Bene i negozi d’abbigliamento, male la ristorazione
Riaperture del 90% dei negozi, trascinati dall’abbigliamento, calzaturiero, barbieri, parrucchieri e centri estetici. Nei guai la ristorazione e l’agro alimentare. Turismo desertificato.
Stando ai dati nazionali forniti dalla Confcommercio, il 90% dei negozi di abbigliamento ha riaperto. Con percentuali minori, ma ugualmente positivi, i dati per il settore calzaturiero, i parrucchieri e i centri estetici, tutti impegnati ad effettuare le sanificazioni ed a distribuire mascherine, guanti e gel igienizzanti. Parecchi gestori di attività commerciali hanno segnalato la difficoltà di reperire il materiale “para sanitario” previsto dalla normativa.
Pian piano, con prudenza e buon senso, da parte sia dei gestori che dei clienti, si prova ad avviarsi verso una normalità ancora tutta da conquistare.
La Coldiretti, invece, stima il crollo dei consumi per la ristorazione in circa l’80%. Vero è che circa il 70% di bar e ristoranti ha riaperto, ma il 40% è rimasto a casa. Praticamente 400mila lavoratori. La caduta dei consumi è ascrivibile a svariate ragioni che vanno dalla totale assenza di turismo, agli uffici, se non chiusi, svuotati con lo smart working, alla mancata apertura di diversi esercizi. Giusto, quindi, definirlo un duro colpo per l’economia. La spesa per il cibo ‘fuori casa’ rappresentava, prima dell’epidemia, il 35% del totale dei consumi alimentari. Parliamo di un valore di 84 miliardi di euro. Hanno riaperto anche i mercati alimentari, ma non ancora quelli con cadenza periodica.
In calce si registrano dichiarazioni di politici, senza distinzione di parte e di rango: dal segretario del consigliere circoscrizionale al ministro. Ovviamente, chi ha il dovere di leggerle, salvo poi risparmiarne i lettori, non può fare a meno di notare che, solitamente, sono quasi l’esatto inverso di quanto sostenuto dal medesimo personaggio il giorno prima. Non si scappa. Peccato non si possano “monetizzare”.
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