La Domenica delle Palme

Buona domenica delle Palme. Un accenno alle tradizioni locali.

Maria Catalano Fiore

La Domenica delle Palme, come è noto, da inizio in tutta la Cristianità ai riti della Settimana Santa. Dal 2020, purtroppo restrizioni su riti, processione e tante altre cose.

A Bari, e a volte nel suo hinterland, persistono tradizioni che vanno al di la di qualsiasi jattura o Pandemia. La Domenica delle Palme è un giorno molto particolare per compiere gesti importanti.

L’ulivo stesso simbolo di Pace, assume vari significati anche scaramantici. Tutti si procurano dei rami di ulivo da far poi benedire o li acquistano. Dalla sera precedente vi era una vera lotta per accaparrarsi, da parte di ambulanti occasionali, i migliori posti sui sagrati delle Chiese e vendere rami di ulivo, e vari tipi di palme intrecciate da far benedire. Questo in generale. Ringrazio il mio amico Gigi De Santis che con la sua rubrica “Don Dialetto” tiene vive le tradizioni della città. Io sono di origini lucane, da sempre vissuta “For Terre”, oltre la città antica che ho apprezzato man mano dalla mia prima sede liceale nell’ex monastero dei Gesuiti, e di seguito quando mi sono fidanzata e sposata con un indigeno.

Foto, Archivio Gigi De Santis “Don Dialetto”

Tutte le Chiese erano così affollate che molta gente restava sul piazzale, si spalancavano i portali per consentire di seguire le funzioni, quindi il vescovo o il parroco, uscivano sul sagrato per continuare a benedire anche le palme di coloro che attendeva fuori facendo a gara affinché qualche goccina arrivasse sino ai loro ramoscelli. Poi avveniva lo scambio di auguri e ramoscelli tra amici, conoscenti e parenti.

Le ragazze nubili, “Le Vacandine”, rincasando si affrettavano a bruciare la foglia più grande e più bella, pronunciando una frase rituale per trovare marito entro la successiva domenica delle Palme.

Le Foglie di palma abilmente intrecciate.

Nel mondo agricolo i proprietari appendevano la palma su di un albero come augurio per un buon raccolto. In genere tutti i poveri offrivano palme ai signori, così anche i facchini o altri lavoranti. Se il proprietario restava in salute e gli affari prosperavano, anche loro ne avrebbero goduto e potuto conservare il posto di lavoro. Questo era molto importante per tutti. Il Sacrestano le offriva, già benedette, ai fedeli, in cambio di un’offerta.

Il ramoscello l’olivo o la Palma aveva importanza anche quando si cambiava residenza. Appena occupata la nuova abitazione il ramo veniva appeso dietro la porta di ingresso contro la possibile invidia del vicinato, ed anche ” a ccape litte” (sul letto) vicino alle immagini dei santi, contro le Jatture.

Le Palme si offrivano soprattutto a chi “era in collera – arraggìate” e il gesto non poteva essere rifiutato, quindi un abbraccio suggellava la pace tra i due Molto carino era vedere per strada i ragazzini scambiarsi un pezzetto di ramo d’olivo o delle crocette di palma, abbracciarsi e ripetere ” Pace pace di Gesù non lo faccio più più più”, la pace e l’amicizia, tra loro, era sancita.

Scambiarsi la Palma e regali tra fidanzati sanciva il loro “Amore eterno” e man mano che si avvicinava il matrimonio i regali assumevano maggiore rilevanza così come la bellezza e grandezza della Palma, spesso prodotta in pasticceria con confetti, pasta reale, fiocchetti ecc e con una armatura in fil di ferro per reggere il ramo. Più bella era la Palma, più grande il suo amore accompagnata progressivamente da “nu’ braccial”, “nu’ par de recchine” (orecchini) “nu’ brelloque” (un ciondolo importante, che generalmente conteneva alcuni capelli dell’amato), sino a “u’anidde d’ore”. Ovviamente anche per la futura suocera era prevista una palma adeguata. La Zita (la sposa) ricambiava con un dono accompagnato da “u’ pegheridde” (l’agnellino) di pasta di mandorle o “na scarcèdde” tipico dolce pasquale. Il dono poteva essere o “u’ arlogge” (orologio) o “nu pare de gemèlle pe le pulze de la cammisa” gemelli per i polsini,da indossare con l’abito nuziale.

Sulla palma e lo scambio tra fidanzati ci sono tante novelle popolari.

La famiglia realmente barese rispetta ancora queste tradizioni, e se proprio ci sono restrizioni, niente le impedisce di rispettare la regola della “Lagana rezz che le sècce chiène” o “vermicidde con le cozze chiène”.

Molti sono gli studi dal 1600 in poi sulle tradizioni popolari baresi, scritti da insigni studiosi e conservati e diffusi sia da Gigi De Santis con la sua rubbrica “Don Dialetto”, sia da Felice Giovine successore di suo padre Alfredo nella Direzione dell’Accademia della Lingua Barese.

A tutti i nostri lettori a nome da Lavocenews.it “buone Palme”.

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