Giorno 206
Un’analisi a 360 gradi delle iniziative diplomatiche di Putin per dimostrare di non essere solo. Ma lo è drammaticamente e finisce per mostrarlo al mondo (che ragiona) lui stesso.
Orio Giorgio Stirpe
Oggi avevo l’intenzione di parlare delle opzioni militari russe in base allo strumento che è rimasto in mano a Putin, ma visti gli eventi diplomatici degli ultimissimi giorni forse è meglio prima gettare uno sguardo sul palcoscenico internazionale.
Ricordiamolo: la Russia di Putin si vede come una Superpotenza, anche se mutilata dalla disintegrazione dell’URSS. Lo zar si presenta al mondo come un leader alla testa delle forze che si oppongono allo strapotere (definito “unipolare”) degli Stati Uniti e dei loro alleati. Ama parlare di un mondo “multipolare”, ma il suo atteggiamento indica chiaramente come il suo scopo in realtà sia ristabilirne uno “bipolare”, con appunto la Russia alla testa di tutto ciò che si oppone all’America. In questa prospettiva cerca di dominare la CSTO* (l’alleanza militare con alcune delle Repubbliche ex-sovietiche), lo SCO** (la “comunità di Shanghai” che racchiude le principali economie asiatiche escluso il Giappone) e i BRICS*** (l’associazione informale di cinque grandi economie emergenti). Tre organizzazioni che nella mente di Putin rappresentano i contraltari rispettivamente alla NATO, al Forum di Davos e al G7.
Naturalmente, gli altri Paesi che partecipano a queste iniziative non hanno esattamente la stessa visione delle cose, e in particolare la Cina ritiene (e con una certa ragione) di dominare lo SCO, mentre il BRICS è più che altro un palcoscenico dove la Cina cerca di proiettare la sua potenza economica oltre i normali confini dello SCO, e la Russia siede fondamentalmente in virtù della sua potenza militare.
Non starò ad analizzare nel dettaglio queste tre organizzazioni, perché in particolare SCO e BRICS ricadono nel dominio dell’Economia, che non mi compete; mi limito a dire che la CSTO è priva di organizzazione militare integrata e serve solo a consentire alla Russia di dislocare forze militari oltre i propri confini per esercitazioni o per reprimere il dissenso.
Nelle ultime settimane il CSTO ha subito gravissimi colpi. L’aspetto più visibile e sostanziale dell’alleanza era costituito dalle “forze di pace” russe dislocate in ruolo di interposizione per flemmatizzare i conflitti locali che tormentano ancora il territorio della ex-URSS; in seguito alle gravissime perdite subite in Ucraina, queste forze sono state ritirate quasi completamente per essere mandate a combattere nel Donbass.
Il risultato di questo ritiro è stato quasi immediato: la guerra fra Azerbaijan e Armenia è tornata a divampare, subito seguita da quella fra Tajikistan e Kirghizistan. In entrambi i casi la Russia è stata invocata in aiuto dai suoi alleati del CSTO, ma si è tirata indietro.
Considerata l’importanza attribuita da Putin al mantenimento del controllo del territorio ex-sovietico, questo appare come una conferma piuttosto chiara dell’impotenza militare russa determinata dalla scarsità delle sue forze operative residue.
Della recente riunione dei BRICS abbiamo già parlato: tre dei cinque partecipanti, all’indomani dell’evento, si sono affrettati a compensare l’incontro con Putin andando a trovare vari leaders occidentali, e l’India ha addirittura partecipato al G7.
La riunione dello SCO a Samarcanda, dipinta dalla propaganda putiniana come la riprova del mantenimento dell’influenza russa nel mondo e della profondità dei suoi legami eurasiatici, si è risolta in un imbarazzo diplomatico.
Dapprima, le fotografie di Putin costretto ad aspettare i suoi interlocutori per gli incontri bilaterali hanno fatto il giro del mondo; è una gravissima scortesia diplomatica far aspettare un Capo di Stato ad un incontro a due: una cosa che Putin ha sempre fatto con i suoi “vassalli” o con coloro che intendeva mettere “al loro posto”, e che recentemente Erdogan aveva fatto con lui. Si tratta di una chiara dimostrazione di disistima, o quantomeno di rifiuto di accettazione di una leadership che non ha più ragione di esistere.
