25 anni fa moriva Mia Martini
La cantante calabrese, sempre amata dal pubblico, protagonista di una vita costellata di successi e di cadute, di tormenti e di trionfi, moriva venticinque anni fa
Vito Longo
Venticinque anni fa, ad appena 47 anni, moriva Mia Martini, una delle migliori interpreti che la canzone italiana ricordi.
La sua è stata una vita travagliata, vissuta intensamente e segnata dalla bellezza della sua voce e delle sue canzoni, ma anche da tanta ingiusta cattiveria che le è stata riversata contro. Inseguiva disperatamente la normalità e non amava la vita delle celebrità.
L’inizio è in salita. Le prime esibizioni come Mimì Bertè non ottengono grosso successo e la sua carriera non decolla. Nel 1969, mentre si trova in Sardegna, viene trovata in possesso di marijuana e arrestata. L’esperienza nel carcere di Tempio Pausania (SS), durata 4 mesi, la segnerà profondamente.
La svolta arriva con l’incontro con l’avvocato Alberigo Crocetta, fondatore del Piper, famosa discoteca di Roma, nonché scopritore di Patty Pravo. Nel 1971 Mimì Berté, ora Mia Martini – come l’attrice Mia Farrow, molto amata dalla cantante, e come Martini, marchio di bevande alcoliche e tra le parole italiane più note all’estero – esce con “Padre Davvero”, edito dalla RCA Records. L’anno dopo, il 1972, Alberigo Crocetta approda alla casa discografica Ricordi di Milano e, con lui, anche Mia. L’incontro con Bruno Lauzi, molto importante anche molti anni dopo, e Dario Baldan Bembo, lancia in alto la carriera dell’artista calabrese. I due scrivono e mettono in musica per lei uno dei suoi pezzi storici: “Piccolo Uomo”. La canzone riscuote un successo enorme, regalandole anche la sua prima vittoria al Festivalbar, che bisserà l’anno dopo con “Minuetto”, in assoluto la sua canzone più venduta. Il brano, messo in musica sempre da Dario Baldan Bembo, fu scritto da Franco Califano che racconterà di aver composto il testo in una sola notte basandosi sui racconti di vita della stessa Martini. La seconda vittoria consecutiva al Festivalbar, cosa che in precedenza era riuscita solamente a Lucio Battisti, la proietta ormai nell’Olimpo della musica italiana. Alla fine del 1973, Mia Martini diviene la cantante femminile ad aver venduto più dischi nell’arco dell’intero anno. Anno d’oro anche per Ornella Vanoni e Patty Pravo.
Da quel momento la carriera di Mia Martini si consolida e supera i confini italiani arrivando in Europa. Nel 1977 particolarmente significativo è l’incontro con Charles Aznavour. Il famoso cantante francese la vuole al suo fianco in un tour europeo. Ben presto, però, la Martini abbandona gli iniziali propositi e sceglie di concentrarsi solo sui progetti che davvero le interessano. Sono anche gli anni della relazione turbolenta con il cantautore genovese Ivano Fossati. La collaborazione artistica con Fossati, tuttavia, le regala alcuni dei suoi pezzi più degni di nota. È il caso dell’album “Danza”, per lei interamente scritto e prodotto dal cantautore ligure e considerato uno dei suoi migliori lavori in assoluto. Dalla raccolta sono tratte, specialmente, “Canto alla luna” e “La costruzione di un amore”, poi interpretata anche dallo stesso Fossati, oltre alla stessa title track dell’album, “Danza”.
Siamo alla fine degli anni settanta e per Mia Martini non è un gran bel periodo. I continui contrasti con la casa discografica, il rapporto travagliato con Fossati, complicato ulteriormente dalla sua gelosia, e le dicerie sul suo conto, che iniziano a farsi insistenti e invasive, rendono questo uno dei suoi periodi più duri. In quelli stessi anni subisce anche due delicati interventi alle corde vocali che ne modificano in maniera definitiva la timbrica, lasciandole in eredità una voce più roca.
Dopo diverse esperienze sfumate all’ultimo e vari ripensamenti, riesce, finalmente, a partecipare al Festival di Sanremo. E così, nel 1982, prende parte alla 32° edizione del festival con un brano, ancora una volta, scritto per lei da Ivano Fossati: “E non finisce mica il cielo”. La qualità interpretativa del brano, in quelli anni dominati da canzoni d’amore dal tono più allegro, non era destinata a farle raggiungere il podio. La sua interpretazione, però, lascia il segno. I giornalisti la ritengono meritevole del prestigioso Premio della Critica, istituito apposta per lei. Dalla sua morte, il Premio della Critica, viene intitolato, in suo onore, “Premio Mia Martini”.
