Ma chi pensa ai concerti?

Un concerto non è un Rave, è lavoro per tanta gente, i grandi organizzatori si lamentano e con ragione, dobbiamo ripartire o chiudere definitivamente?

Maria Catalano Fiore

Le aziende organizzatrici di concerti ed eventi si lamentano, a ragione, si sentono dimenticati, come quasi tutto il settore musica.

I loro portavoce, nei giorni scorsi, hanno rivolto un appello a Mario Draghi, pubblicato anche sui social e su diversi quotidiani da Assomusica: “Abbiamo perso il 99% dei ricavi!” gridano gli organizzatori dei concerti; troppa incertezza per la ripartenza/capienza dei concerti e troppa disparità con le regole dl resto dell’Europa. I concerti dal vivo sono ridotti ai minimi termini dal marzo 2020 con danni gravissimi: è in ballo la sopravvivenza stessa di un settore che da lavoro a decine di migliaia si persone e ne intrattiene milioni, tutti ad un passo dalla sfiducia dopo così tanto tempo e con tante incertezze.

L’appello è stato firmato da una 30ina di promoter e almeno 300 artisti. I toni sono stati duri e concreti. L’obbiettivo è comune: Dateci la possibilità di ripartire, con regole ferree, ma dateci una data certa! Il pubblico deve avere il tempo e la voglia di ricomprare i biglietti!

Tanto per fare un esempio i Maneskin, vincitori dell’Eurofestival, hanno fatto concerti in Europa con 25.000 persone, ma in Italia? In Italia non si sa neppure in quale città si potrà svolgere un evento della portata dell’Eurovision….

Già……in Italia la musica resta colpevolmente all’ultimo posto dell’agenda politica.

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