La nascita della ciliegia ferrovia e Domenico Pugliese (Don Mim)
La ciliegia ferrovia è una varietà di ciliegia originaria delle Murge, in Puglia, famosa oltre che per la sua eccezionale qualità. Quella che si conserva meglio in alcool. Sono contese le origini tra Turi e Sammichele di Bari.
Rocco Michele Renna
La ciliegia ferrovia ha la caratteristica di essere “grossa”, terminante a punta e di possedere un peduncolo lungo. Le prime notizie della ciliegia ferrovia si hanno nel 1935. Il suo sapore è intenso, tanto da renderla la preferita per la distribuzione alimentare. È possibile mantenerla fresca per parecchi giorni (7 giorni circa) e quindi viene esportata in tutta l’Europa tramite camion frigoriferi.
Ci sono due versioni riguardanti l’origine della ciliegia ferrovia:
Una versione vede come luogo di origine Turi: secondo questa versione la ciliegia ferrovia nasce negli anni trenta in un terreno nei pressi della Masseria Caracciolo, nel cuore del territorio di Turi, quando due agricoltori locali, Matteo Di Venere e Giovanni Arrè, dopo un frugale pasto, accompagnato, da alcune ciliegie ne seminarono i noccioli nei pressi di una piccola specchia di pietre.
Ad un anno dalla semina, i noccioli iniziarono a germogliare e qualche anno dopo si iniziarono a raccogliere i primi cesti di vimini colmi di ciliegie. I due agricoltori decisero di provare a commercializzare il prodotto anche nel nord Italia. dopo aver constatato che i frutti possedevano caratteristiche di lunga conservazione che li rendevano idonei a lunghi trasporti in treno.
Quindi il nome dato a questa cultivar deriverebbe dal fatto che il frutto, conservandosi a lungo ed essendo molto resistente, era adatto al trasporto ferroviario verso il nord Italia ed oltre confine; per questo sarebbe stata chiamata “ciliegia ferrovia” (considerando che all’epoca la maggior parte del traporti di merci a lunghe distanze veniva fatto, quasi esclusivamente, tramite ferrovia).
Un’altra versione vede come luogo di origine Sammichele di Bari: il nome “Ferrovia”, secondo la tradizione comune, risale al 1935 quando fu notato il primo albero di questa varietà di ciliegia vicino al casello delle Ferrovie Sud-Est proprio di Sammichele di Bari e curato per diversi anni dal casellante ferroviario dell’epoca, Giorgio Rocco. Da allora questa, ormai diffusa su tutto il territorio del Sud-est barese, fino ad arrivare a essere la principale cultivar della zona, prese il nome di “Ferrovia”. Dovrebbe essere quella più veritiera ed è, comunque, quella maggiormente raccontata… e accreditata.
Dalla “Storia romanzata” pubblicata sull’Antologia del Premio Letterario Internazionale “Città di Castellana Grotte” di Stefano Mallardi:
“Quella prima domenica di febbraio c’era un tiepido sole, e un lieve scirocco si era sostituito alla gelida tramontana dei giorni precedenti. Erano le dieci. Leonardo stava parlando con Modesto Dell’Aera, uardabosk (ndr.guardaboschi), sul marciapiede antistante il Caffè Susca. Avevano già bevuto il solito bicchierino domenicale di quell’acquavite e succo di agrumi che Gabriele D’Annunzio chiamava AURUM di Pescara.
– … L’albero sta vicino al casello ferroviario, delle Ferrovie Sud-Est, che dista novecento metri da Sammichele di Bari. –
– Ma chi ha innestato quell’albero di ciliege? – chiese Modesto.
