Le armi silenziose nelle mani del Cremlino
Terrore e fame: I 100 giorni di Putin e della sua guerra senza regole.
Giovanna Sellaroli
Cento giorni di guerra e l’Ucraina “ha perso il 20% del suo territorio”. Lo ammette Volodymyr Zelensky, nel suo intervento al parlamento del Lussemburgo, precisando che le linee del fronte di battaglia si estendono per oltre 1.000 chilometri. Eppure, in un video appena girato e in cui torna nelle strade di Kiev, dà forza e dice “vinceremo”.
100 giorni tra bombe e distruzione, oltre 4 mila civili uccisi, di cui 260 bambini, 5 milioni di persone rifugiate in Paesi stranieri, un quinto del territorio occupato dall’esercito di Mosca, 300mila chilometri quadrati contaminati da mine, grandi e piccole città ridotte in macerie, economia in ginocchio, questi i 100 giorni di Putin e della sua guerra senza regole.
100 giorni di invasione, sui quali pesano come un macigno le ultime previsioni della Nato, che avverte: “bisogna prepararsi a un conflitto lungo”. Con il rischio che a lungo andare, cali l’attenzione e si cominci ad abituarsi a questa guerra. Alle altre, ormai siamo assuefatti.
E mentre il Donbass è tristemente “devastato”, nell’ultimo messaggio della sera di ieri, il Presidente ucraino ha ringraziato gli alleati, Usa in testa, per le nuove armi fornite e ha reso noto che a Severodonetsk le forze ucraine stanno resistendo. E non ha nascosto la sua soddisfazione per le sanzioni sul petrolio approvate dalla UE.
Dopo un mese di discussioni e rinvii, ieri l’Unione Europea, ostaggio di Viktor Orban, il sovranista premier ungherese, ha faticosamente varato il sesto pacchetto delle sanzioni anti-russe, escludendo dalla lista nera il ricchissimo patriarca di Mosca Kirill. Non era bastato aver ottenuto l’esenzione dell’Ungheria dall’embargo al petrolio russo, ma con il nuovo veto su Kirill, Orban ha rilanciato, utilizzando l’arma del ricatto.
Dopo l’embargo sul petrolio, l’OPEC, l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio, come riporta Bloomberg, ha raggiunto un accordo per un aumento della produzione di greggio di 648 mila barili al giorno per i mesi di luglio e agosto. Un incremento vicino al 50%, un aumento dell’offerta che dovrebbe portare a un calo dei prezzi. Proprio ieri, l’Arabia Saudita, uno dei Paesi membri dell’organizzazione, ha fatto sapere di essere pronta a incrementare la produzione nel caso in cui quella della Russia calasse per via all’embargo.
Una decisione questa dell’Arabia Saudita che segna un cambio di passo rispetto alla posizione precedente del Paese, che finora si era opposto a possibili aumenti della produzione. E arriva guarda caso, in concomitanza con l’imminente viaggio di Biden, che andà anche in Arabia Saudita.
Joe Biden infatti, volerà nel Paese del Golfo nelle prossime settimane e incontrerà il principe alla corona Mohammed bin Salman.
Lo riporta il New York Times citando alcune fonti, secondo le quali il presidente americano allungherà il suo previsto viaggio in Europa e Israele, aggiungendovi Riad.
Con la visita, riporta il New York Times, Biden punta a ricostruire rapporti tesi in seguito alla morte di Jamal Kashoggi, con l’obiettivo anche di ridurre i prezzi dell’energia e isolare la Russia. (ANSA)
100 giorni di conflitto e di fame. La crisi del grano e dei cereali ucraini, in ostaggio nelle navi ferme nel porto di Odessa, è l’altra arma silenziosa nella mani del Cremlino.
La “guerra del grano” rischia pesantemente di aggravare la crisi alimentare globale con effetti spaventosi; il blocco dell’export dei cereali ha conseguenze gravissime soprattutto in Africa e in Medio Oriente, aree del mondo dove è già scattato l’allarme carestia. Solo l’Ucraina, definita il granaio d’Europa, esporta un quinto della produzione di grano e mais, e insieme, Russia e Ucraina, coprono un terzo dell’export mondiale. Insomma, la questione legata ai cereali è cruciale.
