Gli orti della crisi e il Farmers market
Dagli orti di guerra, agli orti della crisi. Corsi e ricorsi storici, Giambattista Vico docet
Rocco Michele Renna
C’era una volta l’orto di guerra. Se dovessimo definire il secolo scorso, partiremmo sicuramente dai maggiori episodi storici che l’hanno caratterizzato: le due guerre mondiali. In particolare agli inizi della seconda, si diffusero in tutta Italia i cosiddetti “orti di guerra”. Di cosa si trattava?
A partire dal 1940, cominciò ad essere promossa in tutta Italia un’iniziativa utile a contrastare la grave crisi alimentare che si stava ampliando a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Si tratta di quelli che il regime fascista definisce “orti di guerra “: terreni coltivati in aree urbane, non solo all’interno di qualche giardino pubblico.
Dall’ufficio propaganda del PNF viene emanato un documento in cui si dichiara che «per dare un contributo notevole alla campagna alimentare e alle iniziative autarchiche del paese», il regime decide di trasformare i giardini pubblici e i parchi delle grandi città in aree coltivabili dove piantare soprattutto grano, orzo, legumi, patate e tutti «quegli ortaggi che nelle contingenze attuali possono dare un apporto considerevole di nutrimento in parziale sostituzione di quanto, per varie cause, più scarseggia per la popolazione civile: la carne».
Creare l’orto di guerra, per il sostentamento della propria famiglia, diventa presto un dovere per il cittadino italiano, un impegno civile verso la propria patria.
La diffusione degli orti di guerra è una delle conseguenze più tangibili della crisi alimentare indotta dalla guerra. La penuria di generi alimentari dovuta alla sempre maggiore difficoltà di approvvigionamento unitamente al blocco delle importazioni imposto dal governo, ideologicamente autarchico, rende sempre più grave il problema della fame.
Oggi non abbiamo questo problema della guerra diretta in casa nostra. ma conseguenze dirette di una nuova guerra in Europa proprio nella zona di maggior produzione di cibo e quindi ne subiamo indirettamente le cause, aumento della materia prima e dei carburanti fossili, grano, carne ed altro in diminuzione e conseguenza probabile diretta è la chiusura di alcune aziende, licenziamento e perdita di potere di acquisto di chi ancora conserva uno stipendio.
Pensiamo, quindi, alle nostre periferie, non come chiese Mussolini i nostri giardini pubblici, ci sono molti terreni incolti nelle periferie delle città abbandonati a se stessi e pieni di immondizia, potrebbe essere una ottima soluzione sia per tenere pulita la zona e sia perché si crea un micro guadagno dallo sfruttamento degli stessi terreni, naturalmente questo nuovo impegno agricolo, prendendo spunto dagli orti di guerra di Mussolini lo definiremmo gli orti della crisi alla quale deve assolutamente e indissolubilmente essere associato un farmers market.
I farmers market, o mercatini dei contadini, sono dei mercati dove i produttori (contadini) sono essi stessi i venditori dei loro prodotti, tipicamente ortofrutticoli, si trovano esclusivamente prodotti locali, dato che per un contadino è pressoché impossibile frequentare mercati lontani dalle proprie terre.
Sono dei mercati dove si realizza dunque la filiera corta, ossia la vendita diretta da produttore a consumatore, il che costituisce la principale differenza rispetto ai mercati rionali, dove i venditori sono intermediari, non produttori della merce.
Quindi si tratta di mercati dove si trova il concetto del kilometro zero, oltre alla filiera corta. Vengono trattati prodotti primariamente di origine biologica e trattati con tecniche biologiche di agricoltura
– si trovano spesso anche piccolissimi produttori che non commerciano solitamente i propri prodotti, se non in caso di eccedenze o raccolti particolarmente copiosi (es. gli agriturismi)
– si tratta infine di luoghi di socializzazione e convivialità, sia per chi acquista che per chi vende, tant’è vero che alcuni Comuni incoraggiano i mercati dei contadini, o farmers market, come concreta misura antidegrado nelle periferie cittadine.
Ed ecco una ghiotta opportunità soprattutto per il sud di diventare il motore agricolo di una nuova Italia, un incentivo a chi è rimasto senza lavoro o vuole cibarsi dei prodotti genuini di sua produzione con un occhio anche alla tasca perché risparmio e guadagno vanno a braccetto, non solo per il produttore ma anche per il consumatore che avrebbe l’opportunità di alimentarsi comprando prodotti genuini a basso costo e con un impatto inquinante bassissimo.
A questo punto chiediamo che lo stato italiano snellisca le procedure burocratiche per attuare questi incentivi alla salvaguardia della salute e della economia pubblica , attuando più mercati dei contadini conseguenziali agli “orti della crisi”, e prim’ancora agevolando con apposite norme l’utilizzo e lo sfruttamento dei terreni incolti e abbandonati. Diversamente nascerebbero contenziosi a dismisura tra proprietari, improvvisamente interessati al terreno divenuto produttivo ed occupanti ai quali va riconosciuto un diritto di utilizzo che gli eviti l’accusa di occupazione abusiva.
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