Spose bambine, solo merce

In meno di due anni sono 24 i casi scoperti in Italia dalla polizia di bambine costrette a sposarsi. Matrimoni combinati, mussulmani, ma non solo, una piaga che non accenna a diminuire e se non sei d’accordo…………..

Maria Catalano Fiore

Si parla poco, si sottace, come qualcosa di fastidioso. che viene spostata, rinviata….ci penseranno altri.

In tutto il mondo Asiatico-Africano sono circa 12 milioni le bambine o ragazza costrette a sposarsi ancora minorenni. In Italia questa pratica è vietata. infatti l’art. 84 del codice civile sancisce che i minorenni non possono sposarsi, è prevista una deroga solo se hanno compiuto 16 anni e sono autorizzati dal tribunale per gravi motivi. Sono previste pene da 1 a 5 anni per chi costringe una persona a contrarre un matrimonio non voluto. 18 anni sono l’età minima fissata da gran parte delle nazioni….ma….

Come donna trovo la cosa semplicemente rivoltante, ma ci sono mamme consenzienti, costrette o meno, spesso convinte che sia un bene per le proprie figlie, ma come può essere un bene?

Costrette assai spesso le bambine del popolo gitano, considerate donne solo perché hanno avuto il primo ciclo, spesso neppure quello. Siamo in Italia, non in India o Pakistan, sono cittadini italiani, ma la figlia continua ad essere merce da barattare al primo disposto a pagare.

Bimba Pakistana, piange rassegnata

Il prezzo varia a seconda della giovinezza della bambina e alla “maturità” del promesso sposo.

Ogni tanto qualche episodio emerge nelle cronache di provincia. Ad esempio, una giovanissima kossovara di 12 anni è fuggita dalla sua abitazione di Palermo, perché volevano farle sposare un parente in Francia.

Una marocchina di 18 anni è riuscita a rientrare tra i profughi, dopo essere stata costretta, dal padre, a sposare un cugino anziano in Marocco. Ha denunziato i parenti.

Addirittura vengono celebrati matrimoni di gruppo.

Il 1 giugno 2021 la polizia di Reggio Emilia è riuscita a mettere in salvo una dodicenne indiana che la madre stava per spedire, tramite un fratello, in India dove l’aspettava uno sposo attempato che non conosceva.

L’elenco è lungo, a Brescia il 10 giugno due genitori pakistani minacciano la figlia di farle fare la fine di Sana, uccisa dai più stretti congiunti, per essersi opposta alle sue nozze.

Ma, nel 99% dei casi, storie come queste restano sommerse. Una statistica ufficiale non esiste ancora. Proprio il 10 dicembre, data che coincide con la “Giornata Mondiale dei diritti Umani”, proclamata dall’ONU il 10 dicembre 1948, è stata presentata in Senato una ricerca sui matrimoni minorili in Italia.

Non stupiamoci di questi dati. Il 41% delle vittime di matrimonio forzato ha cittadinanza italiana, il 59% straniera. Ma i dati sono parziali; solo nelle baraccopoli romane sembrerebbe che la quota del matrimoni precoci raggiunga il 77%. Anche se è stata promulgata la Legge 69 del 2019 per cercare di contrastare il fenomeno dei matrimoni precoci o forzati e confermato l’art. 558 bis del codice penale. Quest’ultimo composto da cinque commi così recita:

Art. 558-bis.Costrizione o induzione al matrimonio.

1. Chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

2. La stessa pena si applica a chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile.

3. La pena è aumentata se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni diciotto.

4. La pena è da due a sette anni di reclusione se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni quattordici.

5. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia.

Una sposa bambina sta per partorire….

In Sicilia queste pratiche sono comuni. Da sempre, nonostante nell’agosto del 1981 l’approvazione della legge 442, che abrogava il delitto d’onore, il matrimonio riparatore e anche l’abbandono di neonato per onore, continua nella società arcaica a sopravvivere il “matrimonio riparatore”, spesso provocato, come regola morale. E non solo li, a Padova, un 37enne ha messo incinta una ragazzina di 13 anni, complici suoi parenti. La ragazzina è riuscita a scappare, denunziarlo e farlo condannare a 5 anni. La piccina nata da quella violenza è stata data in adozione e la giovane madre portata in una casa famiglia, dove sta tentando di riprendere gli studi e la sua vita.

