La Gricia e le sue sorelle

Lo storico indaga un po’ su tutte le origini e le versioni delle opere d’arte, della storia, della gastronomia ecc…… e LA GRICIA appartiene ormai alla Storia.

Maria Catalano Fiore

La GRICIA, o Cacio e Pepe romano, vede la sua storia evolversi con l’aggiunta del guanciale, poi di altro……e diventa amatriciana, una storia secolare.

La tradizione dei classici “du Spaghi” alla romana è una indicazione minimalista, in realtà è un percorso da peccatori di gola che non prende in considerazione minimamente la bilancia.

La triade parte, indubbiamente, con la semplice CACIO E PEPE, però, non si può non soccombere a due pezzettini di guanciale e poi, molto tempo dopo il pomodoro, che la rende A’MATRICIANA e poi molto più recentemente CARBONARA.

Il tutto parte da un piatto realmente povero legato alla pastorizia, anche se in origine veniva usata della semplice ricotta salata, in quanto il pecorino era riservato alla vendita ed era una indubbia fonte di reddito.

Il guanciale era una parte povera del maiale che, una volta ritagliata dall’apposito operatore, veniva salato per la conservazione, aromatizzato con salvia e rosmarino e appeso ad una pertica vicino al camino, dove veniva lasciato asciugare tra calore e brezza.

Una preparazione semplice ma da gestire nel rispetto della tradizione. Guanciale tagliato a fette, poi a tocchetti, con cura, lasciando grasso e magro vicini e poi rosolato in padella, rigorosamente di ferro….

E poi versato direttamente sui rigatoni. non occorrono ulteriori condimenti, lo stesso grasso leggermente sciolto farà da ottimo condimento e insaporitore.

Ovviamente nel frattempo avete lessato i rigatoni che vanno estratti dalla pentola al dente, con l’apposita schiumarola, senza scolarli molto, in modo che l’acqua di cottura faccia da mantecatura finale al formaggio pecorino, grattugiato grossolanamente. Il tutto va rigorosamente eseguito lontano dalla fiamma. Una spolverata di pepe nero completa la mantecatura.

Gricia con spolverata di pepe nero.

Sull’Etimologia del termine GRICIA ci sono varie teorie. Nel Rinascimento GRICI erano i panettieri originari dei Grigioni, come “griscium” era il grembiule da lavoro (di colore grigio) che identificava la corporazione dei panettieri, quasi sempre “infarinati”.

Con il termine “Griscio” si etichettava anche una persona un po’ trasandata nell’abbigliamento, garzoni di bottega ed altri che vivevano in casa e bottega con scarsa cura personale.

La triade golosa si evolve con l’arrivo del pomodoro ed ecco nascere i BUCATINI ALL’AMATRICIANA.

Matriciana romana

Ed ecco le battaglie campanilistiche: è vero che gli abitanti di Amatrice, sugli Appennini, rivendicano la primogenitura nell’assemblaggio dei vari ingredienti, come è vero che se loro l’Amatriciana se la pappano con gli spaghetti, a Roma preferiscono, nelle osterie di Trastevere i bucatini che i puristi definiscono “Matriciana”.

L’evoluzione è legata all’uso del pomodoro, ma non di uno qualsiasi, ma del pomodoro “Casalino” che si coltiva tra le vigne. Di maturazione precoce, non interferisce con i tempi della vendemmia e, quindi, era una ulteriore fonte di guadagno per le famiglie.

A dire la verità, storicamente, numerosi ristoratori romani, dopo l’Unità d’Italia, nel 1860, provenivano proprio da Amatrice e a Roma avevano portato le loro tradizioni migliori tanto che, attorno alla centralissima Piazza Navona, esisteva il “Vicolo dei Matriciani”.

Questo piatto viene definito dall’esperto gastronomo Luigi Veronelli: “Un piatto ricco di sostanza inventato dai pastori di Amatrice e importato nell’Urbe”. In seguito definito il piatto delle 5P (Pasta, Pancetta, Pomodoro, Peperoncino, Pecorino) cui lestamente il famoso attore buongustaio Aldo Fabrizi, aggiunse la 6P, ovvero “La Panza”.

Ma è Luigi Carnacina a stabilire le regole finali nella diatriba tra pancetta e guanciale: “Il guanciale ha la carne soda, sotto i denti sfrigola e si spezzetta, la pancetta è molle, si stira e quindi risulta gommosa”.

Interviene poi la Sora Lella, alias Elena Fabrizi, sorella di Aldo e resa famosa proprio dalla sua Gricia, Carbonara e Matriciana, serviti nel suo locale di Trastevere ed elogiata da Maurizio Costanzo nelle sue trasmissioni televisive.

Ma la vera CARBONARA quando si afferma, quando l’uovo entra nella classica ricetta? La cosa sembrerà strana, ma la Carbonara è una vera “Contaminazione”: nel dopoguerra è una contaminazione italo-americana su cui ha lungamente indagato Igles Corelli cuoco di talento e ricercatore instancabile delle origini della tradizione.

Renato Gualandi era un giovane cuoco di origine romagnola. Prestò servizio sotto le armi a Roma, al tempo dei “Liberatori Made in Usa”. Chiamato a gestire la cena di due generali alleati americano ed inglese, che gli chiesero di inventarsi qualcosa, fece una indagine nella loro dispensa recuperando Bacon e uova in polvere, nasce così un prototipo della Carbonara che poi affinerà tanto da risultare il piatto italiano più ricercato e taroccato all’estero.

Carbonara tradizionale

A conferma di questo evento, fa fede, il preciso racconto, nel 1952 di Patricia Bronte Vittles, recensendo per la “Guida ai Ristoranti di Chicago” un piatto che conquistò da “Armando’s”, ovviamente gestito da italo americani.

Carbonara su cui si sono sprecate le diverse interpretazioni e nonostante le contaminazioni, la regola è italiana: Mario Mascioli che mette tutto nero su bianco con alcune regole ben chiare, a prova di tarocco. “1) Usa sempre il guanciale. Si volevamo il bacon annavamo in America. 2) Niente parmigiano, solo pecorino, chi dice metà e metà c’ha quarcosa da nasconne. 3) Niente ajo e niente cipolla, nun stai a fà er ragù. 4) Ne ojo ne burro, ne struto, hai da fa spurgà er guanciale. 5) Niente peperoncino in Calabria ce vai d’estate.

Più chiaro di così!

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