Guerra: conflitto e trattative
L’Occidente incrementa le spese militari. Ma in Italia Conte non vuole rispettare gli impegni Nato
Giovanna Sellaroli
Giorno 35 della guerra, continuano i bombardamenti nel nord ovest, malgrado l’essercito russo abbia mostrato l’intenzione ( in realtà ancora tutta da dimostrare) di ridurre le operazioni nell’area, almeno stando agli ultimi colloqui di ieri a Istambul.
Intanto, nelle ultime ore, ancora bombe su Kiev, mentre Zelensky propone che siano almeno dieci le nazioni preposte a vigilare sui punti di un’eventuale intesa.
Nella giornata di oggi sono stati concordati tre corridoi umanitari nel sud del Paese, dove sono intrappoalte migliaia di persone e non si contano i morti. Proprio in questi minuti, il Sindaco di Mariupol, città martire, ha annunciato su Telegram l’evacuazione forzata in Russia dell’intero reparto maternità di un altro ospedale.
E ancora, Chernhiv e’ stata colpita dagli attacchi russi per tutta la notte, nonostante l’annuncio di Mosca di ridurre le operazioni militari nella città. “Non c’è stata alcuna tregua degli attacchi russi su Chernihiv nonostante la promessa fatta ieri durante i negoziati in Turchia di ridurre drasticamente le operazioni militari nella zona che si trova a 150 chilometri a nord est di Kiev”. Lo ha dichiarato il governatore di Chernihiv Viacheslav Chaus sul suo canale Telegram.
Gli Stati Uniti, scettici sulle trattative di ieri, invitano gli americani a lasciare la Russia. Secondo il Pentagono, l’arretramento di alcune forze russe, è dovuto a un riposizionamento e non a un ritiro.
E mentre a Mosca si sferra il colpo mortale all’ultima voce libera dell’informazione, Novaja Gazeta, costretta a chiudere i battenti, “Nessuno dovrebbe farsi prendere in giro dagli annunci russi“, dichiara una fonte dell’amministrazione americana alla Cnn, dopo la cautela con cui Joe Biden ha reagito all’annuncio di ieri da Istanbul su una “drastica” riduzione dell’attività militare russa intorno a Kiev, fatta da un vice ministro della Difesa di Mosca.
Nel diario di guerra tracciato fin qui a sommi capi, si inserisce l’attualità della politica italiana che in queste ore sta offrendo il suo show, quasi degno da notte degli Oscar.
A Palazzo Chigi si respira una brutta aria in queste ultime ore per via dello scontro tra Mario Draghi e Giuseppe Conte sull’aumento delle spese militari. Dopo l’incontro tra il Premier Draghi e il Presidente Sergio Mattarella, il governo non arretra, l’incremento delle spese militari fino al 2% del Pil sarà segnalato già nel Def. Il Governo intende rispettare e ribadire con decisione gli impegni Nato sull’aumento delle spese militari al 2% del Pil, ha detto Draghi.
L’avvocato del popolo, Giuseppe Conte è stato appena eletto, ri-eletto, Presidente del Movimento5 Stelle nella votazione resasi necessaria dopo che il 7 febbraio, il Tribunale di Napoli ha bloccato le votazioni per la modifica dello Statuto e l’elezione dello stesso Conte dello scorso agosto. Alle votazioni, rigorosamente on-line, hanno partecipato meno del 30% degli oltre 130mila iscritti. Un’affluenza misera riconferma Conte a pieni voti.
Il voto è stato animato anche da una campagna elettorale condotta da vero guerriero di pace dall’ex premier, che ha voluto ricompattare il partito sotto lo slogan “no agli armamenti”.
Il M5S «non farà passi indietro» ha detto dopo l’elezione, e continuerà a dirsi contrario all’aumento delle spese militari. Se questo possa portare a uno strappo con l’esecutivo guidato da Mario Draghi, la risposta è no, “non è il Governo dei nostri sogni ma lo sosteniamo con responsabilità”.
