Giorno 101
Putin sembra sia proprio un malato quasi terminale. Timori e prospettive di una complessa successione.
Orio Giorgio Stirpe
Dunque, Putin è malato. Era abbastanza evidente già dalle riprese televisive degli ultimi mesi, ma era difficile attribuire un valore alla gravità del suo male: avrebbe anche potuto avere un semplice mal di denti. Adesso però, a giudizio dei Servizi americani si tratterebbe di tumore del sangue, e il presidente russo – comunemente definito lo “zar” per i suoi poteri praticamente assoluti – sarebbe anche già stato operato almeno una volta; addirittura, ci sarebbe una sorta di prognosi che gli lascerebbe al massimo un altro anno di capacità nella gestione del potere.
Potrebbe essere vero. Per la verità gli indizi di una situazione del genere abbondano, e sicuramente una larga fetta di umanità si augura ormai da tempo che la natura si faccia carico di liberarci di un tale despota.
Proviamo quindi ad immaginarci come potrebbero cambiare le cose nel conflitto in corso qualora effettivamente l’orso Vladimiro dovesse uscire di scena.
Molti commentatori si affannano a ribadire come l’Occidente non sia in contrasto tanto con l’attuale zar, quanto con un’idea di Russia che sarebbe appannaggio della maggioranza della società, e che quindi la situazione non cambierebbe con un cambio al vertice del Cremlino: esattamente come non cambiò quella alla Casa Bianca con la morte di Roosevelt e l’avvento di Truman nel 1945.
C’è del vero, purtroppo. La retorica nazionalista è sempre molto efficace, e lo è ancor più in quei Paesi con vocazioni imperiali che si sentono defraudati della gloria passata a causa di un ingiusto presente e magari anche di vicini invidiosi. Nazioni come la Germania e il Giappone (in misura minore anche l’Italia) hanno avuto bisogno di shock violenti per uscire da tale circolo vizioso; altre come la Francia e la Gran Bretagna si stanno ancora adattando al loro ridimensionamento, mentre talune in quel circolo ci stanno forse rientrando proprio adesso, come la Cina.
Esiste una forte spinta in Occidente a separare le responsabilità dei russi da quelle di Putin; si tratta di un atteggiamento ragionevole, “politicamente corretto”, ma anche e soprattutto funzionale ad un aggiustamento delle relazioni diplomatiche all’indomani della conclusione di un conflitto che non durerà per sempre. Naturalmente è anche un ragionamento volto a salvaguardare quel numero di russi che si sono veramente opposti ad un’aggressione plateale, rischiando anche in proprio manifestando nelle strade di Mosca e di San Pietroburgo. Purtroppo però si tratta (per ora) di una minoranza, ed è un fatto che senza il sostegno della maggioranza dell’opinione pubblica Putin non avrebbe potuto portare avanti il suo progetto di restaurazione imperiale.
Dunque è vero che l’uscita di scena dell’orso Vladimiro non cambierebbe le cose?
Molti anzi affermano che sarebbe peggio, considerato che chi potrebbe prendere il suo posto avrebbe facilmente meno scrupoli e ambizioni ancora più grandi: in fondo Putin è un “occidentale” in Russia, venendo da San Pietroburgo e avendo vissuto a lungo in Germania…
Vero.
Ma è anche vero che la base di potere di Putin è unica: nominato Primo Ministro da quello stesso Eltsin che lo zar e la sua propaganda dileggiano come un ubriacone (ma che è l’autore di quelle stesse riforme che hanno cominciato a dare frutti proprio all’inizio del suo primo mandato), l’orso Vladimiro ha goduto da subito di una cerchia di potere affidabile creata da chi lo aveva preceduto. Negli anni della crescita economica si è circondato di oligarchi grati del suo supporto e di apparatchik provenienti dal suo stesso ambiente dei Servizi Segreti, creandosi un proprio “cerchio magico” di fedelissimi all’interno del cerchio di fedeli, e ha cominciato ad eliminare con gelida fermezza e implacabile costanza tutti i possibili oppositori che non era in grado di portare dalla propria parte. Ha neutralizzato i partiti di opposizione che avevano reso difficile la vita a Eltsin, messo sotto controllo i potentati economici, posto alle proprie dipendenze l’intera macchina dello Stato, e ha perfino cooptato il Patriarca Kirill portando dalla sua parte la Chiesa… Proprio lui, comunista patentato, ateo dichiarato e divorziato.
Si tratta di una posizione di potere unica, in cui l’opposizione più pericolosa è rappresentata da un blogger – per quanto abile – che fra l’altro è al sicuro in carcere.
Come tutti gli autocrati assoluti e con una personalità fortemente narcisistica però, Putin ha sempre avuto l’idiosincrasia a nominare un proprio “delfino”, nella convinzione che così facendo avrebbe creato da solo il proprio possibile rivale.
Essendo privo di un erede designato, e non essendo più la Russia un sistema politico retto da un Partito Unico capace di generarne uno d’ufficio, non esiste una personalità predefinita in grado di ereditare la stessa posizione di potere, e si è già notato durante l’operazione subita da Putin in aprile, quando per un paio di settimane non si è riconosciuta una leadership evidente e la Russia è sembrata procedere per inerzia.
Questo significa che la successione di Putin non solo rischia di non essere del tutto pacifica, ma soprattutto che chiunque emerga fra i membri della cerchia ristretta del potere moscovita, lo farà ergendosi fra rivali suoi pari, fra i quali molto probabilmente ci saranno altri pretendenti invidiosi e pronti a cogliere l’occasione di scalzarlo.
Insomma: che il successore destinato ad emergere sia un membro dell’attuale governo, un oligarca, un dirigente dei Servizi o un generale, vista la scarsa levatura dei collaboratori diretti di Putin (problema tipico dei dittatori che non si fidano delle persone troppo in gamba), molto difficilmente potrà godere della stessa base di potere e della stessa timorosa lealtà da parte dei suoi collaboratori, dai quali anzi sentirà probabilmente il bisogno di difendersi.
Un tale leader, impegnato a lottare ogni giorno per mantenere il proprio potere fra le mura domestiche, difficilmente avrà la forza e neppure l’interesse a proseguire uno scontro contro tutto l’Occidente, incaponendosi in uno scontro militare destinato a produrre vantaggi minimi e danni gravissimi in misura sempre maggiore. Che si tratti di una brava persona o di un criminale psicopatico, la sua attenzione sarà concentrata molto più sul proprio fronte interno per una mera questione di sopravvivenza, e quindi un accordo con l’Occidente – e con la stessa Ucraina – ricadrà nell’ordine delle cose.
Nel contempo, a conferma di come la schiera dei dipendenti diretti dell’orso non disponga delle sue stesse qualità, il generale Dvornikov, da poco nominato comandante operativo in Ucraina, sarebbe stato rimosso anche lui. Non si rimuovono i comandanti che vincono… Forse quindi la famosa battaglia del Donbass non sta andando nel modo auspicato dallo zar, e ancora una volta l’orso Vladimiro ha motivo di essere insoddisfatto dei propri collaboratori.
Un’altra fonte di irritazione che non gioverà alla sua salute.
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