Giorno 176
Immagine recente del conflitto russo-ucraino
Orio Giorgio Stirpe
Il “rumore di fondo” prevale sempre di più sugli sviluppi militari effettivi. Durante le esercitazioni militari esiste una piccola “cellula” che inietta sul personale addestrato un flusso ininterrotto di notizie e di “incidenti” che servono a dare colore alla situazione senza però modificarla quasi per niente: a parte alcune eccezioni volutamente nascoste in modo da essere difficili da identificare, in genere non significano assolutamente niente dal punto di vista militare.
E’ la stessa cosa che sta avvenendo in Ucraina: gli eventi significativi sono pochissimi, e la quasi totalità delle notizie che vengono offerte al pubblico sono appunto “incidenti” magari vistosi ma del tutto ininfluenti sull’esito del conflitto.
Questo vale per i bombardamenti terroristici russi sui condomini civili, e vale per le eternamente annunciate controffensive ucraine; vale per le esercitazioni cinesi in Russia e per le reciproche provocazioni intorno alla centrale nucleare di Zapo.
Poi, nel flusso di notizie interessanti ma insignificanti, si celano alcuni spunti significativi.
Un punto interessante è la differenza nella precisione degli attacchi missilistici: mentre i russi sparano alla cieca sulle città colpendo indiscriminatamente condomini civili quando dicono di voler mirare a obiettivi militari, gli ucraini riescono a centrare una passerella larga pochi metri che corre lateralmente ad una diga, senza danneggiare la diga stessa.
Ora, questo è un fatto indiscutibile, documentato dalle stesse foto diffuse dai media e dai social russi, così come dobbiamo prendere come fatti le dichiarazioni ufficiali della autorità russe quando queste affermano di non voler colpire obiettivi civili… Potrebbero naturalmente mentire, ma questo sarebbe ancora peggio, visto che gli ucraini quando colpiscono una base aerea in Crimea evitano di colpire i villeggianti russi sulla spiaggia a poche centinaia di metri più in là.
Naturalmente la tecnologia che consente questa precisione è di matrice occidentale, e sta ad indicare la superiorità tecnica degli equipaggiamenti militari della NATO su quelli russi; superiorità che ormai si somma anche a quella numerica dopo le perdite subite in Ucraina, e la consapevolezza generalizzata di ciò ha conseguenze geopolitche a livello mondiale.
Ma la capacità offerta dalla tecnologia occidentale si accompagna alla volontà ucraina di adoperarla senza provocare volutamente danni collaterali ai civili, e questo denota una superiorità etica, ma soprattutto una capacità di pianificazione superiore: i danni inflitti ai civili rafforzano la volontà di combattere di un popolo che non si sente sconfitto, e quindi costituiscono oltre che un crimine anche un errore.
Altro punto interessante è l’interpretazione offerta dai russi agli attacchi subiti in Crimea, che hanno provocato il panico fra i villeggianti russi che si sono dati alla fuga intasando autostrada e ferrovia passanti sul pointe di Kerch, vitale per la logistica russa. Secondo il Cremlino si sarebbe trattato di “sabotaggio”.
In effetti una delle possibilità (a parte il missile navale R-360 “Neptune” di fabbricazione ucraina, gittata 300 Km, con elettronica di guida modificata per obiettivi terrestri) è un’incursione delle Forze Speciali ucraine addestrate dai Berretti Verdi amaricani. Il che spiegherebbe la riluttanza ucraina ad ammettere subito la paternità di quelli che sono stati degli attacchi di elevata visibilità e notevole effetto (soprattutto psicologico): gli autori dell’attacco, se Forze Speciali, sarebbero ancora in zona e dovrebbero essere esfiltrati a termine attività.
Secondo i russi si sarebbe trattato di “terroristi islamici” (e quindi tatari di Crimea, leali al governo ucraino), ovviamente basati nello “stato terrorista” di Kyiv. La propaganda russa è efficace, soprattutto per la sua capacità di evitare menzogne assolute e mescolare sempre a verità ed invenzione in maniera creativa, creando una narrativa relativamente plausibile. In quest’ottica, la versione russa suggerisce un aumento dell’attività di guerriglia partigiana dietro le linee russe nelle aree occupate, soprattutto nel sud e nella stessa Crimea. In queste aree le prime linee sono più lontane, e con esse il grosso delle forze russe, e quindi il controllo del territorio è più labile.
