L’Europa a Kiev, Confindustria a San Pietroburgo
Nel giorno del viaggio storico dei leader europei in Ucraina, Confindustria vola al forum economico di Putin
Giovanna Sellaroli
Nel giorno 114 di guerra, Kiev ieri ha incassato il sostegno dei principali leader europei in una visita definita storica. L’Ucraina, martoriata e sempre più devastata dagli incessanti attacchi russi, riceve un messaggio forte dopo che nelle ultime settimane, in particolare Macron e Scholz, avevano rilasciato dichiarazioni sospette e a intermittenza sui “due belligeranti”.
Accolti da un lungo allarme di sirene antiaeree, i quattro leader europei, Darghi, Macron, Scholz e Iohannis, sono arrivati in treno nella capitale ucraina e poi hanno visitato Irpin, una delle città più colpite dai bombardamenti e teatro di massacri di civili. Draghi: “Avete il mondo dalla vostra parte, Italia vuole Ucraina in Ue”, e ancora: “Vogliamo la pace, ma l’Ucraina deve difendersi”. Il presidente francese: “Serve che l’Ucraina possa resistere e vincere la guerra”. Il cancelliere tedesco: “Aiuteremo finché sarà necessario per la lotta per l’indipendenza dell’Ucraina”. Sul tavolo l’adesione di Kiev all’Ue, la crisi del grano e la fornitura di nuove armi.
Una visita che arriva in un momento difficile, come hanno confermato i servizi di intelligence americani. La guerra è entrata in una fase cruciale: da settimane il grosso dei combattimenti si concentra nel Donbass e, principalmente, a Severodonetsk, che i russi stanno bombardando ferocemente nell’intento di conquistarla il prima possibile.
Le notizie di pochi minuti fa ci dicono che nella regione di Kharkiv almeno 10 case private sono state danneggiate e una scuola e un condominio sono stati distrutti. Lo afferma il governatore, Oleh Synyehubov su Telegram descrivendo gli attacchi come “crimini di guerra degli occupanti russi”. “I combattimenti continuano sulla linea di contatto. Nella direzione di Kharkiv, il nemico ha cercato di condurre una perlustrazione combattendo nell’area di Kochubeyevka, ma ha subito perdite e si è ritirato. Nella zona di Izium, gli occupanti stanno cercando di continuare l’offensiva in direzione di Slavyansk. I nostri difensori respingono tutti gli attacchi del nemico“, scrive il governatore su Telegram.
Secondo Kiev, l’aviazione ucraina ha attaccato le concentrazioni nemiche nelle regioni di Kherson, Kakhovka e Berislav. Le truppe russe hanno subito perdite significative nella regione di Kherson come riporta lo Stato Maggiore Generale delle Forze Armate ucraine sulla sua pagina Facebook.
Intanto le truppe ucraine hanno quasi completamente evacuato la città di Severodonetsk, attestandosi su nuove posizioni a Lysychansk a causa della distruzione dei ponti che impediscono di rifornire in maniera efficace l’altra sponda del Donec. Centinaia di civili rifugiati nell’impianto chimico Azot di Severodonetsk non sono più in grado di evacuare a causa dei continui bombardamenti dell’artiglieria russa, dicono i funzionari.
Al momento l’Ucraina perde il 20% circa del suo territorio, le notizie che arrivano dal campo di battaglia sono spesso contraddittorie. “Ogni giorno nel Donbass vengono uccisi fra 200 e 500 soldati ucraini, e un gran numero di militari rimane ferito“, ha dichiarato Davyd Arakhamia, politico ucraino e membro del team che ha tentato di negoziare con la Russia nei primi giorni di guerra. E aggiunge: “l’Ucraina ha mobilitato un milione di persone e ha la capacità di arruolarne altri due milioni, ma ciò che manca sono le armi e le munizioni”.
“Give us the tools, and we’ll finish the job” (Dateci gli attrezzi e noi finiremo il lavoro), diceva sapientemente Winston Churchill.
