FUTURO A TAVOLA: aderiremo ai cibi politicamente corretti o trasgender?
Tra non molto dovremo riflettere sul nome dei nostri cibi, pregiati, regionali o meno. Ma vi sembra possibile che il politicamente corretto ricada anche sui nomi delle nostre pietanze tradizionali ed abituali?
Maria Catalano Fiore
E’ in corso nel mondo una specie di “purificazione”, a livello morboso, di cui non ci rendiamo ancora conto, ma che tra poco ci sommergerà. Un bigottismo a ritroso degno di Salem….
Citiamo qualcosa…..poi la conclusione non ci piacerà, non solo come gusto culinario, ma come “globalizzazione” e sottomissione a prodotti artefatti che saremo costretti a subire tra non molto.
Le notizie sono sconcertanti: la nostra adorata torta di mele della nonna sarebbe un “Prodotto altamente Razzista!” o cavolo….. Si alcuni giornalisti gastronomici statunitensi del “Guardian” l’hanno bollata così perché è il simbolo del colonialismo yankee: le mele, di origine europea, portate in America dai marinai di Cristoforo Colombo, avrebbero contribuito al vasto genocidio delle popolazioni indigene.
A me, da storica, pare che lo sterminio dei nativi Americani non sia dovuto alle mele, ma, senza scendere in particolari, alla volontà di appropriarsi di vasti territori, sterminare bufali, e trucidare tanti esseri umani in nome di Dio.
Quindi, persino la famosa “Nonna Papera” impeccabile nel suo grembiule e nella sua tovaglietta a fiorellini, su cui poggiare la sua fragrante torta pare sia una “Becera Colonialista”. Lo zucchero poi e la tovaglietta quadrettata simboleggiano la tratta degli schiavi e, oltre al genocidio indigeno, anche la tratta di milioni di africani costretti a lavorare in condizioni disumane nelle piantagioni di canna da zucchero e di cotone. Povera nonna!
Ci sono poi cibi che hanno nomi storici, ma appaiono “Scandalosamente scorretti e razzisti” come i famosi “Moretti o Negrettini” quei dolcetti inventati dal Bresciano Agostino Bulgari che hanno fatto la felicità di generazioni di bambini all’uscita di scuola. Bulgari aveva trasformato la pasticceria, fondata dal nonno nel 1880 in una azienda di fama europea. Aveva inventato semplici bon bon di crema bianca all’albume d’uovo, ricoperti di cioccolato su una base di cialda croccante.
Si vendevano a poco, nei chioschetti vicino alle scuole o ai cinema o nelle piazzette di paese, se eri buono, riuscivi ad averne uno. La Famiglia produttrice ha dovuto cambiare il nome del dolcetto da “Negrettino” a “Bulgarino”, ma Agostino non riusciva a comprendere il perché di tanto accanimento, ha sofferto tantissimo, e ragione gli hanno dato gli affezionati consumatori che, spariti ormai i chioschi, li acquistano su Amazon o Ebay con il nome di “Negrettino”, o in Svizzera dove vendono prodotti e diffusi come “Migros”.
Per un gioco di parole “Migros” significa cinghiale e quindi non è offensivo per nessuno. I “Moretti francesi” vengono chiamati ancora “Tète de nègre” testa di negro….. vedremo cosa succederà.
Anche l’esimio Roberto Zottar, membro del “Centro Studi Franco Marenghi” dell'”Accademia italiana della Cucina”, in un articolo pubblicato su “Civiltà della Tavola”, la rivista dell’Accademia, si pone interrogativi sull’eventuale cambio di nome di prodotti e piatti italiani, tra i quali cita il vino Negramaro, il budino Moretto, la Birra Moretti, l’aperitivo Negroni, l’amaro Montenegro, il salame Negronetto.
“Credo che il politicamente corretto” scrive Zottar, “rischi di essere talvolta una forma di censura che condanna tutto ciò che non è in linea con le tendenze culturali attuali. Personalmente tremo al pensiero che simili dibattiti possano innescarsi nell’Italia gastronomica perché metteremmo a rischio molte specialità dai nomi politicamente scorretti”.
Capita infatti di imbattersi in pietanze dai nomi scorretti, curiosi e poco invitanti, ma estremamente buone.
Molto poco invitante è tra i formaggi il “Puzzone di Moena”. Un prodotto tipico della Val di Fassa e delle valli limitrofe in Trentino Alto Adige, particolarmente gustoso.
TRA i salumi certamente non sono da proporre a persone con la puzzetta sotto il naso, i “Coglioni di mulo”, “Le Palle del nonno”, e nemmeno sua maestà il “Culatello di Zibello” un salume di origine protetta tipico della Provincia di Parma, che ha un vero e proprio Consorzio di tutela.
Ricordano i Postriboli napoletani gli “Spaghetti alla Puttanesca” sui quali si sono sprecati fiumi di inchiostro e che bene o male sono presenti, ogni tanto in tutte le famiglie o nelle cene tra amici.
E cosa dire di tutta la sfilata di salumi lucani dalla “Soppressata” al “Pezzente”….
O della “Puccia con “Polipo alla Puttanesca” diffuso nel Salento come cibo di strada.
O degli involtini o “brasciole di cotica” o cotenna in uso in tutto il meridione, saranno scorretti? O non sarà molto fine produrre o acquistare i “Coglioni di mulo” prodotti a Norcia?
E’ ben difficile pensare che dobbiamo cancellare le nostre tradizioni culinarie, azzerare i nostri gusti e le nostre papille gustative per cosa? Cibo manipolato che sicuramente non sarà molto salutare.
Se poi pensiamo che a questi cibi buoni e naturali vengono sostituiti man mano Hamburger senza Manzo, salsicce prive di maiale, sushi che fa a meno del pesce…… Si è aperto un “Nuovo Business” in crescita tumultuosa che entro il 2024 varrà oltre 23 miliardi di dollari e sarà sempre più in competizione con le tradizioni economiche.
Incredibili sono i meccanismi di trasformazione di elementi per avere sempre più prodotti vegani, e poi ci sono alternative a polli, uova e anche gelati.
La ricerca sta mettendo a punto altri alimenti con aspetto tradizionale ma ottenuti da vegetali o da piccole quantità di cellule animali. Una frontiera della tecnologia ma anche del business. La sfida: costare quanto la carne.
Ma lo scopo è quello di salvare gli animali? O solo creare ibridi? Ritorno economico non ne abbiamo, anzi i costi dei laboratori incidono ancora di più degli allevamenti o piantagioni biologiche.
La magia? “L’uovo senza uovo” liquido da strapazzare o solido da mordere, privo di colesterolo e ottenuto da fagioli o curcuma dopo aver conquistato l’Asia è appena sbarcato in Africa. Questa nuova filiera alimentare ci lascia alquanto perplessi.
Vedremo cosa succederà, nel frattempo cerchiamo di salvare i nostri cibi regionali ancora genuini e coltivati biologicamente.
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