Stretta legale sui collari antiabbaio: la Corte di Cassazione vieta l’uso e conferma le multe

La sentenza della terza sezione penale del Palazzaccio, ha stabilito che l’uso dei collari antiabbaio è in contrasto con le caratteristiche etologiche dei cani.

Rocco Michele Renna

La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 35843/2023 pubblicata il 28 agosto 2023, ha emanato un significativo giudizio in difesa degli animali, vietando in maniera categorica l’utilizzo dei cosiddetti collari “no bar”. Questa decisione segna un importante passo in avanti per il benessere degli amici a quattro zampe e pone fine a un dibattito che ha coinvolto sia gli animalisti che le case produttrici di tali dispositivi.

La sentenza della terza sezione penale del Palazzaccio, emanata dai giudici degli Ermellini, ha stabilito che l’uso dei collari antiabbaio è in contrasto con le caratteristiche etologiche dei cani. In particolare, il caso sottoposto a giudizio riguardava un animale che indossava un collare antiabbaio dotato di pioli metallici che provocavano scosse elettriche ogni volta che il cane abbaiano. Questo causava dolore all’animale e impediva il suo naturale comportamento di comunicare attraverso l’abbaiare.

La Corte di Cassazione ha respinto l’argomento della difesa secondo cui il collare si attivava a distanza tramite un telecomando. Gli Ermellini hanno sostenuto che il collare in questione non era controllabile a distanza, ma agiva in modo automatico, emettendo scosse elettriche in risposta all’abbaiare del cane.

La sentenza ha inoltre analizzato il caso specifico dell’animale coinvolto nel processo, il quale si era allontanato dal suo proprietario per diversi chilometri, ostacolando il traffico stradale. La Corte ha sottolineato che il cane aveva abbaiato durante il periodo in cui era allontanato, attivando così le scosse elettriche che causavano sofferenze all’animale. Questo comportamento è stato ritenuto incompatibile con la natura dell’animale e ha portato alla condanna del proprietario.

La sentenza ha stabilito che il proprietario del cane dovrà pagare una multa di tremila euro come conseguenza del reato commesso. La decisione è la conferma di quanto stabilito dal Tribunale di Treviso e dalla Corte d’Appello, rendendo la decisione definitiva e incontestabile.

L’esito di questa vicenda ha suscitato un consenso all’interno degli ambienti giuridici, sottolineando la responsabilità dei proprietari nell’assicurare il benessere e il rispetto degli animali domestici. La sentenza della Corte di Cassazione ha gettato una luce sulla necessità di considerare attentamente il benessere animale nelle decisioni che riguardano i nostri compagni a quattro zampe, promuovendo una maggiore consapevolezza e sensibilità verso il loro trattamento.

Permettetemi, anche a nome della redazione e del direttore di questo quotidiano di esprimere ai giudici della Suprema Corte di Cassazione plauso e piena condivisione.

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