Fase 2 cercasi: Italia in ritardo
Nonostante le rassicurazioni che piovono da più parti, una strategia vera sembra non esserci e l’Italia arranca
Vito Longo
Poco fa il premier Conte ha concluso il suo doppio intervento, prima al Senato e poi alla Camera, col quale ha inteso presentare, al Parlamento e al Paese, le mosse future dell’Italia.
Se qualcuno si aspettava un intervento carico di pathos, ma anche di visione, sarà, probabilmente, rimasto deluso. Poco, o nulla, in più è stato aggiunto dal Presidente del Consiglio rispetto al post condiviso stamattina sulla sua pagina Facebook.
Davvero il Parlamento si è ridotto a semplice luogo di comunicazione, anziché di elaborazione e confronto?
Vogliamo sperare che così non sia né che lo diventi in un futuro, né prossimo, né remoto.
Benché si possa discutere della legittimità della scelta, bene, almeno, che sia stato (ri)stabilito un concetto fondante della nostra Costituzione. Il luogo ultimo deputato alle scelte è, e deve restare, il Parlamento. L’Italia, giovedì 23 Aprile, è attesa da un Eurogruppo importante, anche se non decisivo. È difficile prevedere come andranno le cose, ma è certo che, difficilmente, le posizioni ad ora sul tavolo potranno cambiare nel giro di appena 48 ore.
Non nascondiamoci: ottenere gli Eurobond sarà pressoché impossibile. Proprio a ragione di ciò è ragionevole pensare che, l’Italia, alla fine, virerà sulla proposta francese di “recovery fund”.
Cos’è il recovery fund?
Il recovery fund consiste in un fondo con il compito di emettere recovery bond, con il bilancio UE a garanzia diretta. Con questa soluzione, si avrebbe una condivisione comune del rischio futuro, senza una vera mutualizzazione sul debito passato. Così facendo si potrebbe ottenere anche il placet di Germania e paesi del nord, dichiaratamente contrari ad una condivisione classica degli oneri legati ai debiti. Si tratta, comunque, di una condivisione del debito. La differenza risiede nel rivolgerla al futuro, anziché al passato, effetto dei coronabond.
È proprio sul “recovery fund”, quindi, che si potrebbe costruire un principio d’intesa nell’Eurogruppo di dopodomani. L’Europa, sull’emissione di coronabond, sembra proprio non sentirci; similmente, in Italia, Fratelli d’Italia, Lega, e anche Movimento 5 Stelle, sono fortemente contrarie al ricorso italiano al MES, anche nella forma senza condizioni come approvata adesso.
Al di là delle questioni economiche, ciò che, in queste ore, preoccupa è la sensazione di spaesamento nel quale è l’Italia nell’organizzazione della “fase due”.
Sui social si sprecano meme (vignette satiriche) e battute sul ricorso, a tratti esasperato, alle task force, chiamate, in tutto e per tutto, ormai, a sostituirsi, anziché affiancarsi, alla politica nel prendere decisioni.
Medesima preoccupazione la esprime, oggi, Alessandro Vespignani, romano, 55 anni, fisico che da vent’anni studia l’andamento delle epidemie e la possibilità di prevederlo con le tecniche delle reti e grazie all’enorme potere di calcolo dei computer. Lo ha fatto con Ebola, con Zika, ogni anno con l’influenza e ora con Covid-19. Direttore del Network Science Institute della Northeastern University di Boston, insieme alla sua squadra di venti studiosi, indica la rotta del #coronavirus, allerta i governi di mezzo mondo – tra cui la Casa Bianca – e ripete che ogni settimana persa significa quadruplicare i contagi. Oggi è stato intervistato da Mario Calabresi, nel suo ormai consueto appuntamento con “Altre Storie”.
Riportiamo qui solo un passaggio, utile ai fini della nostra trattazione, rimandandovi alla conversazione integrale.
«Sono molto preoccupato, perché in alcuni Paesi tra cui l’Italia non vedo ancora un piano chiaro che contenga le #treT: test, tracciamento e trattamento.
Fare i test e tracciare la malattia significa assumere un sacco di gente, migliaia di persone. La Germania ha fatto i bandi per i tracciatori quattro settimane fa e se tu sei malato non ti tengono a casa ma ti isolano in alberghi o padiglioni di ospedale dedicati, per evitare di infettare tutti i familiari. Allo stesso modo bisogna seguire chi è malato e vive solo, non possiamo permetterci che esca a fare la spesa per non morire di fame».
Quando avevamo parlato del metodo delle “tre T”, speravamo si fosse in tempo per iniziare a programmare con lungimiranza e metodo la fase 2 che, come ormai abbiamo acquisito, sarà quella di convivenza col virus e sarà, più o meno, lunga a seconda dei nostri comportamenti.
Permangono, infine, le perplessità sull’app scelta dal governo per tracciare gli spostamenti e segnalare eventuali contatti con persone contagiate.
L’app prescelta, Immuni, è ancora in fase di test e, prima di maggio, non sarà possibile scaricarla, rendendo, in tal modo, impossibile una verifica preventiva, almeno provvisoria, del suo funzionamento in vista di una possibile implementazione futura.
La compagnia che ha sviluppato l’applicazione pare aver ricevuto finanziamenti dalla Cina.
Infine, perché sia efficace, va scaricata e utilizzata dal 60% circa della popolazione italiana. L’utilizzo di suddetta app sarà su base volontaria, come oggi ribadito dal premier Conte. La sottolineatura non è stata pleonastica. Sulla questione, infatti, si sta sviluppando acceso dibattito. La tutela della privacy, anche di fronte alla sacrosanta tutela del diritto alla salute, va garantita sempre. Alcune indiscrezioni di stampa suggerivano, nei giorni scorsi, limitazioni alla mobilità per chi decidesse di non scaricarla. Una simile differenza di trattamento, oltre che incostituzionale, ci limitiamo a dire che andrebbe assolutamente evitata. Il tema è talmente ampio che si potrebbero scrivere interi trattati.
La speranza, ora, è che l’Italia sia pronta a mettere la freccia e ingranare la quarta. I dati economici sono ogni giorno più drammatici e la fine della quarantena ci restituirà sì un po’ di libertà in più, ma anche tanta rabbia sociale pronta ad esplodere, se non adeguatamente contenuta. Gli allarmi sono giunti oggi anche dal ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese. La responsabile del Viminale ha invitato il governo ad agevolare il più possibile l’erogazione dei fondi per famiglie e imprese. Il rischio, già paventato da Saviano, Federico Cafiero De Raho, procuratore nazionale antimafia, e altri esperti conoscitori di tali dinamiche criminose, è che la criminalità riesca ad allungare i suoi tentacoli sulla gente che, per sopravvivere, avrà bisogno di ingente iniezione di liquidità.
Il tempo delle promesse e delle parole va archiviato. L’Italia deve tornare a correre e, per farlo, ha bisogno di cambiare marcia o sarà troppo tardi.