Giorno 220/1
Scritto ieri, giorno 220 e pubblicato oggi/1, il “pezzo” offre uno spaccato della situazione odierna sul piano militare e previsioni motivate sull’andamento del conflitto russo-ucraino.
Orio Giorgio Stirpe
Negli ultimi giorni abbiamo esaminato la situazione come si presenta dopo la controffensiva ucraina a Izyum, abbiamo considerato le opzioni delle parti contrapposte e provato a immaginare quali “Cigni Neri” potrebbero intervenire a capovolgere la situazione, giungendo alla conclusione che sia veramente difficile immaginarne uno a breve termine (del resto i Cigni Neri sono imprevedibili per natura).
Fatto ciò, e messo da parte l’episodio di North Stream come militarmente poco significativo, proviamo ora a vedere quali potrebbero essere gli sviluppi a breve termine.
L’annessione di quattro Oblast ucraini e il sabotaggio dei gasdotti del Baltico, al di là di ogni altra considerazione, indicano chiaramente una volontà di rilancio da parte di Putin: di fatto segnalano la sua intenzione di non trattare se non in base alle sue condizioni, indipendentemente dall’andamento militare del conflitto. Si tratta di una vera e propria rottura dei ponti, in quanto ovviamente nessuna delle due Nazioni potrà rinunciare a quello che considera il proprio territorio per sedere ad un tavolo, e conscio di questo Putin non ha avuto problemi a rinunciare anche per il futuro a esportare gas in Europa attraverso un canale diretto. Esiste quindi l’intenzione da parte del Regime di Mosca di prolungare in conflitto a tempo indeterminato.
In mancanza di “Cigni Neri” e perdurando Putin al potere, la prospettiva a breve e medio termine è di una continuazione ad oltranza delle operazioni militari.
Viste le condizioni dei contendenti e l’attuale iniziativa ucraina con Momentum favorevole, andiamo quindi a considerare i probabili sviluppi futuri a partire dalle operazioni correnti.
In Ucraina sono cominciate le piogge e quindi il Grande Fango non è lontano. Il massiccio fissaggio della testa di ponte russa a Kherson prosegue tenendo inchiodate sul posto le migliori Brigate dell’esercito russo, mentre le Unità di manovra principali di quello ucraino proseguono le loro operazioni controffensive nel settore nord-orientale sull’abbrivio del successo di Izyum.
A questo punto direi che rimane confermato quanto avevamo supposto in precedenza, e cioè che piuttosto di spostare il centro di gravità delle operazioni nuovamente verso sud, il avrebbe preferito insistere nel settore a nord dove le sue forze erano già in azione e i russi sembravano in crescente difficoltà.
L’apparente successo conseguito a Lyman avvalora tale impostazione, e lascia presagire una prosecuzione della controffensiva ancor più in profondità oltre Kreminna per aggirare da nord le zone urbane di Lyshyansk e di Severodonetsk e proseguire nel terreno aperto intorno a Svatove e anche oltre.
Più che dalla resistenza russa, il limite dell’avanzata ucraina dipenderà dalla capacità logistica di sostenere l’avanzata e dall’attrito crescente che verrà imposto dalle condizioni meteorologiche.
Incredibilmente, nella zona di Donetsk città proseguono gli sforzi offensivi russi in direzione nord, come se si illudessero ancora di poter raggiungere Kramatorsk (che se ricordate era il centro di gravità e l’obiettivo finale della loro offensiva del Donbass). Gran parte di questi sforzi – chiaramente pretesi da Putin in persona contro ogni logica militare per promuovere la narrazione di una “liberazione del Donbass” ancora in corso – sono sostenuti dai gruppi di combattimento della milizia privata Wagner, che ormai sta alle SS come Putin sta a Hitler.
Nel sud non assistiamo a operazioni massicce, e probabilmente a questo punto non ne vedremo prima della fine del Grande Fango. Con l’avvento dell’inverno la Resistenza guadagnerà visibilità e spazio mentre il morale russo continuerà ad erodersi per le difficoltà ambientali, e allora operazioni limitate da parte ucraina potrebbero cominciare ad erodere sul fianco il corridoio che collega la Russia alla Crimea lungo la costa.
