Luca Attanasio

L’Ambasciatore con la passione per l’Africa ucciso in un agguato

Giovanna Sellaroli

In questi giorni si è diffusa la notizia dei primi arresti in Congo per l’omicidio dell’Ambasciatore Luca Attanasio, barbaramente trucidato in un agguato il 22 febbraio scorso, a nord di Goma, vicino al parco nazionale dei Virunga e al confine con il Ruanda, insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo.

A renderlo noto Felix Tshisekedi, Presidente della Repubblica Democratica del Congo e dell’Unione Africana, il quale ha affermato che, anche se le indagini continuano, sicuramente si tratta di banditi di strada, organizzati in gang.

Luca Attanasio, 44 anni, viaggiava a bordo di un convoglio dell’Onu, insieme ad altre sette persone, senza la scorta dei caschi blu, perché, come è stato riferito, la strada era considerata sicura. La mattina dell’attentato, si stava recando a visitare il programma di distribuzione di cibo nelle scuole, del World Food Programme.

Unico diplomatico italiano a Kinshasa, l’Ambasciatore Attanasio era nato a Saronno (Varese) e, laureato alla Bocconi, si era avviato alla carriera diplomatica nel 2004, prima a Berna, poi al consolato generale di Casablanca,  ad Abuja, in Nigeria, infine come ambasciatore a Kinshasa dal settembre del 2017.

Padre di tre figlie, insieme alla moglie Zakia Seddiki, marocchina,  era appassionato dell’Africa e particolarmente impegnato nei processi di pace.

Sempre in questi giorni è uscito un libro che racconta la vita dell’ambasciatore,  i dubbi e i misteri che avvolgono l’agguato al convoglio diplomatico, scritto da Matteo Giusti, giornalista, collaboratore di Limes, dal titolo: “L’omicidio Attanasio. Morte di un Ambasciatore”.

Subito dopo la notizia degli arresti, si è appreso che, in realtà il presidente congolese Tshisekedi, nel rispondere a una domanda sugli sviluppi delle indagini, si è riferito genericamente a quanto fatto sinora dalle autorità congolesi, parlando quindi di arresti che risalgono al marzo scorso.

Dunque, ancora nessuna certezza sull’attacco mortale.

Ci aiuta a fare chiarezza proprio Matteo Giusti, che nel suo libro racconta la storia drammatica del nostro ambasciatore e di Vittorio Iacovacci, il carabiniere della sua scorta.

Partiamo proprio dalle ultime notizie, ci sono stati sviluppi significativi nelle indagini? A che punto è l’inchiesta?

Posso confermare che alcuni giornalisti congolesi da me interpellati mi hanno confermato che gli arresti , sono quelli dei mesi scorsi e non degli ultimi giorni. Svariate persone sono state interrogate e poi rilasciate, mentre alcune restano in carcere. A sostegno di ciò, c’è anche che la Procura di Roma ha dichiarato di essere alll’oscuro di nuovi arresti.

Oggi ho parlato con il Governatore del Kivu del Nord, Carly Kasivita che mi ha confermato che magistrati militari stanno continuando le indagini, ma che lui non esclude che ci fosse un piano ben definito

Poche settimane dopo la morte di Attanasio, in Congo è stato ucciso anche un magistrato militare che indagava sull’agguato, in un’imboscata sulla stessa strada Rutshuru-Goma.

Un altro mistero? C’è un legame tra i due agguati?

No. Il Maggiore Hasani e stato ucciso in una imboscata organizzata da militari dell’esercito congolese che stavano tormentando la popolazione. Al passaggio della jeep militare questi soldati hanno cominciato a sparare uccidendo il magistrato militare.

Ma il maggiore Hasani non stava indagando sul caso Attanasio, era un revisore di conti della corte di Rutshuru mentre i magistrati che indagano sono della corte di Goma. 

Attanasio è stato il primo ambasciatore italiano ad essere ucciso nell’adempimento delle sue funzioni.

Tra il più giovane al mondo, nel  libro lei ricorda l’ambasciatore e l’uomo. Chi era Luca Attanasio?

