Frammenti di donna – occhi
La personale di Roberto Capriuolo aperta a Matera dall’8 marzo, sino al 29 aprile, sarà presentata presso gli Spazi di Abitare Canario il 10 aprile prossimo.
Maria Catalano Fiore
“Ho passato la vita a guardare negli occhi della gente, l’unico luogo del corpo dove forse esiste ancora l’anima” Josè Saramago
Dall’8 marzo è aperta una Personale dell’artista Roberto Capriuolo nella bellissima cornice della Chiesa Materdomini, nel quartiere Sassi, a Matera ed anche negli Spazi di Abitare Canario, poco distanti.
Roberto Capriuolo, è un artista giovane, ma già dal ricco e selezionato curriculum che in questa esposizione presenta un discorso ed un contenuto artistico abbastanza fuori dai canoni consueti.
Quale Storica dell’Arte, critica e specializzata, presso la Soprintendenza B.C, anche in Demo-etno-antropologia, non potevo che incuriosirmi e seguire da tempo l’operato di Roberto. Come attuale redattore capo cultura de “Lavocenews.it” ne ho parlato diverse volte.
In questa personale Roberto ha messo tutto se stesso ed aperto la sua anima sviluppando un tema per lui molto sentito ed importante: le donne. Le donne come simbolo, ma anche plagiate, vituperate, regine o schiave, Dee, o succubi di figure nefaste, ed ecco nascere i suoi vari cicli pittorici che parlano di donne, dalle “Falene” molto sentite come umiliazione, dell’uomo però, perché la Falena pur vivendo solo nell’ombra, o al limite del sociale, dimostra più dignità ed orgoglio dell’uomo succube che la cerca, e che cerca di annientarla.
Belli i dipinti della serie e belli i versi che li accompagnano sino a girare il bellissimo Cortometraggio “Falene”
Poi si focalizza su altri personaggi di donna, Sirena mitologica o Dea, potente oppure sopraffatta, sino ad arrivare a qualcosa di realmente profondo e dalle radici arcaiche ed etno- antropografiche: Gli occhi delle donne.
Se le mani riescono a farsi comprendere, gli occhi, umani in genere riescono ad ipnotizzare. Sin dalla notte dei tempi gli occhi hanno avuto questo potere. Non a caso gli occhi venivano enfatizzati con il trucco, sin dai primordi, e non solo dalle donne. Tutti gli uomini di una certa posizione o in occasione di festività, amavano sottolineare lo sguardo con Kajal o altro.
Se analizziamo questo aspetto potremmo consumare fiumi di inchiostro: non si tratta solo dell’antico Egitto, ma della Grecia, di Roma, dell’Impero Bizantino, Ottomano, le civiltà orientali, l’India ecc…..
Inconsciamente Roberto, ritrovando casuali e sparsi cocci di creta in periferia, li raccoglie, li pulisce e pensa….ed ecco che riaffiorano ricordi arcaici di occhi ripresi da reperti archeologici antichi. Reperti di cui le nostre terre sono ancora ricche, reperti da tombe o statue di divinità. Un riallacciarsi all’arcaico ed alle quelle divinità che Roberto ama particolarmente.
Tutta questa storiografia grafica andrebbe sciorinata ancora più profondamente, ed etnicamente. Roberto è figlio della Puglia, una società multietnica e muti religiosa in cui i significati primordiali finiscono per fondersi e generare autentiche opere d’arte.
Gli occhi hanno una vera funzione catalizzante, anche nelle opere Rinascimentali e poi via via sino all’arte moderna e contemporanea: La presenza di un Terzo Occhio aperto sull’anima, o al contrario un Occhio svuotato che ritroviamo in quasi tutte le sculture o in modo eclatante nel famoso “Urlo” di Eduard Munch.
Le donne possono essere picchiate, uccise, frammentate, ma i loro occhi saranno sempre aperti come monito, come “denuncia” del torto subito. Come denuncia sorge la sua bellissima e lavorata scultura ” La Conformità del peccato” a grandezza naturale che torreggia proprio al centro di una delle sale
Un discorso lungo e contorto che in territorio materano riporta ad una figura di donna particolare: la poetessa petrarchista Isabella Morra a cui Roberto dedica un Ritratto molto delicato e sensibile scaturito leggendo qualcuno dei suoi versi: “Di dolor mi struggo e sfaccio….qui non provo io di donna il proprio stato/ che dolce vita mi sarìa la morte”.
