluzione con una concentrazione sugli effetti della luce e su tessuti barocchi molto ricercati, sicuramente influsso della maniera romana
Ginefra Cantofoli nasce a Bologna nel 1618 e li muore nel 1672. Non si può parlare della Sirani senza associare la Cantofoli, erano molto amiche, e Ginefra diventa sua assistente nella “Bottega D’Arte”.
Proprio questa stretta amicizia farà cadere i sospetti per l’avvelenamento di Elisabetta sulla Cantofoli, per motivi d’amore. Ma verrà dimostrata una ulcera perforante e Ginefra Cantofoli scagionata pienamente.
Ginefra non è figlia di un pittore, ma suo padre commercia in Arte, e tiene moltissimo all’istruzione dei figli, soprattutto della primogenita che vede portata su tale professione.
Recentemente la critica ha riconosciuto molti suoi dipinti, attribuiti erroneamente a Guido Reni. L’ultimo è proprio questa “Donna con turbante” che è, invece un “Ritratto di Beatrice Cenci” di Ginefra ora nella Galleria Barberini a Roma. L’esame accurato degli scritti del Conte Carlo Cesare Malvasia e l’esistenza di un elenco di opere redatto di suo pugno hanno chiarito molte cose.
Nella “Bottega” di Guido Reni studia e lavora la Sirani, Ginefra Apprende da quest’ultima. Sue numerose Pale d’altare firmate dal Reni per convenienza Sulla firma autentica di Guido Reni abbiamo, ultimamente molte sorprese, posta da lui o, dopo, da committenti che intendevano gloriarsi non si sa.
Come al solito, pochi sono i documenti reali su Ginefra, atto di nascita, poi di matrimonio contratto nel 1653 con un Francesco di Michele Franchini e la nascita di due figli, un maschio, morto giovinetto, ed una figlia per la con la quale, nel 1668, redige, affidandoglielo, il suo inventario a tutela delle sue opere. In questo libretto descrive minuziosamente 51 tra Pale d’altare e ritratti. Il suo atto di morte è datato 11 ottobre 1672.
La sua vita appare riservata, di buona famiglia, di agiati commercianti, un buon matrimonio tranquillo, ottima istruzione……ma dalla sue opere, soprattutto viste insieme, come nella Sala a lei dedicata, in questa mostra, emerge una grande interpretazione sia nel ritrarre donne famose come Cleopatra, Sofonisba Anguissola, Beatrice Cenci, ecc…sia per l’abbigliamento del tutto autonomo, fuori dagli schemi, scollature e mai colletti pretenziosi in pizzo, mai ridondante, mai barocco e con l’uso costante dei turbanti copricapo. Il Turbante è una specie di firma che fa per farsi riconoscere, quasi una firma a quelle tele per secoli attribuite ad altri.
Marietta Robusti, detta la Tintoretta (Venezia 1554 o 1560 – 1590). Questa Grande donna è la figlia primogenita di Jacopo Robusti, detto il Tintoretto; nata da una relazione con una cortigiana tedesca. Dal suo matrimonio reale il Tintoretto ha avuto altri 6 figli.
Cresciuta da subito dal padre, che oltre a riconoscerla, l’adorava e la voleva sempre accanto a se in bottega, vestendola da maschio. La portava ovunque le ha fatto da precettore e da insegnante di pittura sino a farne il suo aiuto principale e la sua mano si riconosce in diverse opere paterne.
Oltre che valente pittrice era anche un’ottima musicista sia strumentale che vocale. Alle insistenti richieste, come ritrattista sia di Filippo II di Spagna, già mecenate di Sofonisba Anguissola, che di Massimiliano d’Austria, il padre per non separarsene e lasciarla partire per lunghi periodi, nel 1578,le organizza un matrimonio frettoloso con Jacopo d’Augusta, un gioielliere tedesco. Sul finire del 1579 Marietta partorisce un figlio, Jacometto, che poverino visse solo 11 mesi.
Purtroppo Marietta non si riprende mai dalla morte di questo figlio cosa che la portò a star male, durante un soggiorno di lavoro presso il Duca di Mantova, e dopo poco a morte prematura. Più o meno aveva 30 anni.
E’ tumulata a Venezia nella Chiesa della Madonna dell’orto, dove aveva eseguito dei lavori e dove, di seguito venne tumulato anche suo padre. Il Tintoretto sembrava impazzito a seguito di questa morte e molte leggende narrano che avesse riprodotto la figlia sul letto di morte. Leggenda che ha avuto un certo fascino in epoca romantica, tanto da diventare soggetto per numerosi dipinti. Uno dei migliori è forse questo eseguito da Leon Coignet “Tintoretto ritrae la figlia sul letto di morte”, 1846 circa, olio su tela 37×46.
Per quanto riguarda la sua arte Marietta, spesso viene confusa con suo padre o con suo fratello maggiore, con il quale collabora spesso aiutandolo in passaggi e rifiniture.
Recenti studi sono riusciti ad estrapolare le zone di intervento di Marietta, su molti quadri del padre. Si distingue in lei maggior finezza nel disegno e nelle pose dei personaggi, un migliore uso del colore.
Ma Tintoretto è Tintoretto, non si può affermare che un Grande come lui abbi fatto mettere mani, su una tela importante, a sua figlia, per quanto brava e rispettata fosse, ma è morta troppo giovane……
Queste solo alcune delle brave pittrici, ancora in parziale ombra, che hanno operato tra il 500 ed il 600.
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