– Non è stato innestato perché è nato direttamente dal nòcciolo di una ciliegia. Qualche viaggiatore, che alcuni anni fa mangiò le ciliege nel treno, buttò i noccioli dal finestrino … e io sono sicuro che quel viaggiatore era un turese! … Sì! … Era salito dalla stazione di Turi! … Questo non me lo toglie nessuno dalla testa! – sentenziò Leonardo. E poi aggiunse: – Ora ti devo lasciare, andrò a cercare quell’albero. Per fare meno strada devo andare dalla via vecchia … il passaggio a livello e il casello si trovano su quella strada. – Inforcò la bicicletta, che era poggiata al marciapiede, e incominciò a pedalare. – Ricordati di portare qualche ramo anche per me! – gli gridò Modesto. Dopo una ventina di minuti, Leonardo, giunse al casello ferroviario, scese dalla bicicletta e andò a bussare alla porta. Il casellante, Rocco Giorgio (cognome Giorgio), aprì la porta con la mano sinistra, mentre con il braccio destro stringeva al petto il piccolo Giuseppe che non aveva compiuto un anno: era nato, in quel casello, nel mese di luglio del 1937.
– Roccoo! –
– Leonardoo! … Fammi lasciare il piccolo Giuseppe a mia moglie… voglio abbracciarti! – Lo fece subito. – Vorrei sapere che cosa ti ha spinto a cercarmi. Non ti vedo dalla mattina del 26 agosto 1935, ricordi? A Turi festeggiavate Santo Oronzo! … Mi offristi anche una cassata nel Caffè Susca! … Ho saputo che sei andato volontario in Etiopia, ti hanno pagato bene e hai acquistato un ettaro di terra … adesso fai la guardia campestre, hai anche cambiato mestiere! Non fai più il potatore. –
– Tutto vero, Rocco! Ti hanno informato bene. Nel terreno che ho acquistato voglio avere molte varietà di alberi da frutto. Sono venuto a trovarti prima di tutto per salutarti … per vederti, e poi perché ho saputo che qui vicino c’è un ciliegio che porta dei frutti straordinari … mi servono alcuni rami per innestarli su qualche albero. –
– Vedi, l’albero si trova dall’altra parte dei binari – e lo indicò con la
mano. – Vieni, per non attraversare i binari, dobbiamo girare dal carraio che porta alla masseria Sciuscio.
La settimana prossima lo spianteranno perché i macchinisti dicono che incomincia a dare fastidio ai treni. Mi dispiace … l’ho visto spuntare fra l’erba e le pietre. D’estate gli davo l’acqua per farlo crescere in fretta. Ero curioso di vedere i suoi frutti. Devo dirti che le ciliege di quest’albero non le ho mai viste altrove. I Sammichelini hanno fatto molti innesti in questi giorni … ora devi accontentarti dei rami che ti hanno lasciato le altre persone. – Leonardo incominciò a tagliare i rametti, e Rocco continuò a parlare. – Se poi gli innesti non attecchiranno, potrai sempre trovare qualche alberello già innestato presso il vivaio di Lorenzo Mallardi (sciasciòne). –
– Non lo conosco. Io conosco i Lagravinese. –
– I Lagravinese sono i primi vivaisti di Sammichele, ma vendono solo alberelli di mandorlo e di ulivo. Non hanno alberelli innestati. Lorenzo Mallardi, ha mandorli, ulivi … ha anche molti esemplari di piccoli alberi da frutto già innestati …vende anche piantine di fiori –
– Rocco, questi rametti sono sufficienti … ho fatto anche qualcuno per il mio amico Modesto; non credo che tutti e due sbaglieremo gli innesti. A proposito, vuoi dirmi com’è la ciliegia di quest’albero? –
– Il peduncolo è lungo … la ciliegia è grossa e termina a punta … è durissima. A Sammichele la chiamano LA FERROVI’ (la ferrovia) perché l’albero è nato spontaneamente a pochi metri dai binari. –
– A te ci credo, Rocco. Adesso sono veramente sicuro di ciò che andrò ad innestare. Ti chiedo scusa, ma devo salutarti … a casa mi aspettano alle ore tredici precise … mia moglie … – L’urlo improvviso di decine di persone lo bloccò: – Eia eia alalà! Eia eia alalà! –
– Rocco, il grido di guerra greco-romano!… Il grido di guerra dei fascisti!… –
– Sono gli avanguardisti. Vengono ad allenarsi la domenica. Qui vicino c’è un percorso di guerra, non te ne sei accorto? Guarda lì! … Adesso canteranno una canzone, e se ne andranno a pranzare. –
– Eia eia alalà! Eia eia alalà! Eia eia alalà! –
– Adesso inizieranno a cantare … –
– Duce! Duce! Duce! Duce! –
– Ecco, ci siamo … –
Duce! Duce! Chi non saprà morir?