Nella testa di ponte di Kherson prosegue il fissaggio ucraino che inchioda al Dnipro il meglio dell’esercito russo. Gli ucraini continuano a esercitare la pressione minima necessaria per tenere bloccate e logorare le forze nemiche con le sole Unità del Comando Sud nel modo più “economico” possibile: questo in quanto l’inverno aggraverà da solo i problemi dei loro avversari tanto per ovvie ragioni ambientali quanto per la progressiva riduzione delle scorte. L’attraversamento del Dnipro diventerà sempre più difficoltoso e si arriverà inevitabilmente al momento in cui ai russi rimarrà l’unica alternativa di ripiegare sulla sponda orientale cercando di salvare quanti più uomini possibile, come già avvenuto su scala molto minore a Lyman.
Il degrado dell’esercito russo appare ormai irreversbile. Per molti versi ricorda quello della Wehrmacht nel 1945, ma anche quello dell’esercito romano d’occidente ai tempi delle invasioni barbariche, quando le Unità professioniste logorate dalle perdite vennero progressivamente sostituite da mercenari, milizie cittadine, armate private ed eserciti barbarici a contratto. A parte le Unità “paracadutiste” della VDV, le Brigate “regolari” originariamente costituite da semiprofessionisti, sono ormai farcite di reclute inesperte di fresca mobilitazione; numerosi reparti sono costituiti interamente da miliziani locali o da personale di dubbia motivazione e scarsissimo addestramento, e soprattutto sono ormai equipaggiati come fanteria leggera e privi di equipaggiamento pesante con cui combattere una battaglia manovrata in profondità.
L’artiglieria esiste ancora, ma è dislocata male e soffre ormai di una penuria endemica tanto di dati di tiro accurati (su cosa sparare?) che di munizionamento adeguato (con cosa sparare?).
Notizie non confermate ma sempre più insistenti indicherebbero un apparente inizio di forniture cinesi di munizionamento ordinario (non “intelligente”) alla Russia. Qualora confermato, oltre ad aggravare la situazione diplomatica fra Cina e Occidente, questo potrebbe fornire qualche respiro all’artiglieria russa almeno in termini di granate da 152 e 122 millimetri (le uniche che i due Paesi hanno in comune).
La situazione strategica non sembra in procinto di cambiare molto. Anche all’ultima votazione presso il Consiglio di Sicurezza dell’ONU la Cina ha scelto di astenersi e non ha sostenuto la posizione russa, posizionandosi in linea con il resto dei BRICS in modo intermedio fra i suoi “alleati” russi e l’Occidente da cui dipende la sua economia.
Mentre da un lato mantiene la sua posizione neutrale in diplomazia e fornisce aiuti limitati sottobanco alla Russia, la Cina ha però ribadito di condannare recisamente qualsiasi ipotesi di escalation nucleare da qualunque parte essa provenga.
Nelle stesse ore l’America ha ribadito esplicitamente una volta di più (in forma di comunicato bi-partisan del Congresso letto dal capo dell’opposizione repubblicana) che un attacco nucleare contro l’Ucraina verrebbe considerato come un attacco nucleare contro la NATO e riceverebbe una risposta corrispondente.
Queste dichiarazioni ai massimi livelli confermano l’inapplicabilità di un’escalation militare non convenzionale, che rimane l’unico possibile – ancorché improbabile come ribadito più volte – “Cigno Nero” nel cappello di Putin.
In conclusione, andiamo verso un autunno fangoso entro il quale la controffensiva ucraina si esaurirà sulle posizioni che sarà possibile raggiungere a nord di Severodonetsk, e il resto del fronte si infognerà in vista dell’inverno.
A meno di colpi di scena al Cremlino, se l’orso Vladimiro rimarrà in sella durante l’inverno assisteremo ad un lento logorio delle forze d’occupazione russe in Ucraina e occorrerà attendere la primavera per vedere la conclusione militare di un conflitto che non sembra potersi risolvere diplomaticamente.
Non con l’orso Vladimiro al Cremlino.
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