Giorno 239
In copertina il generale Surovikin con l’orso Vladimiro
Orio Giorgio Stirpe
Ora che abbiamo ricapitolato la situazione come si presenta in Ucraina all’avvento del Grande Fango, cerchiamo di capire quali potrebbero essere gli sviluppi futuri ora che il Comandante Operativo russo in Teatro è cambiato un’altra volta.
Il generale Surovikin non è famoso per la sua inventiva, ma è considerato in Russia come un esecutore affidabile e capace; in Occidente queste qualità sono descritte più volentieri come servilismo e mancanza di scrupoli.
La battaglia di Aleppo, in effetti, offre un’ampia dimostrazione di ciascuna di queste caratteristiche: la città prima di essere conquistata è stata quasi completamente distrutta, a partire dalle sue installazioni sanitarie – prendere di mira gli ospedali è un crimine di guerra – e i profughi che hanno inondato l’Europa hanno portato con sé storie di una violenza intollerabile; d’altra parte è anche vero che quali che siano sati i metodi impiegati, questi hanno messo fine ad uno stillicidio di combattimenti che andava avanti da più di sei anni e hanno “risolto” il problema. Indipendentemente da come la possiamo vedere noi in Occidente, questo dal punto di vista di Putin rappresenta un ottimo risultato conseguito sul campo. Il fatto poi che il personaggio appaia di una lealtà inossidabile al Regime e mostri un “phisyque du role” notevole non fa che aumentare il favore con cui lo zar vede il suo generale.
All’inizio non ritenevo che il cambio di Comandante avesse una grande rilevanza: abbiamo fatto fatica a distinguere la mano del suo predecessore Dvornikov durante le operazioni estive, e il Cremlino ha continuato a praticare la sua microgestione delle operazioni travalicando senza riguardi la propria Catena di Comando.
Anche la campagna di bombardamento sistematico delle centrali elettriche ucraine con i droni iraniani, iniziata il giorno stesso dell’assunzione del Comando da parte di Surovikin era chiaramente stata decisa in precedenza e non era attribuibile a lui.
Ma già negli ultimi giorni si è cominciato a distinguere un certo cambiamento rispetto alla precedente postura delle forze russe, e questo lascia supporre che a differenza dei suoi predecessori il nuovo Comandante Operativo potrebbe essersi conquistato un minimo di spazio di manovra entro cui gestire le priorità miliari senza troppe interferenze politiche.
Il discorso pubblico sulle probabili “decisioni difficili” lascia intendere che Surovikin da un lato si renda perfettamente conto della situazione precaria delle forze russe sul campo, e dall’altra abbia ricevuto l’autorità di effettuare quelle manovre difensive in profondità (che includono riposizionamenti tattici e quindi l’abbandono delle posizioni più esposte) che finora erano vietate in prima persona da Putin.
In particolare si parla della testa di ponte di Kherson, ormai trasformata in una sacca terribilmente simile a quella da allenamento di un pugile: non si può veramente rompere, ma la si può pestare a piacimento senza che la sabbia possa andare da nessuna parte.
Ho scritto più volte che dal punto di vista ucraino più a lungo la sacca rimane dove si trova e meglio è, perché inchioda in una posizione inutile e difficile alcune fra le migliori Brigate russe e non richiede un grande sforzo per essere dissanguata lentamente. Finora Zaluzhny ha infatti resistito alla tentazione di un assalto in forze per liberare l’unica città capoluogo catturata dai russi durante questa guerra, preferendo spingere su obiettivi magari meno visibili politicamente, ma militarmente più paganti, come a Lyman.
Adesso però tutto lascia pensare che i russi si stiano finalmente preparando ad evacuare la sacca di Kherson e a ripiegare sulla sponda orientale del Dnipro.
Si tratta di una decisione militarmente assennata, che contrasta con quanto fatto vedere finora dal Comando russo, e che lascia presagire un effettivo cambio di passo nella gestione del conflitto. Questo, considerata l’avventatezza delle decisioni russe fino a questo momento, non è un buon segno per gli ucraini.
Il fatto è che la posizione attuale russa sul terreno è praticamente la peggiore possibile su cui affrontare l’inverno, con posizioni avanzate molto lontane dalle fonti di rifornimento e linee logistiche esposte tanto all’interdizione terrestre che alla Resistenza. Un ripiegamento che accorci tanto il fronte che le distanze logistiche consentirebbe di irrobustire tanto le linee difensive che quelle di rifornimento, rendendo più difficile il compito alle forze ucraine che hanno l’onere dell’iniziativa e devono necessariamente attaccare per recuperare i territori occupati.
