Il governo “semaforo” tedesco traballa: non solo Lambrecht, in ballo.
Le dimissioni di Christine Lambrecht, punta dell’iceberg di un momento critico per il governo semaforo. Recentemente attaccati il ministro delle Finanze, il liberale Lindner e dell’Economia, il verde Habeck. In copertina (da Twitter) Christine Lambrecht con Jorge Taiana, già suo omologo argentino.
Gianvito Pugliese
Mentre mancano pochi giorni alla riunione del gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina programmato a Ramstein, alla presenza del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, il Governo “semaforo” tedesco traballa nuovamente.
All’incontro promosso da Lloyd Austin, segretario alla Difesa degli Stati Uniti, che lo ospiterà e che si occuperà della crisi di Kiev e sui problemi di sicurezza che riguardano gli alleati della Nato, dovrà partecipare in nuovo ministro della difesa tedesco.
Christine Lambrecht si è dimessa oggi, mentre si dibatte nel Paese sulle armi da inviare in Ucraina (più precisamente carri armati Leopard2) a seguito delle tante critiche alla sua gestione del ministero.
Olaf Scholz ha dichiarato di: “avere le idee chiare” sulla successione alla guida del Ministero della Difesa.
La Germania solida di Angela Merkel è ormai solo un ricordo. Due i motivi principali del disorientamento politico tedesco: l’invasione russa dell’Ucraina e le repentine modifiche nelle politiche energetiche. Le dimissioni della Lambrecht è solo la punta dell’iceberg rappresentato dagli attacchi al ministro delle Finanze, il liberale Lindner e dell’Economia, il verde Habeck.
La cinquantasettenne Christine Lambrecht è iscritta al Partito socialdemocratico, lo stesso del premier Olaf Scholz e da mesi era oggetto di attacchi non solo all’interno del suo partito, ma anche sui media. E’ il portafoglio della Difesa il casus belli.
Lambrecht era già stata al centro di un ciclone mediatico prima del 24 febbraio di quest’anno, quando l’annuncio della “spedizione di 5.000 elmetti all’Ucraina”, un sostegno di scarsa consistenza, era stato oggetto di feroci critiche.
Recentemente le sue foto in elicottero, insieme al figlio, per visitare le truppe tedesche nel nord Germania e successiva destinazione in un luogo di vacanza aveva scatenato reazioni manifestamente sproporzionate,
Lambrecht in realtà prende le distante politicamente da Scholz che per il l’indecisionismo sulla guerra si sarebbe alienato le simpatie di tutti i Paesi europei. Il pressing sulle armi da inviare a Kiev sta crescendo e vede la Danimarca aggiungersi alla Polonia, Finlandia e Regno Unito. Tutti chiedono “che anche Berlino dia il via libera alla consegna dei carri armati Leopard2“.
Il quotidiano tedesco Handelsblatt afferma che “il governo federale si starebbe ormai preparando a consegnare all’Ucraina i potentissimi carri armati“.
Ma ci si è messo di traverso il produttore, Rheinmettal, secondo il quale: “Anche se domani si decidesse di inviare i nostri Leopard a Kiev, la consegna slitterebbe fino all’inizio del prossimo anno”. Testuali parole del ceo Armin Papperberger.
Uno scandalo investirebbe il ministro delle Finanze liberale (FDP) Christian Lindner sospettato di rapporti opachi con la banca privata BBBank ed accusato dalla procura di Berlino di abuso d’ufficio. Sarebbe stato agevolato un un mutuo concesso per l’acquisto di una casa.
Ma sotto attacco, ancora più violento sono i Verdi. Il ministro dell’Economia, il verde Robert Habeck, è stato costretto, dalle sanzioni alla Russia e la contestuale dipendenza dal gas di quel Paese, a modificare radicalmente le politiche ambientaliste: rinviata, quindi, la chiusura delle ultime due centrali nucleari, ha riaperto alcune centrali a carbone, scatenando l’ira degli attivisti, che sembrano non rendersi affatto conto dell’emergenza energetica.
Habeck, un anno fa era dato per prossimo cancelliere della Germania in quanto politico più popolare del Paese. Ora la sua popolarità è precipitata al 17%.
Sabato scorso nel villaggio di Lutzerath, l’attivista Greta Thunberg ha raggiunto le migliaia di manifestanti che poi sono stati sgomberati. Le immagini delle cariche della polizia e di Greta allontanata con la forza da poliziotti in tenuta antisommossa cono l’emblema di un Paese in crisi d’identità.
Olaf Scholz non è Angela Merkel, si è detto. In realtà non è neanche la sua più pallida ombra. E oggi lo dimostra ancora una volta proprio il dissidente Navalny che nell’anniversario del suo secondo anno di reclusione, ha confermato il suo dissenso nei confronti di Putin. Ricordiamo che la Merkel, alla luce delle risultanze del ricovero di Navalny in Germania, accusò pubblicamente Putin di aver fatto avvelenare l’avversario politico, ingiungendogli di rimetterlo immediatamente in libertà. Scholz, dopo un primo incontro con Putin in cui ha ricordato la detenzione di Navalny, ha poi totalmente abbandonato al suo destino il dissidente, condannato con un processo farsa.
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