Mattarella a Bari per celebrare il Giorno dell’Unità Nazionale e la Giornata delle Forze Armate
Il Capo dello Stato a Bari per rendere omaggio ai Caduti d’oltremare ed assistere alla sfilata.
La redazione
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione del Giorno dell’Unità Nazionale e della Giornata delle Forze Armate, ha deposto una corona d’alloro presso il Sacrario Militare dei Caduti d’Oltremare di Bari, accompagnato dal Ministro della Difesa, Guido Crosetto.
La cerimonia celebrativa del 4 novembre è proseguita sul lungomare Nazario Sauro con gli interventi del Capo di Stato Maggiore della difesa, Amm. Sq. Giuseppe Cavo Dragone e del Ministro Crosetto.
La celebrazione della Festa delle Forze Armate si è conclusa con il discorso del Presidente Mattarella.
Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella
Bari, 04/11/2022 (II mandato)
Rivolgo il mio saluto al Ministro della Difesa, ai Parlamentari presenti, ai vertici della Regione e della Città di Bari, al Capo di Stato Maggiore della Difesa, ai vertici dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di finanza, a tutti i presenti.
La ricorrenza del 4 novembre, che oggi celebriamo, scandisce un momento importante e imprescindibile della nostra storia. La vittoria insieme agli Alleati contro gli Imperi Centrali, che poneva fine alla tragedia della Grande Guerra, segnava anche l’approdo della nostra lotta risorgimentale iniziata decenni prima.
Un percorso lungo, sofferto, costato sacrifici, dolore, lutti. Costellato di eroismo, di speranze, di impegno per la libertà, di amore per la nostra Patria.
È con questo spirito e con questa consapevolezza che oggi celebriamo la giornata dedicata all’Unità nazionale e alle nostre Forze Armate.
Ogni nome di soldato caduto che leggiamo nelle lapidi dei nostri sacrari, accanto alle migliaia di sconosciuti, tutti rappresentati dalle spoglie del Milite ignoto all’Altare della Patria, racconta un frammento della nostra storia collettiva.
Vite spezzate, sacrificate.
Giovani che non hanno avuto il dono di vivere il futuro che avevano sognato.
Genitori che li hanno pianti, mogli e figli che hanno atteso invano sposi e padri che non sarebbero mai tornati alle loro case.
La nostra storia, anche quella di oggi, è frutto anche di quel dolore. E ha valore proprio perché ne ha saputo fare memoria.
Quei sacrifici non sono stati vani. Perché nella consapevolezza di quanto sia terribile la guerra si è radicato nel cuore della nostra Europa il dovere ineludibile della pace.
Non è un caso se a sognare e a costruire i pilastri dell’unità europea sia stata la generazione che avvertiva le cicatrici dei due conflitti mondiali. E l’unità europea, che ha visto collaborare in spirito di amicizia Paesi e popoli che si erano contrapposti e combattuti, è stata il presidio più forte per garantire pace, sicurezza, prosperità e sviluppo al nostro Continente.
L’Italia ha fornito uno straordinario contributo affinché ciò fosse possibile.
Ci siamo abituati alla pace.
L’Europa unita è stata per settant’anni l’antidoto più forte a egoismi e nazionalismi.
Diverse generazioni sono nate e cresciute in un Continente che sembrava aver cancellato non soltanto la parola guerra ma anche persino la sua memoria.
Poi improvvisamente la guerra – la tragedia della guerra – è riapparsa nel nostro Continente.
È accaduto a causa della sciagurata e inaccettabile aggressione che la Federazione russa ha portato contro l’Ucraina e il suo popolo.
Dalla fine di febbraio si combatte, si muore nel cuore d’ Europa.
I media di tutto il mondo rilanciano le immagini terribili di un conflitto che non risparmia le popolazioni civili. Anziani, bambini in fuga dalle bombe.
L’incubo di scenari ulteriori che sembravano inimmaginabili fino a poche settimane fa.
Sono passati molti mesi senza che si intraveda uno spiraglio. Eppure la pace continua a gridare la sua urgenza.
Una pace giusta, fondata sul rispetto del diritto internazionale e sulla libertà e la libera determinazione del popolo ucraino. Perché non vogliamo e non possiamo abituarci alla guerra.
Assume allora un significato speciale questa celebrazione del 4 novembre, giornata nella quale l’Italia si stringe, con riconoscenza, attorno alle sue Forze Armate.
Perché nessuno più degli uomini e delle donne in divisa conosce il valore della pace e cosa significhi metterla a rischio.
I nostri militari sono impegnati per garantire pace e sicurezza in tante aree del mondo. Lo fanno con straordinaria professionalità e competenza, con uno spirito di umanità che li fa apprezzare come un vero e proprio modello.
Voglio ricordare quanti in questi anni hanno sacrificato la loro vita o sono rimasti feriti compiendo il loro dovere in missione.