Non c’è solo la sacca di Kherson: anche a nord c’è un’ampia zona di territorio minacciato e difficilmente difendibile che Surovikin potrebbe aver deciso di cedere lentamente per risparmiare perdite inutili, anche al prezzo di cedere un terreno politicamente sensibile: il nord del Luhansk. Si tratta di quella fascia di territorio assolutamente pianeggiante e privo di centri urbani importanti che copre metà del territorio dell’Oblast del Donbass (che per questo ha un valore politico elevato) e che i russi hanno occupato senza incontrare troppa resistenza all’inizio del conflitto: per difenderlo occorrono ingenti forze corazzate e meccanizzate, perché è lì che si concentra adesso la controffensiva di Zaluzhny, che preme oltre Lyman verso Svatove e Starobilsk.
Cedere lentamente questo terreno senza sacrificare forze preziose che occorrono altrove farebbe cadere nel vuoto la spinta ucraina e darebbe tempo ai russi per riorganizzarsi su posizioni migliori corrispondenti a nord alla vecchia linea del fronte del 2014, a sud al corso del Dnipro e al centro alle posizioni attuali.
Questa manovra, se eseguita con calma e professionalmente, darebbe inizialmente agli ucraini l’illusione di un’avanzata vittoriosa, ma in realtà segnalerebbe l’inizio di una nuova fase del conflitto, in cui i russi accettano finalmente la situazione che li pone nella posizione di doversi difendere per contenere l’iniziativa avversaria e affrontare un Momentum sfavorevole, e in cui gli ucraini dovranno attaccare un nemico non più impreparato ma saldamente attestato a difesa.
I segni di questa possibile manovra sono abbastanza evidenti: dalle chiare manovre propedeutiche all’abbandono di Kherson sotto la copertura dei civili in fuga (o deportati, a seconda dei punti di vista), ai lavori di fortificazione campale nel Luhansk centrale lungo la vecchia linea del 2014. Non è detto che sia necessariamente questo il piano operativo di Surovikin, ma tutto lascia intendere che sia così; soprattutto, si tratterebbe di una manovra militarmente consona alla situazione.
Nel frattempo, continua la “guerra ibrida”. La campagna contro l’infrastruttura energetica civile ucraina condotta con i droni iraniani (!) dimostra anch’essa una visione coerente.
Intendiamoci: anche se i russi riuscissero a gettare la popolazione nel buio e al freddo, questo avrebbe uno scarso effetto militare. La Nazione è ormai da tempo al di là della “soglia del dolore”, e le ulteriori sofferenze non abbatteranno la sua determinazione; però deprimeranno il morale e soprattutto assorbiranno risorse dal sostegno internazionale che avrebbero potuto essere meglio impiegate nel supporto alle operazioni controffensive e alla mobilitazione di nuove Brigate necessarie nella prossima primavera.
Non è detto che la campagna dei droni debba continuare necessariamente con lo stesso successo: ho dei dubbi sulla capacità iraniana di sostenere un ritmo di produzione industriale tale da sostenere un rateo di consumo di cento droni al giorno per molto tempo, necessario per supportare una campagna di queste dimensioni; bisognerà anche vedere l’impatto dei nuovi sistemi di difesa aerea in arrivo dall’Occidente e da Israele.
Rimane però il fatto che per la prima volta i russi stanno effettuando bombardamenti “strategici” (seppure con le “armi dei poveri”) mirati ed efficaci, e questo supporta la campagna ibrida rivolta essenzialmente contro l’opinione pubblica europea e volta a ridurre il sostegno occidentale all’Ucraina.
C’è poi la questione della diga di Nova Kachovka. L’evacuazione più o meno forzata dei civili da Kherson può non essere rivolta solo a fornire “scudi umani” alle truppe che si ritirano dalla testa di ponte, ma anche a preparare l’apertura della diga (oppure anche il suo sabotaggio) per imporre un enorme danno infrastrutturale all’Ucraina nei territori appena riconquistati e creare una barriera almeno temporaneamente invalicabile a difesa della Crimea.
Una simile azione, che la propaganda potrebbe anche cercare di attribuire agli stessi ucraini intenti ad ostacolare il ripiegamento russo, avrebbe fra l’alro l’effetto di danneggiare seriamente la città di Kherson e privare così gli ucraini della soddisfazione per la liberazione della città.
Sarebbe un comportamento tipico del modo di pensare dell’orso Vladimiro.
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