Giorno 13 delle guerra in Ucraina

Un 8 marzo di guerra.

Giovanna Sellaroli

Giorno 13 della guerra in Ucraina oggi 8 marzo, giornata internazionale della donna.

Ma non è l’odierno 8 marzo, già ampiamente ricordato in tutte le sue declinazioni, che mi interessa richiamare, bensì un’altra data e precisamente quella dell’ 8 marzo 1917, il 23 febbraio secondo il calendario giuliano, quando le donne russe scesero in piazza per le vie di San Pietroburgo (in foto di copertina), in quella che si ricorda come la rivoluzione di febbraio.

Le rivoluzioni russe, quella di febbraio e quella di ottobre, scoppiano nel cuore di una guerra devastante, la prima guerra mondiale, una guerra che aveva portato gli uomini al fronte e le donne a farsi carico del lavoro e della famiglia, in un Paese stanco, affamato e stremato da un conflitto che aveva falcidiato più di due milioni di russi, mentre la monarchia, arroccata nei fastosi palazzi del potere, stava a guardare.

Ebbene, dall’8 all’11 marzo, la piazza si tinse di rosa, e la rivolta popolare, che nel giro di pochi giorni portò al crollo dello zarismo in Russia e all’abdicazione dello zar a metà marzo, porta la firma delle donne russe.

Nel quartiere proletario di Vjborg, le donne operaie spengono gli impianti e dichiarano lo sciopero, una parola che sino a quel momento era stata solo sussurrata dai loro colleghi uomini. Alle operaie si uniscono altri manifestanti e al grido di “pane pane”, migliaia di russe affrontano la polizia e la piazza diventa un terreno di battaglia. Nulla può neanche l’intervento dell’esercito inviato dallo Zar Nicola II, dopo due giorni è rivoluzione.

Quelle donne dell’8 marzo 1917 hanno scritto una pagina di storia che, oggi più che mai, deve farci riflettere e soprattutto deve far riflettere le donne della Russia odierna che, loro malgrado, si trovano coinvolte in una guerra che, sono sicura, non vogliono. E dovrebbero gridarlo in faccia a Putin che non la vogliono. 

Come tutte le guerre, questa è una guerra sporca, ma lo è ancor di più perchè fratricida. E poi lo è ancora di più perché una guerra oggi, che invitabilmente andrebbe a coinvolgere super potenze, vorrebbe dire guerra nucleare, quindi distruzione del mondo intero più o meno.

Ci rendiamo conto di cosa vuol dire?

Putin ha dimostrato di essere un autocrate, un pericoloso tiranno che probabilmente nessuno aveva ben considerato prima d’ora; Angela Merkel che in un passato non tropppo remoto, gli ha parlato spesso, che lo conosceva meglio di altri e con lui parlava in russo, lo ha definito un leader che applica metodi dell’ottocento nel 21esimo secolo, perché ragionava da nazionalista in un’epoca di globalizzazione. Erano gli anni dell’annessione della Crimea, quando Putin comincia a paralre di Novorossia, di Grande Russia.

Ma erano anche i tempi dell’inizio del conflitto nel Donbass, il bacino del Donec,  le regioni situate nell’area dell’Ucraina orientale, dove si combatte una guerra fratricida dal 2014. Russi, di lingua russa, la gente del Donbass da otto anni combatte una guerra contro le forze armate ucraine.

Con gli accordi di Minsk, siglati nel 2015 da Russia e Ucraina, che prevedevano il ritorno delle regioni di Donetsk e Lugansk all’Ucraina, in cambio di maggiore autonomia, il conflitto sembrava essersi fermato. Ma solo apparentenmente.

Peccato che gli accordi non sono stati mai rispettati veramente. Quella del Donbass è una guerra che non ha fatto notizia, che ha causato 13mila morti, migliaia di civili in fuga, una popolazione ridotta alla fame, costretta a rifugiarsi nei sotterranei durante i bombardamenti.

Per i bambini del Donbass nessuno ha pianto, dice Anne Laure Bonnel, giovane regista francese, che nel 2016 ha accompagnato Alexander, un padre di famiglia ucraina, nella regione del Donbass, in una zona filorussa, dove nel cuore della guerra, ha catturato le immagini terribili di un conflitto mortale e di un disastro umanitario. https://www.youtube.com/watch?v=b8j0tJsKltg

Il conflitto nel quale ci troviamo coinvolti in questi giorni, non è certamente cominciato 13 giorni fa, ma nessuno se n’è accorto, o forse si è preferito  non sapere. E ora la guerra è vicina e fa paura, fa tremendamente paura.

Ed è una doppia guerra quella che si sta combattendo, una sul campo, e l’altra sul fronte economico, tra importazioni di petrolio e gas russo e sanzioni.

E mentre lo zar, impunito continua ad alzare il tiro, il Presidente ucraino Volodymyr  Zelens’kyj agita lo spettro di una guerra mondiale: “Questo conflitto non finirà così ma scatenerà una guerra mondiale. Noi siamo stati i primi. Voi sarete i secondi. Perché più questa bestia mangia e più vorrà mangiare”, ha affermato Zelensky nel corso di un’intervista rilasciata ad Abc News al programma World News Tonight

E, in un discorso in video collegamento in diretta al Parlamento britannico, solo qualche minuto fa, ha ribadito che gli ucraini non si arrenderanno mai e combatteranno fino alla fine. E ha aggiunto che la Nato “non si è comportata come doveva nella sua risposta dopo l’attacco russo alla centrale nucleare di Zaporizhzhia e nel non imporre una no-fly zone sui cieli dell’Ucraina” 

Parole pesanti, inquietanti che, mentre Mosca continua a bombardare, risuonano sibilline perchè Zelens’kyj chiama in causa pesantemente l’Europa, facendoci sentire coinvolti.

Ma ci sentiamo davvero tutti coinvolti?

Pur avendo nel cuore il popolo ucraino, i bambini, gli anziani, i più fragili, vere vittime e veri eroi di questa inconcepibile guerra, davvero vogliamo finire in un conflitto mondiale?

”Sul mare e sulla terra chi ci salverà?
Ci salverà il soldato che non la vorrà
Ci salverà il soldato che la guerra rifiuterà
”, cantava De Andrè.

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