Giorno 115

Un ritorno all’analisi sulla tattica nel conflitto russo-ucraino, pregna di conseguenze sulla narrazione farlocca.

Orio Giorgio Stirpe

Dopo aver provato a tirare le somme sulla situazione strategica, che ormai appare sostanzialmente definita, torniamo a porre l’attenzione su quella tattica.

No, non tornerò al ritornello su Severodonetsk che sta sempre cadendo: penso che ormai anche i più appassionati seguaci delle teorie sulla guerra di movimento si siano rassegnati al fatto che la città più che cadere, viene disintegrata mattone per mattone a colpi di artiglieria, e contesa maceria per maceria.

Il punto su cui intendo concentrarmi è la pressione ancora messa in atto dai russi.

Immagino che qualcuno giustamente l’abbia notato: “Stirpe aveva detto che i russi avevano culminato e ormai non avevano più le forze per proseguire, e invece sono ancora lì che attaccano e avanzano a Severodonetsk”.

È vero. Avevo previsto ormai un mese fa che i russi avevano ormai raggiunto il loro “culmination point” e che quindi ormai non fossero più in grado di avanzare; è altrettanto vero che invece – seppure con una lentezza esasperante – continuano ad avanzare.

Come mai?

Questo non è un corso di arte militare, quindi non cercherò di spiegare in modo pedante come funzionano esattamente le cose sul terreno, anche perché probabilmente non interessa a nessuno; però occorre porre l’attenzione su un paio di aspetti.

In guerra, in generale, l’attaccante deve disporre di una superiorità complessiva sul difensore: una complessità che si esprime in molti modi, dal numero dei soldati alla quantità di fuoco di artiglieria, ma che in linea di massima richiede un rapporto minimo di 3:1. Questo in quanto chi attacca è maggiormente esposto a subire perdite rispetto a chi si difende in quanto questi combatte da posizioni preparate in anticipo e protette almeno in parte dal fuoco avversario mentre chi attacca non può evitare di esporsi maggiormente essendo obbligato a muoversi in avanti, proprio verso il nemico.

Con un rapporto inferiore di solito un attacco non ha possibilità di riuscita, con uno superiore le probabilità di riuscita aumentano progressivamente. Il rapporto di forze poi è influenzato da fattori quali la superiorità aerea, il morale e l’addestramento del personale contrapposto, il livello tecnologico dell’equipaggiamento e il supporto logistico disponibile, per cui a volte anche un attaccante con un numero inferiore di soldati può trovarsi ad avere una superiorità complessiva notevole, come nel caso degli americani in Irak.

In generale, quando il rapporto di forze è abbastanza bilanciato (cioè intorno al fatidico 3:1) l’equilibrio può essere spezzato da qualsiasi evento imprevisto a favore dell’una o dell’altra parte… Ma se non si spezza allora lo scontro si trascina senza vincitori né vinti per attrito, finché una delle due parti cede oppure semplicemente l’attaccante “culmina”, cioè il suo potenziale offensivo cala al disotto di quello difensivo dell’avversario.

Quando quest’ultimo caso si verifica, la spinta offensiva è così debole che non riesce più ad intaccare le difese avversarie e genera unicamente perdite amiche.

L’invasione russa ha già raggiunto questa situazione due volte. La prima, quando l’offensiva generale ha fallito l’obiettivo fondamentale di catturare Kyiv, e l’intero gruppo di armate Nord ha dovuto essere ritirato in Russia per raggrupparsi; la seconda, quando è fallita l’offensiva generale nel Donbass con la direzione d’attacco principale a partire da Izyum, e il generale Gerasimov è dovuto scendere fino al fronte per cercare di mettere un po’ di ordine nella caotica manovra russa.

Severodonetsk in preda ad incendi distruttivi

Era a quel punto che avevo espresso la convinzione che l’offensiva russa fosse culminata per la seconda volta e ormai – non essendoci riserve ulteriori da gettare in battaglia – l’invasione avesse raggiunto lo stallo completo.