A loro la Repubblica è grata.
Ai loro cari il pensiero e l’abbraccio di tutti gli italiani.
Le famiglie dei nostri militari rappresentano il forte sostegno di chi sceglie di servire il Paese indossando una divisa. Anche a loro va oggi la nostra riconoscenza.
Desidero esprimere vicinanza e apprezzamento ai nostri militari che sono lontani da casa, impegnati nel quadro delle missioni internazionali.
L’Italia è attore di primo piano, presente in tutti i principali contesti multilaterali: Nazioni Unite, Unione europea, Alleanza Atlantica, coalizioni internazionali.
I punti fermi della nostra bussola restano la vocazione europeista e il solido legame transatlantico.
Quanto sta accadendo nella nostra Europa parla alla responsabilità degli uomini delle istituzioni.
Ci dice che la pace si costruisce ogni giorno.
Prima di tutto nella coscienza delle nuove generazioni, nel cuore di quel popolo che si sente europeo, accomunato dalla medesima concezione di libertà, di diritti, di fraternità che ripudia l’idea stessa di guerra.
Ripudia la guerra.
Come dice la nostra Costituzione, che indica anche la via e gli strumenti che rendano concretamente possibile questa scelta. L’adesione alle sedi multilaterali impegnate ad assicurare pace e giustizia fra le Nazioni.
E ci dice anche che la sicurezza e la pace sono beni comuni.
Beni che vanno difesi anche quando può apparire impegnativo o difficile.
Non è un caso se tra i primi obiettivi cui si dedicarono i padri fondatori dell’Europa vi fosse la Difesa comune.
Alcuni passi sono stati compiuti, ma troppo poco e troppo lentamente.
Questo resta un grande obiettivo per il quale l’Italia può dare un importante contributo, sia in sede politica, sia attraverso il patrimonio tecnologico e industriale di cui dispone. Nella convinzione che investire nella Difesa europea significa anche rafforzare l’Alleanza Atlantica nel suo pilastro continentale.
Reagire alle crisi con prontezza e flessibilità significa anche, sul piano interno, adeguare il nostro strumento militare per conseguire o consolidare le capacità necessarie ad affrontare i nuovi scenari.
Scenari e terreni di impegno nei quali spesso è difficile operare una distinzione o una separazione netta tra ciò che è militare e ciò che è civile.
Penso ai nuovi domini: lo spazio, la dimensione cibernetica, e anche lo spazio subacqueo.
Su queste frontiere, alcune delle quali ancora poco esplorate, si sta giocando una competizione internazionale che è molto serrata, la cui posta in gioco ha molto a che fare con la nostra sicurezza.
I nostri militari e il mondo della difesa hanno competenze e professionalità per svolgere un ruolo primario in queste sfide.
Così come un ruolo di grande portata e di valore i nostri militari hanno avuto e hanno nel contribuire alla sicurezza dell’ordinato svolgersi della vita della nostra società.
Penso al prezioso contributo dato alla comunità nazionale in occasione delle emergenze che abbiamo dovuto attraversare: dalla pandemia, alle conseguenze delle calamità naturali che hanno colpito il nostro Paese.
Anche per questo oggi la Repubblica vi dice grazie.
Altruismo, coraggio, spirito di sacrificio, amore per la nostra Patria e per la nostra gente: questi valori sono quel che caratterizza le nostre donne e i nostri uomini che indossano la divisa e che, con il loro impegno e con le loro storie, hanno contribuito alla costruzione della nostra unità, a quella che oggi è la Repubblica.
I ragazzi delle trincee della Grande Guerra. E poi le pagine drammatiche del secondo conflitto, la Resistenza dei militari che dissero no al nazifascismo, i martiri di Cefalonia. L’esempio di un ragazzo buono e generoso che divenne eroe per salvare la vita di altri italiani: Salvo D’Acquisto, medaglia d’oro al valor militare, di cui l’anno venturo ricorderemo gli ottanta anni dal suo sacrificio.
Sono soltanto alcune tessere del mosaico che in questa giornata vogliamo ricordare.
Vorrei, infine, formulare un auspicio. Come è noto il 4 novembre è definito dalla legge 260 del 1949 giorno dell’Unità Nazionale. Il fatto di ricomprendere in questa giornata la Festa delle Forze Armate appartiene alla tradizione e a quel sentimento di omaggio alla memoria che trova grande riscontro nella coscienza delle nostre comunità.
Credo che sia necessario, come ho ricordato alcuni mesi addietro al Governo, di assumere in legge la definizione completa e ufficiale del 4 novembre come Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate.
Lo dobbiamo alla nostra storia, lo dobbiamo a un patrimonio prezioso fatto di donne e di uomini del nostro Paese.
Lo dobbiamo a noi stessi.
Viva le Forze Armate!
Viva l’Italia!
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