Poi sono emersi i dettagli dei colloqui con i leaders di Cina e India.
Xi Jinping è stato abbastanza diplomatico: ha ripetuto i sensi dell’indissolubile amicizia fra le due Nazioni e la volontà di espandere i rapporti in futuro… Ma ha respinto ogni richiesta di supporto economico o militare. E ha concluso. annunciando l’intenzione di creare un collegamento ferroviario con l’Europa che tagli completamente fuori il territorio russo, lasciando intendere e trasparire il timore di una disintegrazione della Federazione.
Xi Jinping spera in una riconferma alla Presidenza in ottobre, quando si riunisce il Congresso del partito Comunista Cinese, e le sue prospettive sono più incerte rispetto all’anno scorso: la politica contro il COVID ha scontentato molti e non è ancora risultata vincente, l’economia arranca rispetto al passato, i rapporti con l’Occidente sono peggiorati, e la guerra dell’alleato russo si sta rivelando sempre più un imbarazzo.
La Cina non è affatto contenta di Vladimir Putin e del suo comportamento; e non lo aiuterà.
Il Presidente Modi è stato più diretto. “Non è il momento di fare guerre”, detto a chi ne ha iniziata una sei mesi fa e non riesce a porvi fine, non suona esattamente come un pubblico sostegno, quanto piuttosto come un rimprovero in linguaggio diplomatico. Tanto è vero che Putin, capita l’antifona, ha tenuto a giustificarsi: lui vuole la pace, ma sono gli ucraini che non vogliono trattare…
Le principali sedi diplomatiche, dove Putin sperava di raccogliere sostegno, lo hanno sostanzialmente lasciato fuori al freddo: nessun aiuto, né militare, né economico; al contrario, i suoi interlocutori prendono più o meno educatamente le distanze per non essere coinvolti nel suo fallimento.
Se poi la posizione di stallo diplomatico non fosse abbastanza chiara, appena terminata la riunione dello SCO il Presidente Biden ha ritenuto di ribadire pubblicamente e per l’ennesima volta ciò che già da tempo era stato messo in chiaro in via riservata: qualunque uso di armi non convenzionali da parte russa riceverà una risposta immediata, proporzionale e automatica.
L’opzione nucleare, come quella dell’uso di armi chimiche, non è sul tavolo come lo stesso Putin ha dichiarato più volte, consapevole della posizione occidentale in merito… Ma in caso la frustrazione per l’impotenza del suo esercito gli avessero annebbiato la memoria, ricordarglielo poteva essere utile.
Ricordarglielo pubblicamente, è un ennesimo smacco diplomatico.
Insomma: diplomaticamente la Russia è sola?
No, non è sola… Riceve aiuti dalla Siria, dall’Iran e dalla Corea del Nord, rispettivamente nella forma di volontari, di droni e di munizionamento d’artiglieria. Ha anche riscosso il sostegno diplomatico della Giunta Militare del Mali, e a parole anche da Cuba, Nicaragua e Venezuela, che però nel frattempo cercano di riaprire i canali diplomatici con l’America.
Naturalmente c’è anche la Bielorussia del riottoso alleato Lukashenko: l’unica altra Nazione slava del CSTO, dove le forze russe hanno represso l’insurrezione popolare contro il governo locale un paio di anni fa… Il suo esercito si rifiuta di intervenire accanto ai russi in Ucraina, e la popolazione ha perfino sabotato le proprie stesse ferrovie per impedire il sostegno logistico alle forze russe intorno a Kyiv in marzo, contribuendo a costringerle a ripiegare.
Minsk è una bomba ad orologeria che aspetta di esplodere in faccia a Lukashenko, e anche a Putin.
No: non ci sono aiuti esterni in vista per sostenere l’invasione, da nessuna parte del mondo. L’orso Vladimiro è drammaticamente solo, indipendentemente da quello che cerca di gridare la sua propaganda.
Ndr. * CSTO: alleanza militare difensiva composta da Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia e Tagikistan. ** SCO: Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai composta dai capi di Stato di sei Paesi: Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. *** BRICS: conferenza sulle relazioni internazionali a cui partecipano i capi di stato o di governo dei cinque stati membri Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa.
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