Omicidio Cerciello Rega: la sentenza
Crimini e grafologia
Giovanna Sellaroli
Ergastolo per i due ventenni americani, Finnegan Lee Elder e Natale Gabriel Hjorth, accusati di aver ucciso a Roma il vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega. Una sentenza attesa, quella pronunciata nell’aula bunker di Rebibbia, l’altro ieri sera alle 23.11, al termine di una camera di consiglio fiume che si è protratta per oltre dodici ore, fino a quando i giudici della Prima Corte d’Assise hanno emesso la sentenza.
Una vicenda dai contorni torbidi che coincide con l’arrivo a Roma di Elder e Hjorth, californiani di buona famiglia, in vacanza nella capitale, che culmina con la brutale aggressione a Cerciello Rega colpito a morte con 11 fendenti nei pressi della centralissima piazza Cavour.
Nella notte tra il 25 e il 26 luglio 2019, i due americani cercano di comprare della droga a Trastevere e si rivolgono a Sergio Brugiatelli, che li inidrizza a un pusher che, invece di droga, gli vende una pasticca di Tachipirina. Elder e Hjorth decidono quindi di rubare lo zaino di Brugiatelli e di barattarlo per riavere indietro i soldi che avevano già pagato.
All’incontro per la restituzione dello zaino trovano il carabiniere Mario Cerciello Rega con un collega, Andrea Varriale, in pattuglia quella notte. Sono entrambi disarmati: Varriale ha spiegato nel processo che l’assenza di armi era finalizzata a non far saltare la copertura. Durante l’incontro inizia una colluttazione nella quale Elder accoltella Cerciello Rega, uccidendolo. L’omicidio avviene nel quartiere Prati e la vicenda dalle sue prime fasi mostra contorni confusi.
A portare avanti l’impianto accusatorio contro i due americani, il procuratore aggiunto Nunzia D’Elia e il sostituto procuratore Maria Sabina Calabretta che avevano chiesto l’ergastolo come una pena giusta e “non un trofeo da esibire” per un omicidio consumato in meno di 30”.
Un processo non semplice, come confermato dalla stessa procura, che ha offerto anche immagini dure e contestate come quelle di Natale Hjorth bendato e in manette con le mani dietro la schiena, nella caserma dei carabinieri: una foto che ha fatto il giro del mondo.
E un percorso giudiziario a tappe forzate, con udienze che si sono susseguite anche durante il primo lockdown.
E una sentenza dolorosa che non fa nè vincitori nè vinti: un giovane uomo delle forze dell’ordine barbaramente ucciso, due giovanissimi assassini, e una giovane vedova disperata per la perdita del suo uomo.
Franco Coppi, il legale della famiglia del vicebrigadiere parla di “una sentenza severa ma corrispondente al delitto atroce che è stato commesso. È una pena adeguata alla gravità del fatto per i due imputati, che non hanno dato alcun segno di pentimento”
Emilio Orlando, giornalista di cronaca nera e giudiziaria, tu ieri eri lì, nell’aula bunker, quando è stata letta la sentenza.
Che aria si respirava?
L’aria della condanna al doppio ergastolo si respirava già dalla mattina. La requisitoria del pubblico ministero nei giorni precedenti non aveva lasciato spazio a dubbi. L’enorme aula bunker di Rebibbia era gremita di telecamere e di cronisti anche d’oltreoceano. C’era una forte tensione, l’aria era pesante e sembrava che si poteva tagliare con il coltello.
Come è stato accolto questo primo grado di giudizio?
La sentenza dell’ergastolo ha restituito al povero Mario Cerciello Rega la dignità che meritava. Tante erano state le allusioni e i dubbi che qualcuno aveva insinuato. Mentre il giudice Marina Finiti, leggeva il dispositivo di condanna quelle ombre si dipanavano.
La giovane vedova Rosa Maria Esilio, subito dopo la lettura della sentenza ha commentato in lacrime: “è stato un lungo e doloroso processo … L’integrità di Mario è stata difesa ed è dimostrata nonostante da vittima abbia dovuto subire tante insinuazioni”.
A cosa si riferisce?
Si riferisce appunto a quei dubbi che inizialmente circolavano, circa l’integrità di un servitore dello Stato. Quando muore un uomo valoroso che ha lottato un vita contro il crimine queste situazioni sono molto frequenti. Dopo il crudele omicidio, con 11 coltellate inferte con violenza e accanimento, mentre il carabinieri urlava e lo implorava di smettere, iniziò subito la caccia agli assassini che culminò con l’arresto dei due turisti americani. Il processo ha chiarito anche quei dubbi sul fatto che i due carabinieri si fossero qualificati mostrando il distintivo
“Questa sentenza è una vergogna per l’Italia” la dichiarazione durissima dell’avvocato Renato Borzone, difensore di Elder che ha annunciato ricorso in appello.
Quali risvolti potrà avere questa affermazione?
Bhe è l’annuncio di un ricorso in Appello che probabilmente alleggerirà la condanna di Gabriel Natale Hjorth
LA PAROLA ALLA GRAFOLOGIA
La lettera di Gabriel Natale Hjorth
Nella lettera manoscritta (documento agli atti depositato all’epoca dell’udienza davanti al Tribunale del riesame) Gabriel Natale Hjorth si rivolge alla madre per chiederle scusa, poche righe in cui esprime il suo rammarico per i comportamenti avuti e per le accese discussioni sull’uso di droghe.
“Cara mamma, voglio scusarmi ancora per la rissa che ho scatenato l’ultima volta che sono stato lì. Mi pento veramente di quello che ho detto e per il modo in cui mi sono comportato nei tuoi confronti. Nessuno è perfetto e tu mi hai dato una mano più di ogni altro in questa famiglia. Mi dispiace molto aver sottolineato le tue pochissime imperfezioni, specialmente perché io ne ho così tante. Ti amo con tutto il cuore e un giorno te lo dimostrerò”
Al di là del testo, e al di là delle scarse scritture reperibili sul web per consentire un ritratto grafologico della persona, si può provare a “leggere” la natura fortemente instabile di questo giovane, incapace di contrastare le variazioni interiori intense e improvvise.
Il contesto grafico rilasciato e impreciso, le marcature improvvise delineano i contorni di una personalità fragile e fortemente influenzabile, con evidenti difficoltà nelle relazioni e nell’adattamento. Il tracciato “sporco” e pesante, la progressione difficoltosa traduce una situazione ansiogena, un pensiero poco chiaro influenzato dagli stati emozionali perturbati.
Sempre inquieto, guarda al mondo con diffidenza, in eterno conflitto con se stesso e con gli altri, sopraffatto da un disordine comportamentale e da una sorta di psichismo che entra subito in stato di allarme. Estremamente irritabile, preda di un nervosismo interiore, ha la predisposizione a comportamenti impetuosi che si attivano su base di forti e improvvisi meccanismi di vigilanza per paura di se stesso. Se percepisce di non essere condiviso, anche in minima parte, in alcune situazioni, l’impulso estemporaneo diventa la norma che detta la condotta, offuscando le facoltà critiche e il ragionamento.
Il temperamento impulsivo rende impellente la risposta agli stimoli, una risposta all’insegna del nervosismo generale da cui trapela la sua agitazione interiore.
Un ragazzo fragile preda di improvvise scariche di energia, anche aggressive, e comunque incontrollate, con una forte predisposizione all’eccitabilità e alla scarsa riflessione.
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