Le leggi vanno verificate all’atto dell’applicazione
Teoricamente ineccepibili, sul piano applicativo mostrano falle impreviste
Gianvito Pugliese
E’ il caso del recente decreto legislativo sulla presunzione d’innocenza voluto dalla Ministro della Giustizia, Marta Cartabia e da poco entrato in vigore. Chi volesse leggere il testo integrale lo può visionare cliccando sulle “decreto legislativo” al primo rigo di questo articolo.
Diciamolo subito, per sgombrare il campo da qualsiasi equivoco e fraintendimento. Marta Cartabia, non è un non tecnico o un tecnico del diritto pivellino. Allieva del Presidente della Corte Costituzionale prof. Valerio Onida, col quale si laureò all’Università degli studi di Milano, è divenuta professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Verona nel 2000. Dal 2004 al 2011, è stata professoressa ordinaria di Diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Il 2 settembre del 2011 è stata nominata giudice della Corte costituzionale, Il 12 novembre 2014 viene nominata vicepresidente della Corte costituzionale e l’11 dicembre 2019 è stata eletta presidente della Corte costituzionale all’unanimità (14 voti a favore e la sua scheda bianca), risultando così la prima donna eletta presidente.
Il 14 settembre 2020, cessato l’incarico alla Corte Costituzionale, ha preso servizio come docente ordinario di Diritto Costituzionale e di Giustizia Costituzionale presso l’Università “Bocconi” di Milano e dal 13 febbraio 2021, in conseguenza della nomina a ministro è in aspettativa dall’Università.
Ho sintetizzato il suo curriculum, ma indicando dati che chiariscono come la nostra Guardasigilli sia un giurista di tutto rispetto.
Ineccepibile in teoria il suo decreto legislativo, che per i non addetti ai lavori sono decreti del governo, aventi valore di legge, emanati in forza delle legge delega con cui il parlamento conferisce al governo una delega, appunto, a legiferare in una determinata materia, definendo i limiti ed i confini entro cui esercitarla. Per intenderci, si differenzia dal decreto legge, pure di competenza del governo, che può essere emanato in casi di urgenza e necessità e deve essere convertito in legge dal Parlamento entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione. Se non approvato nel termine decade automaticamente.
E’ la delega al governo è stata conferita dal parlamento per adeguare la nostra legislazione alla direttiva Ue 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione d’innocenza.
Sta di fatto che la sua applicazione, ovviamente difforme da una Procura all’altra, secondo come il Procuratore capo (o meglio il capo della Procura) l’ha interpretata alla luce anche delle sue convinzioni personali, soprattutto in ordine al rapporto con la stampa ed i giornalisti.
La normativa appena emanata, indubbiamente riconduce al Procuratore ed a lui solo, le comunicazioni con la stampa in ordine ai reati. I sostituti procuratori potranno farlo solo se direttamente e specificamente autorizzati dal capo.
I giornalisti eccepiscono, non a torto, la pericolosità di queste disposizioni per diversi ordini di ragioni. Viene meno la pluralità d’informazione, la comparazione tra fonti diverse che aiuta a stabilire la veridicità della notizia. Se può parlare solo uno è pacifico che quella è la storia. O quella o niente. E’ l’inizio della fine del giornalismo d’indagine. Ma c’è di più, poiché il Procuratore è tenuto ad osservare tutta una serie di regole, piuttosto stringenti, a garanzia dell’imputato, è prevedibile che preferisca osservare il silenzio. piuttosto che dare informazioni che gli si potrebbero ritorcere contro, in giudizi promossi dall’imputato nei suoi confronti. Terzo e peggiore motivo. Ora che può parlare solo uno (anche il Questore deve farsi autorizzare dal Procuratore) non è improbabile che possano verificarsi scelte discutibilissime non solo su cosa dire e cosa no, ma soprattutto su quale imputato parlare, e su quale no. Per essere più chiari il procuratore potrebbe decidere se dare o non dare notizie sui reati a seconda dell’autore. Chiariamo ulteriormente: verranno più fuori notizie, quelle si di interesse pubblico, sull’operato degli uomini potenti a cominciare dai politici?
Senza voler pensare per forza a male, premesso che stando alla riforma, il procuratore può convocare una conferenza stampa solo quanto giudichi la notizia di “pubblico interesse” è emblematico il comportamento di Pierpaolo Bruni, il magistrato alla guida del Procura di Paola. Secondo la sua valutazione, non lo era la notizia dell’arresto del presidente della Sampdoria Massimo Ferrero che è stata diffusa da fonti investigative romane. Alla richiesta di ulteriori dettagli sull’operazione, riferiscono i cronisti calabresi, ha opposto un diniego motivandolo con la lettura testuale della nuova normativa sui rapporti coi media.
A conferma di quanto sostenevamo, i carabinieri hanno riferito ai giornalisti che il procuratore di Como Nicola Piacente gli ha comunicato che “d’ora in avanti ogni comunicazione fatta da noi a voi dovrà necessariamente avere il preventivo assenso dell’autorità giudiziaria che verrà concesso in presenza di due requisiti: che il soggetto interessato è da ritenersi innocente sino a intervenuta sentenza; che vi sia un pubblico interesse a diffondere la notizia stampa”.
E’ un coro unanime dai Colleghi giornalisti: “Dobbiamo sottolineare come la restrizione in capo a pochi soggetti di cosa sia possibile raccontare rischia di determinare una ‘selezione a monte’ delle notizie, cioè che vengano fatte filtrare solo quelle favorevoli o di interesse agli organi inquirenti, producendo così una distorsione della narrazione del Paese”.
Noi vorremmo rammentare alla Guardasigilli, senza nulla togliere alla sua preparazione professionale, che a fronte della più che legittima difesa della presunzione d’innocenza, che deve trovare applicazione sempre e dovunque, c’è un diritto costituzionalmente tutelato che è il diritto d’informazione e la libertà di stampa, che viene compresso solo nei Paesi più incivili e che, per inciso, l’Ue tutela al punto di imporre sanzioni pesanti a Paesi come la Polonia che non lo rispettano fino in fondo. Ed impedire ai giornalisti di attingere notizie non mi pare che rispetti questo prioritario diritto.
Forse in teoria i due diritti convivevano, ma ora quella norma ha letteralmente accoppato il diritto d’informazione.
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