Sempre nella giornata di ieri, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha condannato “una guerra di logoramento implacabile contro l’Ucraina” condotta dalla Russia e ha affermato che la Nato ha continuato a offrire “un sostegno senza precedenti in modo da potersi difendere dall’aggressione di Mosca”.
Eppure, sulla giornata storica per l’Europa che con la visita dei suoi leader ha offerto sostegno incondizionato al Presidente Zelensky e al popolo ucraino, qualche dubbio insorge, è solo tutto oro quello che luccica su questa giornata?
A Kiev già qualcuno aveva avanzato il timore che i tre leader potessero fare pressioni per un accordo di pace favorevole anche al presidente russo Vladimir Putin, pur di arginare la guerra del gas e la minaccia di una crisi alimentare globale a causa del blocco del grano, ricordiamo ancora che a oggi, la Russia occupa circa il 20% del territorio ucraino. Francamente il dubbio rimane e la visita di ieri sembra più simbolica che risolutiva.
Il viaggio dei leader europei è senz’altro stato un momento storico, ma, al di là delle belle parole, soprattutto quelle efficaci pronunciate dal nostro Presidente Mario Draghi, davvero è stato un incontro sincero?
L’Ucraina aspetta sempre più armi, il 9 giugno il ministro della Difesa ucraino Oleksiy Reznikov ricordava su Facebook che “la situazione al fronte è difficile per le forze ucraine” benchè i russi subiscano “enormi perdite, hanno ancora forze per avanzare in alcune parti del fronte”. Per questo Kiev ha ”un disperato bisogno di armi pesanti, velocemente’ precisando che “più di 150 pezzi d’artiglieria da 155 mm. sono stati forniti all’esercito” e che “le scorte di proiettili di questo calibro sono già del 10% superiori alle scorte di proiettili di grosso calibro di tipo sovietico presenti al 24 febbraio 2022”.
E il 10 giugno il vice capo dell’intelligence militare ucraino, Vadym Skibitsky, in un’intervista al quotidiano britannico The Guardian ha dichiarato che “l’Ucraina sta perdendo la guerra contro la Russia e ora dipende quasi esclusivamente dalle armi provenienti dall’Occidente per combattere Mosca. Questa è ormai una guerra di artiglieria. I fronti sono ora il luogo in cui si deciderà il futuro e stiamo perdendo in termini di artiglieria”
Insomma, il sospetto che ieri i leader siano andati a Kiev per invitare Zelensky di scendere a patti, viene.
E mentre solo qualche ora fa il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, in un’intervista alla BBC, parlando di un rapporto ufficiale delle Nazioni Unite su presunti crimini di guerra contro i civili commessi dalle forze russe nel villaggio ucraino di Yahidne, nella regione di Chernihivha ha detto “la Russia non è perfettamente pulita, ma non si vergogna … Il dialogo con l’UE non è una priorità … Non abbiamo invaso l’Ucraina, abbiamo dichiarato un’operazione militare speciale perché non avevamo assolutamente altro modo di spiegare all’Occidente che trascinare l’Ucraina nella Nato era un atto criminale”, sul mercato del gas la situazione precipita di ora in ora.
L’Eni fa sapere che Gazprom ha comunicato che le sue forniture di gas verso l’Europa attraverso l’Ucraina via Sudzha sono scese da 42,5 milioni di metri cubi di ieri a 41,9 milioni di metri cubi, circa il 35-40% in meno di quello considerato normale.
Guerra, crisi energetica, inflazione e borse in ribasso altalenante, sono gli spettri che aleggiano sull’Europa e sono le sfide che attendono il prossimo vertice Nato che si terrà a Madrid il 29 e il 30 giugno prossimi, dove non è escluso che il Presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, possa partecipare di persona. Lo ha detto il ministro degli Esteri spagnolo, José Manuel Albares, nel corso di un’intervista a Sky News.
Tutto questo mentre in Russia, a San Pietroburgo, è in svolgimento il 25esimo Forum economico internazionale, Spief, il più importante appuntamento annuale con la comunità economica e finanziaria russa e internazionale che si tiene ogni anno dal 1997. Oggi è atteso l’intervento di Vladimir Putin che secondo le indiscrezioni “valuterà la situazione politica ed economica mondiale e delineerà la direzione dello sviluppo della Russia”.