Isabella Morra chi è questa famosa donna, ammazzata dai suoi stessi fratelli per una ipotetica colpa, ma in effetti solo per avidità?
Isabella Morra una poetessa che ha vissuto, da reclusa, nel Castello di Valsinni e del suo amore per il poeta Diego Sandoval De Castro signore di Bollita. Fa da sfondo alla triste vicenda la guerra franco-spagnola della metà del cinquecento.
Isabella Morra (1520-1526) nasce a Valsinni, vicino Matera da famiglia nobile e conduce tutta una vita infelice ed inquieta nel castello di famiglia una rocca, di antiche origini longobarde, che si affaccia sulla valle del Sinni sognando la corte francese nella quale vive suo padre, con un suo fratello primogenito in un bell’esilio dorato a causa di parteggiamenti tra francesi e spagnoli. Abbandonata in quel severo maniero, gestito dai rozzi fratelli, che la detestavano, ha come unico conforto la lettura dei classici, comporre poesie e fantasticare. La madre, esasperata dalla situazione vive ancora peggio questo esilio forzato, chiusa nelle sue stanze, non comunicando mai con Isabella.
Isabella cresce così, isolata, e la sua tristezza peggiora sempre più. Un canonico, pare suo precettore, per alleviare la sua solitudine favorisce la conoscenza e poi la corrispondenza tra Isabella e il cavaliere e poeta spagnolo Diego Sandoval De Castro, che aveva qualche tempo prima sposato per procura la nobildonna napoletana Antonia Caracciolo. A seguito dei suoi meriti militari, al seguito di Carlo V, viene investito della baronia di Bollita (l’odierna Nuova Siri) e la Castellania di Cosenza, quindi dichiaratamente nemico dei Morra, filo-francesi.
Isabella ha 23 anni quando tra di loro comincia una fitta corrispondenza letteraria, probabilmente i loro rapporti restano platonici, ma la gente mormora e queste chiacchiere raggiungono i fratelli di Isabella che associando motivi di “onore” a quelli politici, attuano una sanguinosa vendetta.
Per sdegno e per onore cominciano uccidendo il maestro di lettura di Isabella. Subito dopo tocca ad Isabella, infine tendono una imboscata a Diego Sandoval in uno dei suoi viaggi a Napoli, dalla moglie. Nei secoli scorsi la tragica esistenza di Isabella ha travisato critici e generato leggende. L’esame più recente, ad opera di Benedetto Croce, nel 1928, ha riabilitato Isabella come poetessa che conosce profondamente sia il Petrarca che Dante Alighieri. Anche Giacomo Leopardi era un suo estimatore.
Bisogna dire che i suoi versi, pubblicati in parte, nel terzo libro di Ludovico Dolce, che raccoglieva “Rime di diversi signori napoletani” (1552) sono stati poi pubblicati integralmente da Marcantonio, figlio del suo fratello minore Camillo, estraneo a quei fatti, perché lontano che pubblica una Storia della famiglia nel 1629.
Vi sono anche le carte processuali intentato dagli spagnoli contro i fratelli Morra per l’omicidio di Sandoval. Da queste varie pubblicazioni comincia la notorietà della poetessa. Isabella è una donna unicamente colpevole di aver vissuto in un’epoca che considerava la donna intellettualmente inferiore all’uomo in un territorio arretrato dove secoli dopo Carlo Levi scriveva che nessuna donna poteva frequentare un uomo se non in presenza di altri.
Isabella è una dolente figura di una poetessa che rappresenta tutte le donne schiave e vittime di una realtà ostile che impedisce la libera espressione di vita e sentimenti. Ancora oggi, nonostante vari saggi di scavo, non sono stati ritrovati i suoi resti, alimentando fantasie e miti.
Questa Personale è da vedere e gustare con calma, nella stupenda cornice naturale dei Sassi di Matera sino al 29 aprile.
Si ringraziano per i permessi e la collaborazione ad occupare la Chiesa Materdomini, l’Istituto Diocesano per il sostentamento del Clero ed Abitare CANARIO per gli spazi.
In seguito, dal 1° al 25 maggio presso il Museo Civico di Gravina, grazie alla Presidente Aulenti Maria Nunzia ed il Direttore Tecnico Loviglio Giuseppe.
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