Giorno 141
La minaccia nucleare di Maria Zacharova (in copertina) è un segnale di fumo a beneficio della popolazione russa, mentre l’invasione somiglia sempre più a guerra di posizione
Orio Giorgio Stirpe
L’irresponsabile dichiarazione di Maria Zacharova con cui il Governo russo ha ufficialmente rilanciato la minaccia nucleare è probabilmente l’evento mediatico più eclatante degli ultimi giorni.
Naturalmente, non si tratta di un cambio di passo o altro: è semplicemente una dimostrazione di frustrazione e di impotenza, perché assolutamente niente è cambiato sul campo, almeno per quanto possa risultare a noi. L’unica variazione che potrebbe indicare è una presa di coscienza da parte della dirigenza del Cremlino che il loro esercito non ce la fa più ad andare avanti: in questo caso l’idea che tutto ciò che resta a disposizione per insistere nell’aggressione sia la minaccia nucleare potrebbe facilmente essere balenata in testa a qualcuno.
Il fatto però è che si tratta di una minaccia priva di consistenza. Infatti, la dichiarazione della Zacharova ha avuto scarsa eco nella maggior parte del mondo, proprio a causa della sua irrilevanza. In realtà è più un messaggio rivolto all’opinione pubblica interna, per rassicurarla sulla grande forza della loro Nazione, che non una sfida all’Occidente. Nei Paesi occidentali, infatti, la cosa ha fatto scarsa impressione, anche se in Italia i minions hanno fatto di tutto per rilanciarla e cercare di spaventare la gente. Ma il rischio è inconsistente.
E’ inconsistente perché tutti i responsabili dell’autorizzazione all’impiego di armi nucleari conoscono perfettamente le conseguenze che tale autorizzazione avrebbe: e si tratta di effetti – per loro stessi e per le loro famiglie – infinitamente peggiori dell’umiliazione di dover accettare un ritiro dall’Ucraina. Putin potrà anche avere un piede nella fossa e infischiarsene delle conseguenze, acciecato dal problema della sua eredità storica, che rischia di essere estremamente scarsa, ma gli altri hanno una vita davanti, e delle famiglie.
Per certi versi lo stesso discorso vale per la mobilitazione generale, che fornirebbe il personale tanto necessario per proseguire la guerra, ma che nessuno vuole fare perché creerebbe problemi assai peggiori di quelli che risolverebbe: distruggerebbe la narrativa di un’”operazione speciale” che procede secondo i piani, colpirebbe a morte il morale già incerto di una popolazione che comincia a dubitare della sua dirigenza.
Un recente sondaggio ufficiale russo i cui risultati insoddisfacenti erano stati bloccati è stato ora pubblicato dall’agenzia russa indipendente Meduza, che finora ha sempre confermato l’appoggio popolare al regime; secondo tale sondaggio, il 57% appoggia la prosecuzione della campagna, il 32% ne richiede l’interruzione e l’11% “non sa”. Sarebbe una conferma del supporto a Putin, benché ridotto rispetto al passato, se non fosse che scomponendo i dati si scopre che nella fascia giovanile dai 18 ai 30 anni la percentuale dei favorevoli alla cessazione immediata delle ostilità sale al 60%. Questo, naturalmente, significa che coloro che hanno accesso alle informazioni esterne rispetto ai media di regime cominciano ad essere sempre più a disagio con la situazione, e che il sostegno a Putin poggia sempre più sulle categorie anziane e abituate ad informarsi unicamente sui media nazionali, non avendo modo di accedere a quelli esteri.
Insomma, il morale del “fronte interno” costituisce sempre più un fattore di preoccupazione per il regime, che deve adeguare la sua strategia comunicativa soprattutto a questo fattore, passando in secondo piano la condotta stessa delle operazioni: queste devono adeguarsi il più possibile alla narrativa, piuttosto che il contrario.
Una campagna condotta su queste basi non può che fallire.
La Russia ha iniziato questa guerra con un vantaggio apparentemente incolmabile. Gli errori commessi, benché enormi e forieri di perdite esiziali, hanno ridotto tale vantaggio in maniera consistente, e con il tempo lo stanno annullando completamente. La differenza era tale che il tempo, purtroppo, è più lungo di quanto si desidererebbe, e le vittime della guerra continuano a crescere, ma vista la situazione non vedo come il conflitto possa assumere altra caratteristica che quella di guerra di posizione.
A riprova di come ormai la spinta delle armate russe sia ridotta ad un anelito a livello di battaglione, nelle ultime ventiquattr’ore non abbiamo visto segni di avanzate significative in nessuna direzione, a conferma di come, ultimata la conquista del saliente di Severodonetsk, i russi si siano veramente fermati per tirare il fiato e cercare di raggrupparsi in vista della guerra di attrito che li aspetta. E in una guerra di attrito – orribile a dirsi, ma vero – vince chi ha più gente da sacrificare; quindi, essendo a corto di uomini devono assolutamente risparmiare le forze.
Guerra di attrito significa distruzione reciproca senza reale spostamenti della linea del fronte, se non in misura ininfluente. Quindi, oltre alla disponibilità di rimpiazzi l’altro fattore decisivo è la capacità di infliggere all’avversario perdite che oltre che dolorose, siano anche qualitativamente significative: tale capacità è rappresentata dal Targeting, di cui abbiamo già parlato. Il Targeting per essere efficace prevede assetti di intelligence e di ricognizione strategica efficaci, una pianificazione puntuale e assetti di fuoco a lungo raggio precisi e potenti.
Il fattore recentemente cambiato è l’ultimo: a fronte della crescente difficoltà da parte russa a centrare gli obiettivi assegnati – certificata dai recenti errori clamorosi dei bombardamenti di condomini civili (a meno di voler accettare che il massacro di civili sia deliberato) – gli ucraini hanno recentemente acquisito con gli HIMARS una capacità di fuoco tattico a lungo raggio estremamente efficace.
In base alle ultime informazioni, appare chiaro come tali assetti – impiegabili con efficacia anche singolarmente – colpiscano prioritariamente i depositi di munizioni dell’artiglieria russa, che invece che di precisione, spara a massa e quindi richiede quantitativi enormemente superiori di munizionamento predisposto.
Ho evitato di commentare in precedenza tali successi dell’artiglieria ucraina in quanto, al netto delle affermazioni di Kyiv, mancavano riscontri obiettivi, ma adesso questi sono arrivati dalla ricognizione satellitare NATO e anche dalle agenzie indipendenti, così adesso è il caso di parlarne. Anche qui le fonti russe confermano come gli HIMARS ucraini stiano dimostrando una notevole efficacia: è Igor Girkin, il famoso “Comandante Strelkov”, a confermare come ben 15 siti di stoccaggio munizioni siano stati centrati e distrutti nell’ultima settimana e come le difese antimissile russe si siano dimostrate del tutto impotenti ad arrestare i missili tattici americani.
La perdita del munizionamento avanzato per l’artiglieria priva i russi della loro ultima vera carta vincente, che è l’impiego a massa del fuoco contro la fanteria leggera ucraina trincerata davanti ai battaglioni nemici che rifiutano di assaltare frontalmente. Non si tratta di un rovesciamento delle sorti del conflitto, ma di un ulteriore passo verso la definitiva stasi dell’offensiva russa, ormai bloccata sul 99% del fronte e destinata a infognarsi anche sull’ultimo 1%.
La grande “Operazione Speciale” dell’orso Vladimiro è ormai una guerra di posizione stile I Guerra mondiale, senza alcuna speranza residua di raggiungere gli ambiziosi obiettivi iniziali.
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