Dopo quella esibizione, tuttavia, la vita e la carriera della cantante subiscono, per sua stessa scelta, un brusco stop. Le voci infamanti su di lei sono ormai insostenibili e la costringono ad un lungo periodo lontana dai riflettori.
Il ritorno avviene 6 anni dopo, di nuovo al Festival di Sanremo. Nel 1989 il musicista e discografico Gianni Sanjust riesce a riportarla sulle scene. A convincerla è un vecchio brano, scritto proprio per lei, da Bruno Lauzi, lo stesso di “Piccolo uomo”, e Maurizio Fabrizio, già autore, tra gli altri, di brani per Riccardo Fogli e Ornella Vanoni, nel 1972, in contemporanea a “Piccolo uomo”, e rimasto tuttavia inedito: “Almeno tu nell’universo”. Il brano viene ammesso al 39º Festival di Sanremo. Mia Martini regala un’interpretazione che le vale l’entusiasmo del pubblico e, per la seconda volta, il Premio della Critica, rimanendo ancora oggi un trionfo assoluto che segna anche la fine di uno dei suoi periodi più bui.
Gli anni novanta segnano la rinascita per la sua carriera. Sono gli anni del ritorno ai tour dal vivo dove la Martini sperimenta di nuovo, dopo tanto tempo, l’abbraccio caloroso del suo pubblico.
Nel 1990 torna a Sanremo, dove bissa il successo dell’anno prima, con “La nevicata del ‘56” che le vale, ancora una volta, il Premio della Critica. L’anno dopo, a testimonianza dell’amore per Napoli, incide il brano “Cu’mmé” assieme a Roberto Murolo. L’autore è, ancora una volta, Enzo Gragnaniello, che consolida così la già forte intesa con la cantante calabrese. Il 1992 è l’anno nel quale arriva più vicina alla vittoria al festival di Sanremo, poi vinto da Luca Barbarossa. La sua “Gli uomini non cambiano” commuove il pubblico. Sono anche gli anni nel quale si riappacifica con la sorella Loredana, dopo alcuni anni in cui il loro rapporto si era raffreddato. E infatti, nel 1993, partecipa a Sanremo, proprio con la sorella, col brano “Stiamo come stiamo” che, però, non riscuote grande successo. Nonostante nuove vicissitudini con le case discografiche, nel 1994 incide un nuovo album, l’ultimo della sua vita. Ne “La musica che mi gira intorno”, la cantante ripropone, secondo la sua chiave interpretativa, alcune canzoni dei suoi autori preferiti. Troviamo “Hotel Supramonte” e “Fiume Sand Creek” di Fabrizio De André, “Mimì sarà, di Francesco De Gregori”, “Diamante”, di Zucchero Fornaciari, “Dillo alla luna”, di Vasco Rossi, “Stella di mare”, di Lucio Dalla, “Tutto sbagliato baby”, di Eugenio ed Edoardo Bennato. È presente anche Ivano Fossati con ben tre pezzi: “La canzone popolare”, “I treni a vapore” e “La musica che gira intorno”.
Di lì ad un anno, tuttavia, la cantante perde la vita. A causa di alcuni problemi di salute, inizia ad assumere degli antidolorifici. Impegnata con i primi concerti del nuovo tour, viene ricoverata per due volte, prima ad Acireale e poi a Bari. Pochi giorni dopo, il suo manager, non avendo più sue notizie, fa intervenire le forze dell’ordine. E così, il 14 maggio del 1995, viene trovata senza vita nella casa di Cardano del Campo (VA), dove si era da poco trasferita per stare più vicina al padre col quale, da qualche anno, aveva recuperato un rapporto più stabile. L’autopsia, disposta dalla procura di Busto Arsizio, indica come causa della morte un arresto cardiaco.
Una carriera costellata di successi e di cadute; una vita finita troppo presto. Ancora oggi, Mimì, è tra le artiste più amate in Italia e non solo. Dalla sua morte sono stati tanti gli omaggi e le dediche alla cantante. Numerose anche le testimonianze video che raccontano, molto bene, la misura straordinaria di quel talento così grande e così sfortunato, spezzato anche, probabilmente, da tutte le cattiverie corrosive dette sul suo conto.