Pare che la Storia di Franca Viola, sia servita si e no. Franca Viola si oppose al matrimonio forzato nel 1966, avviando un cambio di mentalità. almeno nelle nuove generazioni. Anche se il regime patriarcale continua a vigere e la mancanza di scolarizzazione femminile non aiuta di certo.

Franca Viola a 16 anni nel 1966

Però l’immigrazione non ci ha aiutato, anzi….: a Napoli succedono ancora, patteggiamenti tra famiglie camorriste, faide da placare e bambine nel mezzo.

A Roma casi vari, non solo in baraccopoli, ma nel ceto borghese con tanto di foto:

L’orgoglioso sposo mostra la mogie che ha comprato.

Purtroppo l’emersione di questi reati è tutt’ora difficile, spesso resta un segreto, da custodire tra le mura domestiche, le vittime sono molto giovani, nate in famiglie connotate da forte cultura patriarcale, costrette ad abbandonare la scuola, talvolta obbligate a rimanere chiuse in casa, per impedir loro di denunziare, ma sulle mancate denunzie gioca, anche e soprattutto, la paura di ritorsioni.

Comunque, i casi più diffusi, stranamente, ma che saltano ai clamori della cronaca nera, si riscontrano tra la Lombardia e l’Emilia Romagna. Al rifiuto del matrimonio spesso consegue lo sfregio del volto per chi si ribella (nel 2021, 65 sfregi), oltre agli omicidi.

A Torino, per esempio. una donna, di origine egiziana, che aveva promesso la figlia 15enne in sposa ad un uomo molto più grande di lei e l’aveva segregata in casa, è stata condannata per sequestro di persona. A Firenze un capofamiglia è stato condannato a 13 anni di carcere ed alla perdita della potestà genitoriale per aver cresciuto in schiavitù le sue due figlie più piccole, per rivenderle “domate” ad un paio di pretendenti francesi, che imponevano di restare magre, curare molto la pelle, imparare alla perfezione i lavori domestici. La segregazione sarebbe durata ben 4 anni.

E poi ci sono le ragazze che non si salvano come Saman Abbas, scomparsa da Novellara, provincia di Reggio Emilia la notte del 30 aprile 2021 e quasi certamente uccisa e fatta a pezzi da uno zio ed un cugino, con la complicità dei genitori.

Ma le femministe che fine hanno fatto? Da tanto sono scese dalle barricate, non usano più slogan e nei loro salotti radical chic ripetono che è la loro cultura, che bisogna rispettare le loro tradizioni. Ma siamo tutti impazziti? Le loro culture è davvero troppo che vengano rispettate nei loro paesi d’origine, ci sono diritti umani inalienabili che non possono essere calpestati da norme disumane. Contro norme o usanze del genere dobbiamo batterci senza se e senza ma, colpendo i Paesi, che le praticano in diritto, o le tollerano di fatto, con durissime sanzioni economiche, unica lingua che tutto il mondo capisce ed osserva.

Qui, se vogliono viverci devono rispettare le leggi italiane, anzi europee, e se vogliano essere più precisi le leggi Onu “sui diritti civili” che valgono in tutto il mondo.

Ma le femministe non si interessano, né si interessano di quelle spose bambine che vengono traghettate come animali e chiuse in casa in Italia con matrimoni né registrati, né convalidati, queste bambine che spariscono sotto i burqa.

L’“accoglienza” non può permettere di mantenere usanze, moralmente esecrabili, ma, quand’anche codificate nel loro Paese, qui vanno dimenticate, pena la galera.

Ma non basta dare una casa e il reddito di cittadinanza a una famiglia di immigrati per ottenere dei cambiamenti, e se una donna mussulmana dovesse ribellarsi non trova difesa. Le istituzioni se ne fregano e per giunta non prendono posizioni neanche contro l’uso del burqa.
Cose che offendono qualsiasi donna.

Cosa fare? Parlarne? Se per questo ne parlava già la Fallaci e nessuno l’ascoltava. Veniva derisa.

Ma sia chiaro: se le donne afghane non vanno abbandonate al loro destino, come sta in realtà accadendo, il fenomeno non è limitato a intemperanze di soli stranieri con atteggiamenti ed educazione da talebani. Occorre vigilare perché molto spesso il nostro italianissimo vicino è un talebano e se va in chiesa al posto della moschea, non cambia proprio nulla. E certo sono soprattutto gli uomini ad esercitare certi abusi, ma la donna complice non è da meno, anzi.

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