Eppure solo due giorni prima del suo incoronamento a leader, ha sonoramente affermato: “No all’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil”. E ancora: “Il M5s non voterà un massiccio aumento delle spese militari, e ognuno si prenderà le sue responsabilità”
Ecco, a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, perché indubbiamente, il richiamo di questi giorni contro gli armamenti, caro al Movimento 5 Stelle delle origini, non può che avere uno scopo ben preciso: quello di far crescere l’affluenza alle urne virtuali del movimento, due giorni fa davvero misera.
Il guerriero di pace Conte ha addirittura minacciato una crisi di governo. Crisi che, in un momento drammatico come questo che stiamo vivendo, è da matti, è una minaccia da irresponsabili, da immaturi e da incoscienti.
Ma vale la pena ricordare che, il 2% del Pil per le spese militari entro il 2024 è stato fissato e sottoscritto dai trenta Paesi della Nato in un vertice del 2014 e confermato da tutti i governi succedutisi, compresi quelli presieduti dallo stesso Conte dal 2018 al 2021. E , sempre per dovere di cronaca, l’impegno è stato appena riconfermato con un ordine del giorno votato all’unanimità dalla Camera, M5s in testa.
Del resto dall’inizio della crisi ucraina (ma non solo ahimè), il Movimento 5 Stelle ci ha abituati alle continue giravolte e dichiarazioni roboanti: anti Putin, no filo-russi, atlantisti e fedeli alleati di Washington, anzi no Nato scettici, Cina sì, ma la Cina … insomma un susseguirsi schizofrenico di prese di posizione spesso mal celato sotto la frase: “è questione di contesto storico differente”
E roboante è anche l’ultima performance dell’ex Sindaca Virginia Raggi, scelta per Expo2030 dal Sindaco Gualtieri (proprio lei che non aveva voluto candidare Roma alle Olimpiadi 2024), che in cinque messaggi scambiati sul gruppo “Quelli che l’M5S”, e svelati da Repubblica, ripropone in chat le tesi rivolte a screditare l’Ucraina, e rilancia la propaganda russa, cavalcando le posizioni anti-Zelensky nella guerra tra Ucraina e Russia. La Raggi inoltre ha riproposto i discorsi del 2014 di un ex europarlamentare M5S, Dario Tamburrano, durissimo contro chi in Europa e negli Stati Uniti ha “fomentato rivoluzioni colorate, favorendo una nuova guerra fredda, con un milione di rifugiati perseguitati dall’Ucraina costretti a fuggire in Russia”.
Cosa ci si poteva aspettare da coloro che sui rapporti avuti con Putin la sanno lunga, più di quanto ora non vogliano ammettere?
Solo per dovere di cronaca riporto un paio di episodi: il 28 giugno 2016, partecipando al congresso di “Russia unita”, il partito di Putin, Di Stefano diceva che l’Ucraina era un “Paese fallito salvato dai soldi dei contribuenti europei”, condannando “l’ingerenza esterna dell’Unione europea e degli Stati Uniti” nelle tensioni del 2014 tra Ucraina e Russia per il controllo della Crimea. “Le sanzioni vanno abolite immediatamente, perché inappropriate e ingiuste come strumento di pressione politica”, aveva detto all’epoca Di Stefano.
E sempre per dovere di cronaca, il 2018 è il momento del Contratto di governo del M5S con la Lega; secondo un’inchiesta del Foglio, in quel periodo il programma elettorale originale votato dagli iscritti sulla piattaforma Rousseau sosteneva: “la miopia della politica estera italiana, dell’Ue e dell’amministrazione Obama non ha permesso di cogliere i timori della Russia e interpretare le azioni di Mosca come volte al mantenimento della sua sfera d’influenza nello spazio ex sovietico a fronte del progressivo allargamento della Nato”.
Il lupo perde il pelo, ma non il vizio.
I no vax, no pass, no tap ora parlano di guerra e si dichiarano no war!
Un pacifismo vergognoso che suona come un intollerabile insulto per coloro che la guerra, come strumento di morte, la rifiutano da sempre e non la vogliono davvero. E non ne fanno uno slogan ipocrita solo nei momenti in cui viene sbandierata per bassi motivi elettorali e di utilità personale.
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