Un mese fa l’inizio del “lockdown” italiano
Era la sera del 9 Marzo quando il premier Giuseppe Conte annunciava l’estensione della “zona protetta” a tutta Italia
Vito Longo
Come tutte le date storiche, molti di noi ricorderanno dove si trovavano e cosa facevano la sera del 9 Marzo 2020, data spartiacque per la storia moderna e per quella che verrà.
Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, con il primo D.P.C.M (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri), annunciava che, data la grave situazione che andava verificandosi, tutta l’Italia sarebbe diventata come Codogno, paesino nel lodigiano dove si era verificato il primo caso accertato di Coronavirus. Sebbene fosse stato imposto lo stop agli spostamenti non strettamente necessari, abbiamo assistito ad ondate massicce di donne e uomini che si affannavano a rientrare nelle loro case, presso le loro famiglie nel meridione: treni, voli e pullman presi d’assalto e governatori del sud furibondi.
Ora, un mese dopo, il picco della pandemia da Covid-19 sembra finalmente avviato alla sua parabola discendente dopo giorni e settimane di crescita, a tratti inarrestabile. L’Italia, purtroppo, nonostante le contromisure, probabilmente tardive, ha pagato e sta pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane portate via dalla violenza di questo virus. Abbassare oggi la guardia, dopo qualche giorno consecutivo di “buone notizie”, rischia di diventare un errore tragico. A tutt’oggi, nonostante cautele e richiami a responsabilità e senso civico, la situazione al sud è ancora sotto osservazione. Va evitata a tutti i costi una situazione anche solo simile a quella verificatasi in Lombardia. Le nostre strutture sanitarie e territoriali verrebbero travolte se l’impatto del virus si abbattesse in una qualsiasi delle regioni meridionali con violenza pari o anche solo simile a quella abbattutasi sulla Lombardia. È cruciale mantenere alta la tensione per impedire che il contagio possa estendersi ancora e fare molte altre vittime.
Ebbene, trentuno giorni dopo, ci troviamo a fare i conti con quello che eravamo e che, probabilmente per ancora del tempo, non torneremo ad essere, almeno per ora. A chi non manca una pizza con gli amici? Un caffè al bar appena sotto casa? La visione di un bel film al cinema o di qualche pièce teatrale?
La vera crudeltà di questo virus è l’averci rubato la nostra normalità. Aziende chiuse, salvo quelle ritenute essenziali, trasporti vuoti, città deserte, ragazzi e professori connessi in rete, a causa della chiusura di tutte le scuole di ogni ordine e grado, chiese chiuse al pubblico. Abbiamo dovuto reinventarci una quotidianità alla quale non eravamo mai stati abituati.
Ma cos’è rimasto di questo mese passato chiusi dentro le nostre case?
Si può partire dai moduli di autocertificazione. Quattro diversi in circa un mese, ossia quasi una modifica a settimana, per giungere, il 26 Marzo, a quello definitivo, orchestrato di concerto con il capo della polizia Franco Gabrielli.
Stop a molte attività costrette a “chiudere per virus”. Non solo ristoranti e pizzerie, ma anche palestre, estetisti, librerie (poi autorizzate a riaprire, purché solo nella modalità a domicilio), parrucchieri – virale, per esempio, il video del presidente Mattarella che ricorda scherzosamente al suo collaboratore Giovanni Grasso che “neanche io vado dal barbiere”. A resistere solo le attività essenziali: farmacie, tabacchini, banche, poste e assicurazioni, stazioni di servizio e, chiaramente, supermercati ed esercizi alimentari.
A reggere in questo momento di difficoltà generale è stata la capacità di spesa degli italiani. Farina, lievito, burro, uova: sono solo alcuni dei prodotti per i quali si è registrata un’impennata verticale nei consumi. Ai supermercati, nei discount, nelle botteghe, abbiamo imparato a stare fuori in fila e mai vicini. Dentro, invece, distanza d’obbligo, ingressi contingentati e spesso utilizzo di guanti e mascherine. Sono cambiati anche gli orari: dopo il Dpcm del 22 Marzo, le porte si chiudono alle 19.00 in settimana e alle 15.00 la domenica, tranne alcune eccezioni regionali.
Dal 22 Marzo il motore produttivo del Paese è in letargo. “Ma non lo fermiamo”, ha rassicurato Conte in un’altra videoconferenza.
E proprio le videoconferenze del premier Conte, divenuto “uomo dell’emergenza”, sono diventate un altro appuntamento quasi fisso di questo periodo.
Appuntamento, questo sì fisso per davvero, è quello che ogni giorno ci tiene compagnia alle ore 18.00: la conferenza stampa di Angelo Borrelli, Responsabile della Protezione Civile, che fa il punto sulla situazione delle ultime ore in Italia e di cui diamo quotidianamente i dati.
Ho scelto di omettere diverse delle situazioni che ci hanno accompagnato in questo mese. In alcuni casi perché ne abbiamo già trattato, come quando abbiamo analizzato la situazione infuocata della Lombardia, in altri perché abbiamo optato per raccontare solo le più significative.
È indubbio che, quando infine potremo lentamente riappropriarci della nostra normalità, potrà sembrarci strano vederci ancora per un po’ con le mascherine; dover entrare pochi per volta nei supermercati o nei negozi, ma andrà fatto. Ne va del pieno recupero delle nostre vite il più in fretta e con meno danni possibile e nel frattempo auguriamoci che il governo sia seriamente al lavoro sull’avvio della cd. “fase 2”, quella della convivenza forzata col virus.
Il peggio sembra ormai essere alle spalle, ma guai ad abbassare la guardia. Non possiamo permettercelo. Non ora che siamo vicini al primo traguardo.