A quel punto però è intervenuto Gerasimov, o comunque qualcuno che ha cercato di razionalizzare la manovra russa in modo da soddisfare almeno in parte le scomposte direttive strategiche dell’erede di Pietro il Grande.

Come ho cercato di spiegare – semplificando moltissimo in poche righe quello che in realtà è un discorso molto complesso – è virtualmente impossibile proseguire un attacco dopo che le forze disponibili hanno esaurito il potenziale offensivo, in quanto l’unico effetto residuo è subire perdite senza scalfire le difese avversarie.

Questo però è vero se si considera l’intero fronte attivo. Se tale fronte si contrae, è possibile mantenere la stessa pressione ristabilendo il potenziale offensivo necessario recuperando risorse dai tratti di fronte disattivati.

Se ricordiamo il concetto di “raggruppamento”, cioè la pratica di sciogliere i battaglioni che hanno subito troppe perdite per riassegnare i superstiti ad altre unità che in questo modo recuperano il proprio potenziale, comprendiamo meglio di cosa stiamo parlando.

In sostanza, così come accorciando il fronte disattivando l’intero settore settentrionale è stato possibile avviare l’offensiva nel Donbass, allo stesso modo rinunciando ad attaccare lungo l’intero arco che va da Izyum a Donetsk è stato possibile proseguire l’offensiva nel solo settore di Severodonetsk con la stessa intensità di prima, e anche con un rapporto di forze superiore a quello richiesto.

Gerasimov ha fatto ammassare le artiglierie di supporto in un arco molto ristretto ottenendo una concentrazione di fuoco senza precedenti, e nel contempo ha fatto ritirare numerosi BTG (Battalion Task Groups – gruppi tattici di battaglione, cioè battaglioni rinforzati) dal resto del fronte per farli raggruppare e mandarli all’assalto in successione tutti nella stessa zona. In questo modo ha rinunciato alla manovra – non possibile in un fronte troppo ristretto – a favore della concentrazione delle forze necessaria per ottenere ancora un rapporto di forze favorevole.

Il problema però è che in questo modo l’offensiva viene sì alimentata sia pure in un solo punto, però al costo di una continua diluizione delle forze lungo tutto il resto del fronte. E’ vero che si tratta di un fronte statico, almeno per il momento; però è un fronte lungo il quale si trovano forze avversarie che al contrario di quelle russe si stanno lentamente rinforzando, e che alle spalle hanno nuove Brigate mobilitate che si stanno addestrando e che ricevono poco alla volta armi occidentali.

Quella russa, insomma, è una soluzione militare assolutamente non ortodossa che risponde alle direttive politiche consentendo di prolungare la durata dell’offensiva; un’offensiva che ormai ha poco significato militare ma può ancora mantenerne uno politico proprio a causa del fatto che l’interpretazione della situazione sul campo risulta poco comprensibile ai più e lascia spazio all’interpretazione da parte della propaganda.

Ricordate quando Trump, vinte le elezioni americane nel 2016, affermò che “mai una folla così grande” si fosse raccolta per festeggiarlo in Pennsylvania Avenue, contro l’evidenza fotografica che mostrava una folla assai più grande all’inaugurazione precedente? La portavoce ufficiale rispose tranquillamente ai giornalisti incuriositi che il Presidente aveva offerto una “realtà alternativa” a cui la gente poteva decidere o meno di credere… Con i sostenitori dei leaders autoritari, esattamente come con i tifosi di calcio per i quali il rigore assegnato agli avversari è sempre necessariamente frutto di un errore arbitrale, funziona sempre allo stesso modo: la versione preferita, per quanto irrealistica, sarà sempre quella che più si avvicina ai propri desideri.

Insomma: finché l’offensiva dura, e del terreno viene conquistato, la Russia sta “vincendo”.

In attesa di un miracolo che lo sfili dalla situazione senza uscita in cui si trova, all’orso Vladimiro va bene così.

Per seguirci su Facebook mettete il “mi piace” sulla pagina La Voce News o iscrivetevi al gruppo lavocenews.it. Grazie.