La lotta per la libertà di Shamsia Hassani
Condividete il link e contribuirete alla lotta delle donne afghane.
Gianvito Pugliese
L’articolo appena pubblicato del Collega Rocco Michele Renna sull’arte, come strumento di resistenza delle donne afghane e dei giovani progressisti di quel Paese, con particolare riferimento all’artista Shamsia Hassani, nasce da una richiesta sulla chat del nostro quotidiano della Collega Giovanna Sellaroli, nostra editorialista ed esperta grafologa, che posta questa foto di un’opera d’arte, appunto, di Shamsia Hassani:
Un appello, quello della nostra Giovanna al quale è impossibile rimanere insensibili e dire di no! Mentre ci si è attivati, per dedicare un “pezzo” all’arte dell’Hassani, approfondendone vita e ispirazione, sottoscriviamo, io e la mia redazione tutta l’appello di Giovanna Sellaroli e Vi chiediamo, gentili lettrici e cari lettori, di diffondere quell’opera. Questo è il link da condividere.
https://www.lavocenews.it/wp-content/uploads/2023/01/Shamsia-Hassani-1.jpg
Vi ringrazio anticipatamente. Laddove la politica è assente, come ci ricorda il grande poeta Giuseppe Giusti: “Che fa il nesci, Eccellenza? O non l’ha letto? Ah, intendo; il suo cervel, Dio lo riposi, in tutt’altre faccende affaccendato, a questa roba è morto e sotterrato”, tocca alla società civile, alle associazioni umanitarie e a quei pochi giornali e Colleghi giornalisti, che hanno ancora la vocazione di essere cani da guardia della democrazia, e non cagnolini da salotto del potere, surrogare a quelle mancanze e lanciare appelli ai lettori perché qualcosa si smuova nel pantano dell’indifferenza. Ovviamente non saremo graditi al potere, ma se lo fossimo non serviremmo a nulla, e ce ne sono già tanti, troppi.
Permettetemi di chiudere con una citazione di Martin Luther King: “Ciò che mi spaventa non è la violenza dei cattivi; è l’indifferenza dei buoni”.
Non restiamo indifferenti, facciamo la nostra particina, mentre loro, le donne afghane e i giovani progressisti di quel Paese rischiano l’impiccagione, la decapitazione o la lapidazione per difendere quel minimo di diritti umani, senza dei quali la vita non val la pena di essere vissuta.
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