I gatti neri: emblemi di sfortuna o simboli di ingiusta superstizione?
L’origine pratica della superstizione, le radici storiche e culturali, il simbolismo e le paure
Rocco Michele Renna
L’oscurità della notte, i mormorii del vento, e un gatto nero che silenziosamente attraversa la strada. Per molti, questa semplice scena evoca una sensazione di inquietudine, un presagio di sfortuna imminente. Ma da dove proviene questa credenza? E cosa ci dice, in realtà, del nostro rapporto con la superstizione e il mistero?
La superstizione che i gatti neri portino sfortuna ha radici profonde e complesse. Nel Medioevo, i gatti neri erano spesso associati alle streghe e alla magia nera. La loro abilità di muoversi silenziosamente nella notte, il loro mantello scuro che sembrava dissolversi nelle ombre, e i loro occhi luminosi che parevano possedere una saggezza arcana, alimentavano queste credenze. La Chiesa cattolica, nel tentativo di estirpare l’eresia, contribuì a diffondere l’idea che i gatti neri fossero familiari delle streghe, compagni demoniaci in grado di portare sfortuna e malocchio.
Il gatto nero, quindi, non è solo un animale. È un simbolo, un proiettore delle nostre paure più profonde e irrazionali. La strada che attraversa diventa una soglia tra il conosciuto e l’ignoto, tra la sicurezza della luce e l’incertezza delle tenebre. La nostra reazione a un gatto nero che attraversa la strada riflette una tendenza umana universale: il bisogno di attribuire significato agli eventi casuali, di cercare segni e presagi nel caos della vita quotidiana.
La paura del gatto nero è, in effetti, una manifestazione del nostro desiderio di controllo. In un mondo imprevedibile, dove il caso può portare gioie inaspettate ma anche tragedie improvvise, la superstizione offre una spiegazione semplice. Se qualcosa va storto dopo aver visto un gatto nero, possiamo attribuirlo a un elemento esterno e misterioso, piuttosto che affrontare l’angoscia dell’incertezza.
Oltre alle associazioni con la stregoneria, esiste una spiegazione più pragmatica e storicamente situata per la credenza che un gatto nero che attraversa la strada porti sfortuna. Nel passato, quando i viaggi avvenivano prevalentemente in carrozza trainata da cavalli, le strade erano spesso scarsamente illuminate. Un gatto nero che attraversava improvvisamente il cammino poteva facilmente spaventare i cavalli, causando incidenti potenzialmente pericolosi.
L’oscurità della notte, unita alla natura furtiva e alla colorazione del gatto, creava situazioni in cui i cavalli, animali facilmente spaventabili, reagivano in modo imprevedibile, mettendo a rischio i viaggiatori. Questi incidenti potevano essere letali o comunque causare seri danni, alimentando così la percezione che un gatto nero che attraversa la strada fosse un segno di sfortuna imminente.
Eppure, questa superstizione è profondamente ingiusta. I gatti neri non sono portatori di sfortuna, ma creature che, come tutte le altre, meritano amore e rispetto. La loro associazione con la sfortuna ha avuto conseguenze reali e tragiche: ancora oggi, i gatti neri sono meno adottati rispetto ai loro simili di altri colori e, in alcune culture, possono essere maltrattati o addirittura uccisi.
Riconoscere l’ingiustizia di queste credenze è un passo verso una maggiore comprensione e compassione. I gatti neri, come tutti gli esseri viventi, portano con sé un proprio fascino e un proprio mistero, che non ha nulla a che vedere con la sfortuna. Sono simboli, sì, ma di qualcosa di molto diverso: della nostra capacità di trasformare la paura in bellezza, l’ignoranza in conoscenza, il pregiudizio in accettazione.
In conclusione, la superstizione che i gatti neri portino sfortuna, specialmente quando attraversano la strada, è un retaggio del passato che va superato. È un invito a riflettere sulle nostre paure irrazionali e a sostituirle con una visione più razionale e compassionevole del mondo. I gatti neri non sono portatori di sfortuna, ma vittime di una credenza ingiusta e infondata. Abbracciare queste creature con amore e rispetto è un modo per dimostrare che, alla fine, la luce della ragione può dissipare le tenebre della superstizione.
In questo modo, trasformiamo un simbolo di paura in un emblema di speranza, un segno che l’umanità è capace di crescere e imparare, anche dalle sue stesse ombre.
P.S. Qui sotto il gatto nero, Miky, della nostra Collega Lidia Petrescu e del nostro direttore.
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