Giorno 102

Più che una guerra lampo, per errori tattici ripetuti e logoramento delle forze in campo assistiamo a battaglie del tipo I guerra mondiale.

Orio Giorgio Stirpe

Nell’attesa che madre natura provveda con i suoi tempi a prendersi cura dell’orso Vladimiro, la guerra prosegue. Prosegue stancamente rispetto ai mesi passati, con combattimenti sempre più localizzati in un’area ristretta del Donbass e portati avanti da un numero relativamente ridotto di combattenti in confronto alla prima fase della guerra.

La battaglia di Severodonetsk (in copertina) continua. A detta di molti era ormai destinata a concludersi con un successo russo e un ripiegamento ucraino, che francamente anche io riterrei probabilmente conveniente dal punto di vista militare; ma naturalmente io non sono al fronte e non ho la visione completa degli eventi sul terreno. Per motivi politici evidenti (negare a Putin il controllo del Luhansk) o magari tattici su cui posso solo speculare (visibile esaurimento delle riserve russe? Opportunità di imporre perdite sensibili all’avversario?) gli ucraini hanno invece rilanciato impegnando un’aliquota di forze fresche proveniente da ovest.

Quello che molti insistevano a voler vedere come uno “sfondamento” russo si è trasformato una volta di più in un esasperante combattimento in area urbana, ad altissimo tasso di attrito e con vantaggi quasi insignificanti per entrambi i contendenti. Da settimane leggo commenti di “esperti” che danno questa battaglia per ormai terminata e l’offensiva su Kramatorsk sul punto di iniziare, ma le cose continuano ad essere molto più lente e dolorose di quanto questi tifosi della “guerra-lampo” vogliano ammettere.

Come mai tutto questo?

Il problema della “guerra-lampo” che sfugge agli osservatori entusiasti è che le forze che aprono la breccia e quelle che la sfruttano lanciandosi in profondità, non sono le stesse. In particolare, nella dottrina russa è previsto un primo scaglione che logora il fronte nemico fino a romperlo, un secondo scaglione che si getta nella breccia operando lo sfondamento e raggiungendo l’obiettivo, ed una riserva destinata a intervenire in caso di imprevisti, alimentare lo sforzo o eventualmente proseguire fino all’obiettivo successivo in caso di successo. Occorrono quindi tre successive “linee” di forze da immettere in combattimento, tutte fresche, coordinate fra loro ed equipaggiate ciascuna per il proprio compito: prevalentemente fanteria leggera, genio e artiglieria per la prima fase, fanteria meccanizzata per la seconda e carri armati per la terza.

All’inizio del conflitto i russi disponevano di questa ricchezza di risorse, ma l’hanno sprecata con un assalto scomposto e scoordinato lungo un fronte lunghissimo, dove come abbiamo visto hanno subito perdite pesantissime senza acquisire alcun risultato decisivo. Successivamente si sono raggruppati ed hanno accorciato il fronte, ma ancora una volta hanno assaltato lungo l’intero fronte attivo, senza seguire la loro stessa dottrina… Almeno fino al rocambolesco viaggio di Gerasimov al fronte.

Ora hanno finalmente cominciato a combattere secondo le loro stesse regole: l’artiglieria non è più impiegata in modo autonomo ma opera in diretto supporto alla manovra, concentrata in zone ristrette, e i BTG vengono concentrati in attacchi mirati e coordinati per cercare di aprire la famosa breccia… Soprattutto l’aviazione sta finalmente fornendo la cooperazione richiesta dalla dottrina.

Ma per molti versi è troppo tardi.

La schiacciante superiorità iniziale ormai è andata: da una parte i russi hanno subito perdite pesantissime in uomini e mezzi, valutate dalla NATO quasi nell’ordine del 30% (secondo gli ucraini anche superiori, ma loro fanno propaganda); dall’altra l’Ucraina ha mobilitato, costituendo nuove brigate e ripianando le sue stesse perdite pesantissime con nuovo personale di leva, mentre il materiale fornito dalla NATO affluisce a getto continuo, riducendo poco a poco lo svantaggio iniziale in termini di mobilità e potenza di fuoco.

Operando su un fronte ristretto, e quindi concentrando laggiù le forze più fresche ancora disponibili, i russi inevitabilmente concedono ad un esercito ucraino esausto ma numericamente ancora consistente e motivato la possibilità di raggrupparsi a sua volta sui fronti stabilizzati, e di ruotare un numero limitato di brigate nell’unico settore minacciato. Poiché la difesa richiede meno forze rispetto a chi attacca (con un rapporto di 1:3 di solito ci si difende con successo), gli ucraini hanno buon gioco a contrapporre ai russi forze comparativamente meno provate.

Insomma: i russi, che hanno dimostrato scarso stomaco per il combattimento manovrato e ancor meno per quello negli abitati, hanno troppe poche forze fresche disponibili per effettuare lo sforzo decisivo secondo le modalità previste dalla loro stessa dottrina. Per la prima fase dell’attacco descritta precedentemente, hanno impiegato nel Donbass le milizie cecene e i volontari filo-russi, più motivati a combattere negli abitati, ma anche equipaggiati molto più alla leggera delle forze regolari. Queste forze, numericamente poco numerose, hanno svolto il loro compito a caro prezzo occupando quasi tutto l’abitato di Severodonetsk fin quasi al fiume… Ma mancano dell’energia e soprattutto dei mezzi per sfruttare la breccia, che peraltro è ostacolata dalla presenza appunto del fiume. Per effettuare lo sfondamento dovrebbe entrare in azione il secondo scaglione, dotato di elevata mobilità, e che deve quindi essere costituito da forze regolari fresche, capaci di forzare il fiume e lanciarsi in profondità… Forze che non sono disponibili a causa delle perdite subite in precedenza.

La terza linea poi, quella destinata ad agire come riserva, è costantemente consumata dalla necessità di rispondere ai numerosi contrattacchi locali lanciati dagli ucraini proprio con lo scopo di logorarla e di negarne la disponibilità lungo l’asse dello sforzo principale.

Per completare il quadro, ogni sfondamento in profondità richiede una robusta logistica di aderenza a supporto dei BTG che si spingono in avanti, capace di fornire con flessibilità e continuità carburante e munizioni alle unità avanzate: logistica che richiede mezzi efficienti ed abbondanti e un’organizzazione flessibile e dinamica che abbiamo visto essere completamente assenti già in condizioni di forte superiorità (ricordate i convogli lunghi decine di chilometri bloccati per giorni su strade intasate?).

Una volta chiariti questi aspetti, diventa forse più chiaro come un successo tattico come la (eventuale) cattura di Severodonetsk non implica affatto un successivo passaggio da parte russa ad una “guerra lampo” che il generale Dvornikov (se è ancora in comando) non è in grado di imporre alle sue truppe nelle attuali condizioni. L’unica possibilità per uno sviluppo del genere si potrebbe verificare nel caso di un collasso psicologico dell’esercito ucraino, che in questo caso non potrebbe più né resistere sulle proprie posizioni, né contro-manovrare per opporre nuove forze fresche ad un avversario pesantemente logorato… Possibilità che al momento appare remota.

Piuttosto che ad una “guerra-lampo”, stiamo assistendo ad una riedizione dei problemi tattici della I Guerra mondiale, quando se pure si riusciva a costo di gravissime perdite ad aprire una breccia, poi non erano mai disponibili le forze per sfruttarla e il nemico riusciva sempre a contrattaccare richiudendo la breccia stessa.

Questo è quanto sta accadendo a Severodonetsk, per la massima frustrazione dell’orso Vladimiro.

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