Sylvano Bussotti
Bussottioperaballet. Nell’immagine di copertina Sylvano Bussotti e Roberto Fabbriciani (Firenze, 1988. Foto di Luisella Botteon).
Roberto Fabbriciani
Il teatro musicale realizza ed incarna una parte importante della poetica di Sylvano Bussotti. Dice Enzo Restagno: “… Non sarebbe giusto ridurre tutta la produzione di Bussotti al teatro ma è altrettanto vero che si può comprendere poco della sua opera se non si tiene conto di quell’impulso teatrale che come una corrente galvanica attraversa ogni sua partitura. …Bussotti affermava clamorosamente i diritti del teatro con tutta la concretezza e fisicità di personaggi, scenari, costumi, colpi di scena. La successione di Lorenzaccio (1972), Bergkristall (1974), Nottetempo (1976), le rarità, Potente (1979), Le Racine (1980), Phaidra/Heliogabalus (1981), Phèdre(1988), L’Ispirazione (1988), Bozzetto siciliano (1990), compone il disegno di un teatro totale in cui Bussotti non limita la sua azione alla musica ma invade i campi contigui della scenografia, dei costumi e di tutto ciò che direttamente e indirettamente attiene all’operare teatrale. …”
Il gusto per il colore accompagna la sua musica e la “messa in scena” è talvolta un atto imprescindibile alla fruizione di certo suo repertorio.
L’attitudine di Sylvano Bussotti al teatro e alla teatralità è un’alchimia presente in ogni suo gesto e nel suo modo di pensare e di fare musica.
Fin dagli inizi degli anni settanta ero attratto dalle sue partiture: The Rara Requiem, Bergkristall, La Passion selon Sade, Couple, Due voci.
Mi affascinavano la sua ricchezza di modi espressivi e la sua fantasia mirabilmente affidate ad una scrittura che definirei “pittorica”. Il segno è figura, è colore, è suono e gesto in un universo stimolante di situazioni narranti.
Ho avuto occasione di interpretare brani musicali e prendere parte a opere teatrali di Sylvano Bussotti.
Collaborare con Sylvano in Teatri, Festival e luoghi della cultura è stata un’esperienza artistica coinvolgente. Ricordo il Teatro alla Scala di Milano, Teatro Regio di Torino, Teatro Comunale di Firenze, Fenice e la Biennale di Venezia, Opera di Genova, Accademia di Santa Cecilia a Roma, Alte Oper di Frankfurt, Parigi, Donaueschingen, Luxembourg, Bruxelles, Los Angeles, …
Le sue regie erano dettagliate ma insieme invitavano gli interpreti ad una certa creatività, a trovare soluzioni adatte al momento, alla fisicità del palcoscenico e alle vibrazioni emozionali derivanti dallo speciale rapporto che si instaurava. La sua personalità artistica multiforme ci proiettava in una dimensione non convenzionale.
Nel mio ricordo rimane memorabile il percorso creativo della Winnie dello sguardo (da “Giorni felici” di S. Beckett, traduzione italiana di C. Fruttero), con la regia di Pier’Alli e la musica di Bussotti, la cui prima rappresentazione fu a Firenze nel Teatro Rondò di Bacco (Palazzo Pitti) nel 1978. Il lavoro era una creazione in fieri; l’invenzione e la fantasia della vocalista-attrice Gabriella Bartolomei era assecondata e sostenuta dal flauto. Lo spettacolo ebbe grande successo di pubblico e di critica.
Nell’autunno 1979 collaborai in Le rarità, Potente al Teatro Comunale di Treviso. In quest’opera interpretavo il ruolo di un pastore barocco fuori del tempo, paludato in un luccicante costume dal cappello sfarzoso, tripudio di sete, velluto e piumaggi colorati.
Sylvano era autore della musica, costumista e regista e curò la produzione in tutti i particolari scenici. Ancora una volta l’esperienza teatrale fu per me di grande forza. Entravo in scena suonando e concertando con un “gregge”.
A quest’opera seguirono altri lavori teatrali firmati da Sylvano Bussotti in cui interpretavo personaggi differenti sulla scena. Tra questi L’ispirazione con la regia di Derek Jarman. Nell’ottobre del 2031 un aviogetto decolla, vola nel tempo e nello spazio comandato da Harno Lupo signore della musica e del tempo. Nella galassia s’incontra con Futura, signora del tempo e dello spazio, ed insieme scorrono velocissimi fra i secoli del passato e del futuro. Approdano nel 2750 in un teatro barocco dove il maestro di cappella dirige la prova con vocalisti e musici (Solisti Seculum) attorniati da tecnici astronauti e da apparecchiature fantastiche. Subito è facile comprendere come il futuro sembri un ricalco del passato dove nulla muta e che la terra gira ma gira a vuoto. La vita nel satellite arcano di quel mondo futuro appare come un formicolìo demenziale; tutte le stereotipe figurine “settecentesche” sembrano riaffiorare, identiche ma allo stesso tempo nuove dopo un intero millennio.
Wolfango, il maestro di cappella, al colmo di una grande emozione, vede sua figlia Serena sul palcoscenico che interpreta proprio la sua opera. Verrà da tutti attorniato e il pubblico lo acclama conferendogli la Laurea Honoris Causa. “Il tempo è galantuomo” dicono tutti. Tuttavia, in questa storia non è stato il tempo a rendere giustizia all’arte di Wolfango ma l’amore di una figlia, puro e disinteressato che ha incarnato l’ardita ispirazione.
Questa storia insolita e commovente, fedelmente ispirata da un breve frammento del filosofo tedesco Ernst Bloch, tratto dal volume Spuren (Tracce), si spinge verso una garbata favola fantascientifica. Ciò per ambientare l’apologo sentimentale sull’artista cui un amore profondo, quale può essere solo quello filiale di una giovane cantante per un vecchio genitore musicista, emarginato e incompreso, può giungere a rendere giustizia. Così questo futuro, espresso da un supremo trionfo tecnologico, dovrebbe ribadire null’altro che la poetica dei sentimenti.
La prima rappresentazione avvenne al Teatro Comunale di Firenze nell’ambito del 51° Maggio Musicale Fiorentino il 26 maggio 1988. Nell’opera suonavo utilizzando costumi fantastici accordati ai tempi differenti in cui l’azione si svolgeva. Ad esempio nel 2° atto, vestendo un fantasioso costume barocco, suonavo e mi muovevo ruotando come la figurina di un carillon.
Rondò di Scena balletto di un Narciso per virtuoso di quattro flauti, è ancora un esempio dell’idea di Bussottioperaballet ed il termine Narciso esalta il significato del suonare sulla scena, eseguendo movimenti e gesti complementari alla musica, con un non celato compiacimento interpretativo. In uno scritto di quegli anni Sylvano Bussotti definisce così la mia figura d’interprete:
“…Roberto Fabbriciani, è certamente uno dei più importanti artefici nel Mondo; che da tutti si distingue, unendo alla tecnica prodigiosa una sorgiva bellezza, tenerezza direi, del suo metallo che rende il suono inimitabile, la musica perfetta”.
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