Conte: “Non c’è motivo che io lasci la guida del Movimento”

“Il nostro sostegno a Draghi non è mai stato in discussione”

Gianvito Pugliese

Giuseppe Conte afferma, perentorio, che il sostegno a Mario Draghi “non è mai stato messo in discussione”. Il leader del Movimento lo dichiara ai giornalisti, in attesa dinanzi alla sede del partito, uscendo dal vertice dei big, con al suo fianco il presidente della Camera, Roberto Fico.

Il Movimento aggiunge “rimarrà sempre la prima forza politica. Ve lo assicuro” e si concentrerà sui “temi che sono l’ossatura fondamentale della nostra missione in politica”.

Alla domanda di alcuni colleghi “se pensa di lasciare dopo l’uscita di Luigi Di Maio“, Conte precisa: “Per quale motivo?. L’uscita del Ministro degli esteri è un fatto di cui non va trascurato il rilievo politico ma rimaniamo forti con inostri valori, ideali e progetto politico”.

Due osservazioni per amor di verità. Conte, quando affermava che “gli iscritti ci hanno chiesto di uscire dal governo” raccontava balle o le racconta oggi, negando di aver minacciato Draghi di essere costretto dalla base ad abbandonate la maggioranza? Se l’intenzione era quella di ammorbidire Draghi sul rispetto degli impegni europei e atlantici, è davvero molto peggio.

Seconda osservazione: la matematica non è un’opinione. I pentastellati che hanno iniziato la legislatura con 227 deputati e 111 senatori (divenuti poi 112 per riassegnazione di un seggio) all’atto dell’abbandono di Di Maio e dei suoi “fedelissimi”, cioè ieri, era ridotto a 155 deputati e 72 senatori. E’ noto che con Di Maio sono già transitati 51 deputati e 11 senatori del Movimento. Per l’effetto, il M5S dispone di 105 deputati a Montecitorio contro i 132 della Lega e di 61 senatori come la stessa Lega. Per effetto della somma il primo partito oggi è la Lega e la dichiarazione di Conte per cui il Movimento “rimarrà sempre la prima forza politica. Ve lo assicuro” sembra frutto del sole cocente di questa mattina, che è l’ipotesi più favorevolmente pietosa che si possa avanzare.

Certo, essere ridotti nei sondaggi, dal 33/34% dell’aprile 2018, al 12,3% al 17 giugno c.a., prima del terremoto “Luigi Di Maio”, ed aver portato, mentre era due volte premier (in quota cinque stelle) e poi Presidente-capo politico del Movimento, da 339 parlamentari a 162 (dato odierno comprensivo della defezione di Di Maio e co.), può, per qualcuno, legittimamente non essere considerata una giusta causa di dimissioni (l’inchiodamento alla poltrona è malattia decisamente epidemica nel Paese, più diffusa dl Covid-19).

Ora attendiamo, molto probabilmente nella settimana successiva al turno di ballottaggio, di sapere dai sondaggi come ha reagito l’elettorato a questa scissione.

Una domanda vorremmo nel frattempo porre tanto a Beppe Grillo, che al meno autorevole Giuseppe Conte, ed è questa: “Premesso che gli iscritti vengono chiamati a pronunziarsi, attraverso consultazioni sulla piattaforma, per ogni decisione che abbia un peso, sia pur minimo, non era il caso di un voterello sulla linea da adottare, sul sostegno o meno dell’Ucraina, aggredita ferocemente da Putin? Se negativa avrebbe messo in discussione la linea europeista ed atlantista della maggioranza. A me non sembra una bazzecola, una decisione da prendere a cuor leggero.

Non credo che a questa domanda avrò mai una risposta. Mi rendo perfettamente conto che la rispondere è parecchio imbarazzante.

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