Situazione del lavoro oggi in Italia
La delocalizzazione, lo stagismo e i limiti imposti per le assunzioni
Rocco Michele Renna (ospite)
Cosa è la “delocalizzazione”? La delocalizzazione (in inglese offshoring) in economia rappresenta l’organizzazione della produzione dislocata in regioni o stati diversi. Il mercato globale, oltre a consentire l’acquisto di merci in luoghi diversi da quelli usuali, ragionando sul mercato delle offerte a livello planetario e non più nazionale o regionale, ha consentito di pensare che alcune funzioni produttive possano essere totalmente delocalizzate in luoghi ritenuti più adatti.
Il fenomeno va inserito nell’ambito del commercio mondiale che, sebbene strettamente legato alla società moderna, trova le sue radici nel XV secolo e più precisamente nell’anno 1492, che può essere considerato come anno di nascita del sistema economico mondiale, anno che coincide con la scoperta dell’America.
Gli obiettivi sono molteplici, anche se tutti riferentisi alla convenienza economica. Per prima l’economicità, che deriva dalla ricerca di Paesi in cui ci sia un concreto vantaggio comparato rispetto ad altri, vale a dire un insieme di regole, situazioni, usi e consuetudini che rendono quel tipo di lavoro meglio realizzabile lì piuttosto che altrove. Per esempio, una produzione in cui la parte focale sia costituita dalla mano d’opera rispetto al valore intrinseco delle merci in trasformazione, viene realizzata in un luogo in cui il costo del lavoro sia minimo, per esempio la Cina. Una produzione in cui sia necessario un notevole apporto di know-how e software a buon mercato, viene realizzata in India dove sono presenti alte professionalità ad un prezzo orario limitato. Un call-center il cui il costo principale sia derivante dal personale può essere tecnicamente realizzato dove sia possibile trovare personale professionalizzato, a basso costo, in grado di parlare un buon italiano, per esempio in Romania, in Ucraina ecc.
In secondo luogo, oltre al vantaggio comparato naturale, esistono incentivi alla delocalizzazione per ragioni di politiche economiche di sviluppo.
Una terza ragione per delocalizzare, propedeutica in un certo senso alle altre, è la possibilità organizzativa di delocalizzare, cioè avere una organizzazione del lavoro per cui è possibile “staccare” una parte o la totalità di una certa produzione e realizzarla altrove come l’industrie del mobile imbottito che seppur made in Italy viene prodotto in Romania, Cina ecc., come pure le auto, esempio la Iveco che produceva in Russia ecc.
Gli effetti della delocalizzazione sono sfavorevoli al territorio che perde le produzioni, subisce una contrazione dei lavoratori occupati ed impiegati in quel settore e perde competitività strutturale, giacché se prima delocalizzare significava solo dare all’esterno funzioni semplici (un-skilled in inglese), attualmente si delocalizzano funzioni importanti (ingegneria, software, progettazione) che vanno sicuramente ad incidere negativamente sul sistema economico e sociale.
Quindi il danno economico derivante per le nostre terre al sud è incredibile, chi ci guadagna sono solo le grosse aziende che sfruttando il nome del “Made in Italy” schiavizzando gli operai esteri e impoverendo quelli del nostro territorio, a tutto questo si aggiunge la tragedia degli incentivi al lavoro che, se da una parte agevolano l’ingresso al lavoro dei giovani, dall’altra precludono ogni possibilità a chi ha superato i limiti di età per essere sfruttato utilizzando incentivi statali, per non parlare dell’altro grave sfruttamento, lo stagismo e l’alternanza scuola-lavoro.
A tutto questo il movimento grillino, sperando di correggere la situazione ha peggiorato ulteriormente il mondo del lavoro , spero in buona fede.
Il reddito di cittadinanza è una buona idea se applicata nel modo giusto e, soprattutto deve essere un tampone temporaneo perché il soggetto in età lavorativa deve assolutamente rientrare nel mondo del lavoro e non essere parcheggiato sul divano aspettando la manna grillina, per non parlare dei “navigator”, che fine hanno fatto?
Siamo al limite del reato di voto di scambio a questo punto perché non si è prodotto una rivoluzione nel mondo del lavoro ma solo una stagnazione a spese dello stato e quindi dei cittadini.
E’ ora che lo stato italiano cambi veramente, se ne ha la volontà, chi di dovere eletto “purtroppo indirettamente” dal popolo. Infatti, l’abolizione delle preferenze ha trasformato il”popolo sovrano” in notaio delle decisioni dei segretari di partito, unici a decidere della composizione del Parlamento. Urge che si dia da fare per eliminare i limiti di età, favorire le assunzioni regolarmente retribuite nella micro industria e nell’artigianato e soprattutto far funzionare davvero il cosiddetto ufficio del lavoro, che non colloca nessuno, ma che con pastoie burocratiche rallenta, quando non impedisce le assunzioni e, soprattutto eliminando concorsi truffa per lavorare, dove il requisito “merito” è del tutto assente ed il clientelismo dilaga sovrano.
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