14 novembre 1951: Il Polesine
70 anni fa un territorio enorme viene invaso dal fiume Po, un centinaio di vittime, 180.000 sfollati, un dramma umano che spinge all’emigrazione.
Maria Catalano Fiore
Una tragedia annunciata, ma mai arginata. Nei secoli è sempre capitato che il fiume Po esondasse, o rompesse gli argini a volte, ma non come quella notte del 14 novembre del 1951.
Avvenne tutto rapidamente, non più di 25-30 minuti, era quasi attesa, da giorni la gente constatava l’alzarsi del livello del Po e il superare il livello di guardia. La sera del 14 novembre, era già buio quando nella bassa padana, quasi contemporaneamente il grande fiume ruppe i terrapieni che contenevano l’acqua nel suo alveo.
In meno di 4 ore tutta l’area del Polesine di ritrovò sott’acqua. Continuava a diluviare, è stato calcolato che il Po veniva caricato d’acqua di circa oltre 12 mila metri cubi al secondo. Una montagna liquida impossibile da frenare. onde violente, altre anche tre metri travolsero tutto ciò che incontrarono sino a sommergere 150.000 ettari di terra arrivando sino alle città di Adria e di Rovigo.
Le precipitazioni eccezionali, ma anche, come sempre i rallentamenti burocratici e la mancata manutenzione degli argini, esposero al pericolo questa vasta area. Nulla cambia, allora, come oggi, sussiste il problema della manutenzione del territorio e del dissesto idrogeologico.
La gente del posto si rese immediatamente conto della situazione, conoscevano il “Grande fiume” quell’acqua era la loro industria naturale che dava da mangiare e da lavorare: i pescatori, i mulini prendevano energia e l’irrigazione dei campi era garantita da un bacino praticamente inesauribile, ma sapevano anche che quella forza della natura non andava mai sottovalutata.
In quel momento fu chiara l’inadeguatezza delle strutture la cui carenza si trascinava da decenni. L’Italia usciva dalla guerra, ma il “miracolo economico” poggiava sulla spontaneità dei singoli e non di rado sulla loro improvvisazione. Non ci si poteva difendere dal Po con badili e secchiate.
In quel novembre 1951 la gente del posto lavorò sotto l’acqua sferzante per riempire sacchi di argilla, tentare di tamponare, un tentativo faticoso ed impossibile. I Volontari ad un certo punto pensarono di essere sommersi, le sponde collassarono definitivamente. Ancora oggi quell’alluvione è classificata come la più grande ed estesa del tempo contemporaneo.
40 passeggeri che stavano viaggiando in pullman furono sorpresi dalla prima ondata, L’acqua li trascinò per qualche chilometro senza lasciare loro scampo. E’ chiaro che senza gli allarmi popolari, il bilancio delle vittime sarebbe stato assai più tragico del centinaio di vittime che si dovettero contare alla fine.
La rottura degli argini di fatto deviò il corso del fiume. Bisognava aprire un varco per il deflusso delle acque che avevano trascinato una montagna di tronchi, ramaglie, resti di case, animali ed altro. Ma ovviamente …..la burocrazia incompetente……. e gli oppositori non mancavano.
Le polemiche locali, trovarono un riscontro nazionale. A Roma il secondo Presidente della Repubblica era il liberale moderato Luigi Einaudi (1874-1961) e Alcide De Gasperi, (1881-1954) fondatore del Partito della Democrazia Cristiana, guidava il governo come Presidente del Consiglio. Il partito comunista era all’opposizione guidato da Palmiro Togliatti.(1893-1964).
L’alluvione del Polesine fece da detonatore ad uno scontro fra maggioranza e l’opposizione. questo scontro fece si che la decisione di far saltare le barriere che impedivano all’acqua di defluire verso il mare si fece attendere ben 10 giorni, sino al 24 novembre. Furono utilizzati 5 mila kg. di tritolo che polverizzando gli ostacoli liberando l’acqua.
Il clima che si venne a creare è stato mirabilmente descritto di Giovannino Guareschi in un episodio di “Peppone e Don Camillo” che si riferisce proprio all’inondazione del Po. La Chiesa del paese con mezzo metro d’acqua, in altri borghi emerge solo il campanile della chiesa. Gli spostamenti su zattere da spingere con un paranco per strade dove poco prima si muovevano carri e motociclette. La popolazione aveva perso tutto, cercava un riparo, di andar via, con poche cose avvolte in un fagotto, in cerca di altre sistemazioni.
Cosa poteva fare quella povera gente già stremata dalla guerra, in quelle terre, le più povere in assoluto, con campi destinati a rimanere infruttuosi per anni? Con i pochi animali persi o abbandonati o peggio?
Il governo promette aiuti ai danneggiati che hanno perso anche mandrie trattori e casa. In un primo momento gli sfollati cercano di arrangiarsi, si cerca di aiutarsi, di utilizzare chiatte per muoversi……promette…….
Emigrarono in 80.000 soprattutto nelle regioni del Nord e si fecero onore. Perchè era gente che conosceva la fatica e non aveva paura di lavorare.
Oggi anche se tanto è cambiato nella società, ma non si è ancora applicata, sul Po, come in tanti altri luoghi, la buona norma che è meglio prevenire che tamponare i disastri.
Per commenti, precisazioni ed interventi potete utilizzare il “Lascia un commento” a piè dell’articolo, o scrivere alle e-mail info@lavocenews.it della redazione o direttore@lavocenews.it, per seguirci su Facebook potete mettere cortesemente il “mi piace” sulla pagina La Voce News o iscrivervi al gruppo lavocenews.it grazie.