Un articolo del New York Times illustra in maniera approfondita lo sviluppo della guerra partigiana dietro le linee russe.
Inoltre, sappiamo dalle fonti intelligence aperte che il regime russo incontra serie difficoltà a inviare personale di sicurezza ad operare nelle zone occupate: tanto la Rozgvardia che gli agenti dei Servizi cercano in ogni modo di evitare tale assegnazione, ed arrivano ad offrirsi volontari per la prima linea pur di evitarla. Non è un segnale positivo per la pacificazione, e soprattutto non in vista dell’inverno, quando tradizionalmente la Resistenza partigiana prospera maggiormente a causa della ridotta mobilità delle forze di occupazione.
Infine c’è la questione della Centrale di Zaporizhzhia, che poi si trova a una notevole distanza dalla città, che è saldamente in mano ucraina. I bombardamenti in zona non sono chiari: il fronte è piuttosto vicino alla centrale occupata dai russi, e quindi sarebbe più ragionevole che gli autori dei bombardamenti fossero gli ucraini. Però la visita dei tecnici dell’AIEA, che in teoria potrebbero testimoniare sulla paternità delle bombe che cadono nei ditorni della centrale, è impedita proprio dai russi che avrebbero interesse a consentirla per dimostrare le responsabilità ucraine. In particolare la scusa su tale divieto è ridicola: la delegazione non potrebbe passare da Kyiv, in quanto tale città sarebbe “pericolosa”… Quando ormai da tempo hanno riaperto ambasciate, teatri e perfino scuole.
In effetti, se fossi negli ucraini, eviterei accuratamente di riprendere il controllo della centrale: chi la occupa ne ha la responsabilità, e gestirla così vicino al fronte è un incubo.
Per il resto, come dicevo, è tutto rumore di fondo. Il conflitto è bloccato e potrà risolversi solo con il tempo, quando la crisi economica indotta dalle sanzioni porterà la Russia vicino al collasso, oppure quando il sostegno all’Ucraina da parte occidentale verrà meno.
Circa la seconda eventualità, quindi, il conflitto in realtà si decide da noi.
Lo scontro di opinioni qui è fra chi ritiene che il costo per sostenere l’Ucraina sia troppo alto in rapporto allo scarso interesse nazionale in merito, e coloro che ritengono che le ragioni etiche e anche reali di sostenere un vicino che intende integrarsi nel nostro stesso sistema politico ed economico valgano il prezzo di un’inflazione galoppante.
Naturalmente è ovvio da che parte si schiera chi scrive: il modo di vedere dei primi (mi riferisco alla maggioranza in buona fede, non ai minions che servono Putin) mi appare tremendamente provinciale, tipico di chi si rifiuta di guardare lontano con la scusa di avere problemi vicini: come se questi non fossero collegati a quelli lontani. In una parola di chi non vede o non vuol vedere oltre il proprio orticello.
Il vero equivoco nasce dal concetto sorpassato secondo cui le guerre si dichiarano: laddove non c’è dichiarazione di guerra, la guerra non c’è e quindi si è neutrali.
Ma non è più così: è uno degli effetti della globalizzazione, e ne parleremo nel prossimo articolo.
Per il momento, mi rassicura una cosa.
Al di là di tutti i commenti negativi che avrei da fare sulla politica italiana, osservo con un certo sollievo che i leader virtuali dei tre “poli” che si presentano alle elezioni (Calenda, Letta e Meloni in rigido ordine alfabetico) hanno tutti e tre fatto chiara dichiarazione di solidarietà atlantica e questo – al netto delle clamorose contraddizioni interne e sulla vacuità infantile dei programmi, su cui eviterò accuratamente di commentare – è motivo di sollievo.
E di preoccupazione per l’orso Vladimiro: perché se l’Italia non demorde dalla solidarietà atlantica e dal supporto all’Ucraina, allora non lo farà nessuno; e per concludere il conflitto rimarrà solo l’altra possibilità.
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