Il giuramento chi mai rinnegherà?
Snuda la spada quando tu lo vuoi,
gagliardetti al vento, tutti verremo a te!
Va! la vita va!
Con sé ci porta e ci promette l’avvenir.
Una maschia gioventù
con romana volontà
combatterà.
Verrà, quel dì verrà
che la gran Madre degli eroi ci chiamerà
per il Duce, o Patria, per il Re!
A noi! Ti darem
Gloria e Impero in oltremar!…
– Sanno cantare quei giovani avanguardisti! –
– Carissimo Leonardo, io non me ne intendo, e non voglio sentire parlare di guerre, di conquiste … spero che non ci siano altre guerre … –
– Ciao, Rocco! Fatti vedere a Turi … un abbraccio! –
– Ciao, Leonardo! Mi raccomando, non sbagliare gli innesti! –
Le speranze delle pacifiche popolazioni del Sud furono deluse. I guerrafondai del Nord trascinarono l’Italia nella seconda guerra mondiale. I figli del Sud furono costretti a combattere in prima linea, mentre quasi tutti i nordisti erano imboscati nelle retrovie, negli uffici, nelle fabbriche. La guerra si rivelò subito un disastro: ci arrendemmo incondizionatamente.
L’Istituto Ricostruzione Industriale (I.R.I.) avviò subito la ricostruzione del tessuto industriale italiano. Indovinate da dove iniziò? Dal Nord! … In questa nazione non ricordiamo una grande opera pubblica che sia iniziata da Palermo o da Reggio Calabria!”
Il Sud, nel dopoguerra, fu abbandonato a sé stesso, fu ignorato come si ignorano i parenti poveri, e tutti coloro che lo dovevano rappresentare non furono all’altezza della situazione, perché sapevano soltanto parlare, parlare, parlare … mentre i nordisti ottenevano dallo Stato tutto quello che volevano, essendo compatti ed organizzati anche politicamente.
A Sammichele, in quegli anni, ci fu un inaspettato risveglio … e non fu, certamente, opera dello Stato, dei nordisti, o dei politici meridionali. Il dottor Domenico Pugliese (Don Mim), uomo semplice e di poche parole, si rivelò grande pioniere. Con le sue piccole iniziative private indicò, ai compaesani che amavano la Puglia, e che si accontentavano di pane e acqua pur di restare, alcune vie da seguire per poter migliorare le proprie condizioni di vita. Nel 1948 fece impiantare, nei terreni che possedeva nella contrada Canale, i primi tendoni di uva Regina (la mennavak). La realizzazione degli impianti la affidò al mezzadro Pierino Iacovazzi.
Sempre nel 1951 destinò nove ettari, in contrada Marcellino, alla coltivazione del ciliegio. La realizzazione dell’impianto la affidò al mezzadro Nicola Mallardi (fazzaddì) di Sammichele. I portainnesti (i ianér) furono acquistati da Lorenzo Mallardi, e furono innestati tutti a ciliegia FERROVIA, tranne qualche varietà impollinatrice: la testa di serpe (la kép d’sérp) e la paglia arsa (la pagghia iars).
Nel 1951, in tutta l’Italia, non c’era un ciliegeto di nove ettari! Le piccole iniziative di Don Mim convinsero gli agricoltori e i braccianti di Sammichele a intraprendere quell’impresa da titani che portò, in un decennio, alla trasformazione del territorio, dell’ambiente e del panorama.
N.B. In copertina “Ciliegia – natura morta”, opera in arte digitale di Rocco M. Renna liberamente concessa a LaVoceNews.it .
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