Si tratta di un evento molto partecipato che riunisce gli amministratori delegati delle principali aziende russe e internazionali, rappresentanti delle camere di commercio e delle associazioni industriali, capi di stato, leader politici, premier, vicepremier, ministri e governatori di almeno un centinaio di paesi. Nelle scorse edizioni ha registrato gli inteventi di leader del calibro di Angela Merkel (nel 2013), Emmanuel Macron (2018), Xi Jinping (2019), Matteo Renzi (2016), nel 2021 erano rappresentate ben 141 nazioni, con oltre 5 mila rappresentanti di aziende russe e internazionali.
Nella kermesse di quest’anno, tante le defezioni rispetto al passato, i partecipanti sono ridotti alla metà, 2.700, tra cui, e non poteva certo mancare, il Presidente brasiliano Jair Bolsonaro. Presenti anche l’emiro del Qatar e il Presidente del Congo.
E non manca neppure l’Italia. Sì, perché gli industriali italiani ci saranno, Confindustria Russia infatti, è presente con il suo direttore Alfredo Gozzi che interverrà con una relazione dal titolo “Gli investitori occidentali in Russia”, in cui si discuterà della necessità di stabilire una cooperazione tra investitori occidentali e Russia in una fase in cui “la situazione sui mercati globali, l’ambiente geopolitico e i media stanno esercitando una forte pressione sulle aziende occidentali che lavorano in Russia”, come anticipato qualche giorno fa dal Foglio.
Il forum economico di San Pietroburgo, insomma la Davos russa, è stato disertato da buona parte dell’occidente, un atto simbolico (ma concreto direi), contro la guerra in Ucraina. E proprio mentre Mario Draghi visitava Kiev, portando solidarietà e spendendo parole di peso (quanto concrete, vedremo), il capo di Confindustria Russia Gozzi, molto concretamente, invitato da Pavel Shinsky, direttore della Camera di Commercio russo-francese, a svelare al pubblico “il segreto italiano per preservare la vostra posizione e al tempo stesso il mercato russo”, risponde con testuali parole: “Il nostro segreto sono le piccole e medie imprese. E la maggior parte delle pmi italiane finora non ha lasciato la Russia. Vogliono continuare a lavorare con le aziende russe, restare nel mercato”, in barba a tutte le sanzioni.
Gli fa eco poi, Vincenzo Trani, presidente della Camera di commercio italo russa, che affonda: “La politica non può entrare nel business. Quando i businessmen diventano politici e viceversa, non può funzionare”. Ma il momento clou della performance italiana a San Pietroburgo, termina così: “La maggior parte delle nostre aziende continua ad operare. Non perché approvino la situazione attuale, ma perché hanno un approccio diverso … Io spiego loro che siamo la Camera di Commercio delle aziende italiane ma anche russe. Siamo il ponte tra Italia e Russia. E soffriamo quando vediamo che questo ponte è rovinato”
Rovinato dice Trani. In verità a essere rovinati siamo noi italiani e la nostra credibilità. Si pensi solo che a essere accolti con tutti gli onori, nell’edizione odierna, sono stati i Paesi che non hanno aderito alle sanzioni come il Kazakistan, l’Armenia, la Bielorussia, l’Egitto, il Venezuela, l’Iran, il Tagikistan, la Siria, Nicaragua, Uruguay, Messico, Colombia e Belize. E soprattutto i talebani, e il Myanmar che ha un governo militare. E, dulcis in fundo, l’Italia!
Secondo quanto riporta Bloomberg, molti amministratori di importanti società, preoccupati di essere segnalati all’evento, hanno addirittura chiesto all’organizzazione di non essere identificati nei loro badge. Costo del biglietto: 16.600 dollari a persona.
Gli italiani però, non hanno avuto nessun imbarazzo, non hanno avuto bisogno di nascondersi, ma, a testa alta hanno praticamente spiegato quanto la politica occidentale posta in essere sull’invasione russa dell’Ucraina e le conseguenti sanzioni imposte, siano sbagliate.
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