Luca Attanasio era una persona speciale che ha lasciato di sé un ricordo meraviglioso in tutti quelli che lo hanno conosciuto. Odiava le formalità e i titoli altisonanti, era sempre pronto ad ascoltare e aiutare. Dava il suo cellulare a tutti i connazionali perché era preoccupato per la loro incolumità. Quando è scoppiato il COVID ha organizzato un volo speciale che ha riportato in Italia tutti i nostri connazionali, perché Luca Attanasio  era un capo, ma faceva  il capo con eleganza e dolcezza.  

Lui e sua moglie Zakia facevano davvero del bene al prossimo, impegnandosi in prima persona.

Gli interrogativi che emergono dalla tragedia che ha colpito i nostri connazionali, sono molteplici, primo fra tutti la mancanza di una scorta armata in uno dei posti più pericolosi al mondo.

Cosa si nasconde dietro al rimpallo di responsabilità? Perché Attanasio non aveva scorta armata e macchina blindata?

Attanasio non aveva una scorta armata perche nell’ultimo report la strada era considerata percorribile senza scorta.

Una  cosa assurda, una spiegazione inaccetabile: poche settimane prima un diplomatico belga l’aveva percorsa accompagnato da ingenti forze militari.

Il Wfp ha peccato di estrema leggerezza. I politici locali poi hanno addirittura avuto il coraggio di dire che ignoravano che l’ambasciatore fosse in Kivu quando ci sono documenti che li smentiscono. 

È vero che l’ambasciatore temeva per la sua incolumità e aveva fatto esplicita richiesta di un’auto blindata?

Nell’agosto del 2020 l’ambasciata italiana di Kinshasa aveva fatto richiesta per un’auto blindata. Una richiesta che stava andando in porto. Evidentemente l’ambasciatore Luca Attanasio riteneva necessario questo mezzo di protezione, ma non avrebbe potuto comunque usarla nell’est del paese dove è stato assassinato.

Stava al World Food Programme provvedere a mezzi adeguati, perché  la sicurezza del nostro diplomatico era in capo a loro

Nel 2020 Attanasio aveva ricevuto il premio Nassirya per la pace

per il suo impegno volto alla salvaguardia della pace tra i popoli” e “per aver contribuito alla realizzazione di importanti progetti umanitari distinguendosi per l’altruismo, la dedizione e lo spirito di servizio a sostegno delle persone in difficoltà“.

Una vita spesa in prima linea quella di Attanasio. Lei nel libro lo ricorda anche attraverso la voce di chi lo ha conosciuto.

Qual è il ricordo che meglio lo rappresenta?

Ne voglio ricordare due che nella loro diversità mi hanno colpito. Il “ragazzo” in camicia bianca che aspetta gli italiani residenti in Kivu in una pizzeria armato di un sorriso e tanta speranza come hanno raccontato i giovani cooperanti di Avsi, e l’uomo che vede i bambini di strada a Kinshasa e decide che deve dargli una casa creando la sua Ong come ha raccontato l’avvocato Musumu, suo amico personale. 

Solo un mese e mezzo prima, l’8 gennaio, l’ambasciatore Luca Attanasio aveva firmato la determina per l’acquisto di un mezzo antiproiettili.

La firma apposta nella parte inferiore a destra del documento, in realtà è una sigla che non consente affatto una osservazione grafologica esaustiva.

Senza azzardare interpretazioni che sanno di voli pindarici, due segni grafici in apparente contraddizione, richiamano l’idea di una natura umanamente ricca.

La complicazione nella maiuscola a forma di fiocco ci parla di tenacia e combattività, e al contempo di amabilità, savoir faire e coinvolgimento.

La semplificazione della L del nome, segno di una intelligenza logica, rivela l’aspetto riflessivo e illuminato dagli studi.

Gesti curvi e gesti lineari si fondono dando vita a un grafismo che esprime ingegnosità e praticità, affermazione nell’azione e nella realizzazione di un progetto.

Era un capo Attanasio, come ha sottolineato Matteo Giusti, conscio del ruolo, ma capace di percepire le proprie e le altrui emozioni.

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