L’impatto geopolitico ed economico sul piano internazionale ha conseguenze pesanti al pari di quelle connesse al gas e al petrolio, se non addirittura maggiori.
In Paesi come il Libano, che importava il 90% del grano da Russia e Ucraina, già in ginocchio per la crisi economica e sociale, seguita in particolare dopo l’esplosione del porto, la crisi morde e le code per riuscire a procurarsi beni di prima necessità si allungano sempre di più. A Beirut, la farina sta diventando un bene di lusso e inizia a scarseggiare anche sul mercato.
In Africa sono scattate le prime rivolte di fronte alla carenza di grano e al forte aumento dei prezzi del pane. Il presidente del Senegal e dell’Unione Africana, Macky Sall, nell’intervento al Consiglio Europeo sul tema della sicurezza alimentare, ha riferito del “rischio di una carestia storica in Africa, legata alla guerra in Ucraina e al blocco delle esportazioni di grano dal Paese”, denunciando anche la carenza di fertilizzanti per l’agricoltura.
Circa 22 milioni di tonnellate di cereali ferme nel porto di Odessa rappresentano l’arma, silenziosa, del ricatto di Putin all’occidente che, oltre ad affamare i Paesi più fragili, rischia di provocare un’ondata migratoria di proporzioni enormi, in grado di destabilizzare il quadro politico europeo, peraltro non sempre forte e compatto.
Al Consiglio europeo, dopo il petrolio, urge la questione grano. Il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, sarà presto a New York per discutere con il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, la mediazione in corso con la Russia per aprire dei “corridoi” che consentano l’export dei cereali dall’Ucraina. Ma bisogna negoziare perché Mosca non approfitti della situazione per attaccare Odessa.
“Dei russi non ci possiamo fidare quindi serve l’aiuto di Paesi amici per assicurare il passaggio sul Mar Nero“, precisa il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba. Secondo lui si rende assolutamente necessario scortare il passaggio del cargo con a bordo il grano ucraino. “Per evitare conseguenze disastrose, lo sblocco dei porti deve avvenire entro due settimane al massimo. Naturalmente, la migliore opzione sarebbe la fine della guerra, ma Putin non vuole”, spiega Kuleba in una intervista a Repubblica.
E se la pace è ancora lontana, si spera almeno in un accordo sul grano in tempi vicini.
Nel giorno 100, la guerra in Ucraina “non avrà vincitori” afferma l’Onu. “Questa guerra non ha e non avrà vincitori. Piuttosto, abbiamo assistito per 100 giorni a ciò che è stato perso: vite, case, lavoro e prospettive“, ha detto in un comunicato Amin Awad, Segretario generale aggiunto e coordinatore Onu delle crisi per l’Ucraina.
Nel giorno 100 della guerra, allo stato dell’arte, come non sottolineare la forza insita nel messaggio politico emerso nelle parole di Presidente Sergio Mattarella, nel suo discorso d’apertura in occasione delle celebrazioni per la Festa della Repubblica al Quirinale davanti al corpo diplomatico accreditato in Italia (quest’anno non erano presenti gli ambasciatori della Russia e della Bielorussia, che non sono stati invitati, in linea con la decisione presa a livello d’Unione Europea ):
“Oggi, l’amara lezione dei conflitti del XX secolo sembra dimenticata: l’aggressione all’Ucraina da parte della Russia, pone in discussione i fondamenti stessi della nostra società internazionale, a partire dalla coesistenza pacifica: trovarsi nuovamente immersi in una guerra di stampo ottocentesco, che sta generando morte e distruzioni, richiama immediatamente alla responsabilità, e l’Italia è convintamente impegnata nella ricerca di vie di uscita dal conflitto che portino al ritiro delle truppe occupanti e alla ricostruzione dell’Ucraina”.
Sì, proprio così, ritiro delle truppe occupanti. E non il ritiro di chi è stato aggredito. Con buona pace di tutti i numerosi filoputiniani italiani, in particolare di Matteo Salvini e di Giuseppe Conte.
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