Padiglione Italia alla Biennale 2022

Un lungo viaggio nella contemporaneità, nel degrado periferico ed esistenziale.

Maria Catalano Fiore

Non abbiamo ancora affrontato l’argomento Biennale di Venezia 2022: Padiglione Italia, volutamente.

Su questo padiglione si è detto di tutto e di più, in testa Vittorio Sgarbi che ha usato termini denigratori ed altro, adoperando tutto il suo colorito vocabolario da portuale, seguito ovviamente da qualche suo proselito.

L’Arte non è mai brutta, si fa brutta arte quando tutto il mondo è in una situazione sociale impossibile, lo ha dimostrato Henri Marcel Ducamp (1887-1968) con il suo “Orinatoio” dadaista del 1917 da sempre oggetto di ipotesi e tesi.

Fontana o orinatoio di Marcel Duchamp 1917

Lo ha dimostrato anche la scultura “Merda d’Artista” un opera dell’artista concettuale Piero Manzoni prodotta nel 1961.

Sono una storica e critica che ama analizzare fatti e situazioni, è questo il metodo che ho appreso dai miei professori presso l’Ateneo: Mariella Basile, Nino Lavermicocca, Giosuè Musca, Raffaele Licinio, poi sui testi di Giulio Carlo Argan e Arnold Hauser (1892-1978) soprattutto quest’ultimo storico e sociologo ungherese, attivo soprattutto in Gran Bretagna, autore di quella “Storia Sociale dell’Arte” che ha cambiato notevolmente l’approccio all’arte di numerosi storici. Nonché dai discorsi di Umberto Eco durante la Specialistica ad Urbino.

La “Storia Sociale dell’Arte”, scritta da Hauser, tra il 1940 ed il 50, pubblicata in Italia da Einaudi nel 1956, in seguito arricchita da “Tendenze e metodi della critica moderna” (1958) ed, in seguito, con la “Sociologia dell’Arte” pubblicata in Germania nel 1974 e poi tradotta in Italia, sempre per Einaudi in tre volumi completa il riconoscimento e la relazione dialettica tra Arte e società in cui viviamo.

Conosco Gian Maria Tosatti da qualche tempo, agli inizi difficile da interpretare, poi molto più esplicito e soprattutto carico di contenuti, non per altro è stato nominato da circa un anno, Direttore della “Quadriennale di Roma”, per dare un impulso contemporaneo ad una manifestazione che stava ormai languendo.

Gian Maria Tosatti

Stessa operazione per la Biennale di Venezia che con la nuova direzione di Cecilia Alemani nel 2020 attualmente ha un titolo ed un filo conduttore preciso “Il latte dei sogni” una frase ritrovata su un Catalogo della XXIV esposizione, una annotazione fatta da una studentessa di nome Lucia, tra le note a margine, ha apportato nuove idee e linfa, variando le Commissioni internazionali ed altro.

In questa fase storica si colloca il Padiglione Italia, non “Desolazione che costa cara” come ha tuonato Vittorio Sgarbi, forse perché allontanato dalla divisione della torta che Sgarbi definisce troppo cara, considerando i fondi ministeriali e le sponsorizzazioni private. Ma tutto ha un perché: Innanzi tutto, lui abituato ad opere baroccheggianti e desuete e a far cassa stivando opere in spazi fieristici che alla fine sembrano mercatini rionali, non ha compreso la socialità degli spazi di Tosatti né la richiesta dei suoi silenzi.

Gian Maria Tosatti (Roma 1980) è un “Artista Visivo” così egli stesso si definisce: “i suoi progetti sono indagini a lungo termine sui temi legati a concetti di identità, sia sul piano politico che spirituale. Il suo lavoro consiste in grandi installazioni di siti specifici concepiti per interi edifici o aree urbane”. Tosatti è anche giornalista e scrittore, editorialista, scrive saggi sull’arte e la politica.

Gian Maria Tosatti: Basso a Napoli

A Tosatti è stato assegnato dal curatore dello Spazio Italia, l’architetto Eugenio Viola, la responsabilità di allestire tutto lo spazio: per la prima volta affidato ad un solo artista. Il Titolo scelto “Storia della Notte e Destino delle Comete” un po’ letterario.

Viola aveva già curato opere di Tosatti al “Museo Madre di Napoli” dove Tosatti ha dimostrato in pieno di essere il curatore di spinta dell'”attivismo Italiano” cioè l’Arte che si fa Sociologia. Qualcuno la definisce “Retorica” questa installazione di spazi industriali vuoti con macchinari in disuso e spazi abbandonati, sono scenari spiazzanti ma che forniscono l’immagine di una visione che si avvia verso il finale. Tra Pandemia e guerre le fabbriche e gli uffici si stanno svotando, chi chiude, chi affida il lavoro in casa e la gente cambia totalmente modo di vivere.

Scenografie vuote per uno spettacolo che non ha più attori operativi. E’ qualcosa che tocca tutte le nostre vite, Industrializzazione precipitosa che ha attinto dal Sud per alimentare le industrie del Nord, le fabbriche, le storie di chi ci ha lavorato, di chi poi è rimasto disoccupato, disorientato, senza radici né affetti. Gian Maria Tosatti entra nel ventre del paese, un ventre in grave sofferenza che sta collassando.

Lo trovo assolutamente al passo con i tempi. Riflettiamoci, la situazione è nettamente in crollo. Non esiste più un rapporto tra colleghi o collaboratori, o lavoro di squadra, chi lavora da casa attraverso il PC man mano finisce con il convivere tra il pigiama e una vecchia tuta, uomo o donna. La spesa si può fare online o addirittura consumare pasti da asporto. Se ci sono figli in età scolare anche questi ciondolano annoiati, senza interagire con amici o compagni.

Le donne già doppiamente penalizzate nell’assolvere non più due compiti di lavoro e mamma, ma ben tre: 24 h 24 lavoro, mamma, docente. Lo stipendio in molti casi dimezzato, porta all’esasperazione di licenziarsi, rinunciare a quell’agognato lavoro che permetteva di avere rapporti sociali, due euro in più da spendere dal parrucchiere o per l’acquisto di un nuovo capo di vestiario, tutto gira intorno a quel PC e ormai non ne basta più uno solo, ne due o tre cellulari, la tecnologia limita persino il dialogo tra coniugi mentre i locali di uffici e fabbriche languono sotto strati di polvere per poi finire vandalizzati.

E’ questo per cui abbiamo studiato, ci siamo prodigati, abbiamo sacrificato il nostro tempo….? Attraverso queste installazioni stiamo ottenendo “una consapevolezza nuova e generare riflessioni concrete sul possibile destino della civiltà umana”. Nientepopodimenoche…… grande Totò.

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