James Webb: al confine dello Spazio

Le prime immagini a colori trasmesse dal più grande e il più potente telescopio mai creato dall’uomo

Lidia Petrescu

Nebulosa Carina (in copertina) è l’immagine più eclatante del telescopio Webb; tra i primi scatti delle fotocamere ad infrarosso, una magnifica scogliera aliena che si trova a milioni di anni luce da noi.

Incomincia cosi una nuova era dello spazio infinito, che se sia o no infinito non è ancora dimostrato. Abbiamo aperto una nuova finestra su un’epoca sconosciuta dell’universo, che per la prima volta permette di vedere le prime stelle e le galassie più antiche: è questo il significato delle prime immagini catturate dal più potente dei telescopi spaziali, James Webb, nato dalla collaborazione fra Nasa, Agenzia Spaziale Europea (Esa) e agenzia spaziale canadese (Csa).

“Scientificamente, i dati aprono una nuova finestra su un’epoca della storia dell’universo che non è ancora stata esplorata”, rileva Adriano Fontana, responsabile della divisione nazionale abilitante dell’astronomia ottica ed infrarossa dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf).“Grazie alla potenza di James Webb, siamo in grado di osservare galassie la cui luce ha viaggiato per quasi tutta l’età dell’Universo prima di giungere a noi. In questo modo – aggiunge – possiamo vedere l’universo come era poco tempo dopo il Big Bang, quando le sue prime stelle si formavano nelle galassie che si affacciavano sull’universo giovane”.

Della prima immagine, quella dell’ammasso di galassie SMAC S 0723, Fontana osserva che “l’aver puntato il telescopio su un ammasso di galassie ci ha permesso di sfruttare l’effetto di amplificazione della luce – un effetto previsto dalla relatività generale di Einstein – per rendere visibili gli oggetti molto distanti che sono dietro l’ammasso stesso.

Questi dati – e altri analoghi – ci permetteranno di studiare nel dettaglio come si sono formate le prime galassie, e anche di studiare il mistero della materia oscura che domina l’ambiente dell’ammasso“.

Secondo l’esperto “le capacità di James Webb sono molte volte superiori a quelle che qualsiasi telescopio da terra può ottenere oggi o nel prossimo futuro” e il nuovo telescopio “è con ogni probabilità il satellite astronomico più complesso che sia mai stato lanciato nello spazio. Oltre allo specchio, composto da segmenti perfettamente allineati tra di loro, ha quattro strumenti “straordinariamente sofisticati, ognuno dei quali ha molte configurazioni e modalità operative” e che “stanno funzionando perfettamente”, come indica la prima immagine diffusa nella serata dell’11 luglio dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. “Che un oggetto così complesso funzioni perfettamente a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra – conclude – e alla temperatura di soli 40 gradi dallo zero assoluto, è davvero uno straordinario risultato tecnologico”.

E’ l’ammasso di galassie SMACS 0723 il protagonista della prima immagine di James Webb, il telescopio spaziale.

L’ha presentata il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, accompagnato dalla vicepresidente Kamala Harris e dall’amministratore capo della Nasa, Bill Nelson.

“Sono onorata di essere qui con voi. Oggi si apre un nuovo capitolo nell’esplorazione dello spazio”, ha detto Harris.

Galassie che brillano accanto ad altre galassie. Una piccola porzione dell’universo”, ha affermato Nelson presentando a Biden la prima immagine del nuovo telescopio spaziale, con il quale saremo in grado “di rispondere a domande che non sappiamo ancora formulare“.
La prima immagine dal telescopio Webb rappresenta un momento storico per la scienza e la tecnologia, per l’astronomia e l’esplorazione spaziale. Ma anche per l’America e tutta l’umanità“, ha poi scritto in un tweet Joe Biden al termine della presentazione.

  L’evento è stato anticipato di un giorno dagli Stati Uniti. La decisione di anticipare l’annuncio “è stata una sorpresa anche per noi“, ha detto Marco Sirianni, responsabile dello sviluppo del telescopio Webb per l’Esa, e “possiamo considerare l’annuncio dalla Casa Bianca una sorta di antipasto“, ha osservato riferendosi al “piatto forte” del 12 luglio, con le immagini che segnano l’inizio della vita operativa del nuovo telescopio spaziale, lanciato il 25 dicembre 2021.

L’immagine mostrata dalla Casa Bianca ha un grande valore simbolico. Saranno tutte  nell’infrarosso  perché è in questa lunghezza d’onda che funzionano gli ‘occhi’ del telescopio James Webb e ce ne saranno molte per ognuno dei cinque bersagli degli strumenti di Webb, dei quali l’Esa ha fornito il NIRSpec e il 50% del Miri. 
Oltre all’ammasso di galassie SMACS 0723, che funziona come una lente di ingrandimento cosmica attraverso cui vedere galassie molto distanti, il telescopio ha poi catturato le immagini del pianeta esterno al Sistema Solare WASP-96b, un gigante fatto soprattutto di gas che si trova a 1.150 anni luce dalla Terra; quelle della Nebulosa Anello del Sud, una nube di gas in espansione che circonda una stella morente, e quelle delle cinque galassie vicinissime fra loro note come il Quintetto di Stephan, distanti 290 milioni di anni.

telescopio Webb

Per ognuno di questi oggetti cosmici il telescopio Webb ha catturato immagini con strumenti diversi“, ha detto Sirianni. Molte saranno immagini spettrali, ossia immagini che scompongono la luce emessa da stelle e galassie per ottenere il maggior numero di informazioni possibili, per esempio sulla composizione. Ognuno dei cinque bersagli del telescopio spaziale Webb e dei suoi strumenti e corrisponde a cinque grandi temi di ricerca: la nascita delle stelle, la formazione dei pianeti, la nascita delle prime galassie dopo il Big Bang, l’evoluzione delle galassie, lo studio dei pianeti esterni al Sistema Solare. Sono soltanto le prime domande: “altre non le conosciamo ancora e arriveranno dopo che i primi risultati avranno permesso di capire a fondo le potenzialità del nuovo telescopio spaziale, come era successo per Hubble”.

Fra le cose più affascinanti che il telescopio Webb potrebbe aiutare a osservare meglio c’è l’atmosfera dei pianeti esterni al Sistema Solare: “potremmo studiare in dettaglio quelli che conosciamo, con immagini e spettrogrammi che – ha concluso l’esperto – potrebbero contenere le impronte di elementi che si possono associare a condizioni che si concilierebbero con la vita“.

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