25 marzo – Dantedì
Dante inventando la Lingua italiana ha pilotato l’unità della nostra nazione. Questa la sua grandezza.
Maria Catalano Fiore
Da diversi anni è diventata consuetudine rievocare Dante ed i suoi versi in questa giornata. Quest’anno ricorrono anche i 700 anni dalla morte di Dante avvenuta a Ravenna la notte tra il 13 e 14 settembre 1321.
Nella città di Bari, a Teatri chiusi il gruppo del Teatro Abeliano, sotto la direzione del maestro Vito Signorile promuove “Dante sui sagrati” con il patrocinio della Diocesi Bari-Bitonto e della Commissione Cultura del Comune di Bari e la presenza del suo Presidente dott. Giuseppe Cascella. I cantici danteschi movimenteranno la serata del 25 marzo. Le declamazioni dei versi da parte del maestro Vito Signorile ed altri, partiranno dalla Cattedrale, poi la Basilica di San Nicola, poi altre Chiese storiche del borgo antico. In più verrà rievocata un’ opera di Gaetano Savelli (1971) in lingua barese “La Chemmedie de Dante veldat’ a la barese”. Una iniziativa molto coinvolgente adatta a sensibilizzare il pubblico all’Universalità di Dante, in questo anno a lui dedicato, ma nel quale poche saranno le iniziative che potranno decollare. Ne daremo notizia man mano.
E’ opportuno parlare di quello che rappresenta la figura dantesca non solo nel contesto poetico e linguistico, ma anche nel suo tentativo (e siamo nel 1300) di unificare gli Italiani, cosa che a 700 anni dalla sua morte è ancora attuale, poiché ancora poco realizzata.
Ma, ovviamente, non è il solo Dante che tenta di organizzare e promuovere l’uso della lingua italiana, i nobili si esprimevano ancora in latino, il popolo in molteplici idiomi, altri poeti saranno da ricordare, ad esempio il suo amico Guido Cavalcati, o il suo mentore Brunetto Latini.
Come al solito ci sono molte donne-poetesse nell’ombra, questa ricerca sarà anche frutto degli studi della Professoressa Dina Ferorelli. Le Signore della Letteratura.
Marcello Veneziani in “Il più italiano dei Grandi, Il più Grande degli italiani” articolo pubblicato su “Cultura Identità” settimanale fondato da Edoardo Sylos Labini, nel numero di venerdì 8 gennaio 2021, ne fa un’analisi molto dettagliata. Dante è il vero fondatore dell’Italia, Dante ha fondato l’Italia tramite la lingua in una sua lungimirante visione geopolitica data dalla fusione dell’impero romano e l’impronta della civiltà cristiana. L’Italia non è stata fondata da un condottiero o da una dinastia, ma da un poeta. Dante vagheggiava l’Italia come una monarchia universale, con un fulcro in Roma collegandosi a Virgilio con un regno alla pari con il papato. Dante generò quell’aspettativa d’Italia che altri scrittori, e regnanti, coltivano poi per secoli.
Questa affermazione “discoverta” è già negli scritti di Gian Battista Vico, filosofo e storico napoletano (1668- 1744), è lui a ritenere Dante, sulla scia di Omero, lo scopritore del linguaggio poetico un “illustre volgare” capace di unificare le lingue sparse della penisola, così come Omero aveva fatto nella Grecia arcaica. Ma Dante è dotato di una spiccata personalità ed anche un ruolo politico e Vico vi colse una sua “Nazionalità” e l’origine del lungo cammino della nostra lingua da Dante, a Petrarca, a Boccaccio sino alla Scuola Siciliana. E’ un percorso culturale piuttosto contorto, ostacolato dal Papato, già da Bonifacio VIII, in vita, poi proibendo la lettura della Divina Commedia poiché disdicevole, sino al 1791. La Commedia, poi definita Divina, non era benvista neppure dalle sette di Massoneria o Carboneria sino agli scritti di Giacomo Leopardi che lo vede con “intenzione o per effetto” il fondatore della lingua italiana, applicandola alla letteratura e considerandolo “sfortunato anche se di animo forte. Tanto ammirabile, quanto commiserabile”.
Consideriamo, storicamente le evoluzioni dell’opera in epoca dantesca: fu per primo Giovanni Boccaccio a definirla “Divina” come ci raccontano le novelle di Carlo Sacchetti (1399) e che il popolo la citava a memoria quando Dante era ancora in vita.
Riassumiamo brevemente la vita del poeta: Dante Alighieri, battezzato Durante di Alighiero degli Alighieri, poi solo chiamato Dante nasce a Firenze tra il 21maggio ed il 21giugno 1265, muore a Ravenna la notte tra il 13 e 14 settembre 1321. Un poeta, uno scrittore, ma anche un politico. Considerato il padre della lingua italiana, la sua fama è data dalla sua “Commedia”, che diventa poi “Divina” e Universalmente considerata la più grande opera scritta in lingua italiana e uno dei maggiori capolavori della letteratura mondiale.
Espressione della cultura medioevale filtrata attraverso la lirica del dolce stilnovo, la Commedia diventa veicolo allegorico della salvezza umana che si concretizza nel toccare i danni dei dannati, le pene purgatoriali e le gioie celestiali, permettendo di fornire uno spaccato di morale e di etica dei tempi. Importante linguista e filosofo Dante ha segnato tutta la letteratura per secoli e quindi tutta la cultura occidentale, tanto da essere nominato “Il Sommo Poeta”.
Se la sua data di nascita non si conosce con esattezza, comunque nel 1265, lo storico fiorentino Giovanni Villani nella sua “Nuova Cronica” riporta che Dante parte per il suo viaggio nel 1300 e che muore, in esilio, all’età di 56 anni. Certificata è la data del suo battesimo 27 marzo 1266, di sabato santo. Gli Alighieri erano una famiglia di discendenza poco importante tra i nobili dei borghesi agiati. Suo padre Alighiero un cambiavalute (forse anche usuraio) sua madre Bella degli Abati, poco citata, muore giovane quando lui ha 5 o 6 anni. Il padre si risposa. Della sua formazione non si conosce molto con tutta probabilità segue anche lui l’iter dell’epoca con un precettore, ma importanti saranno i contatti con i nobili fiorentini e soprattutto con i viaggiatori sino all’incontro con l’erudito fiorentino ser Brunetto Latini.
Come d’uso, nel 1277, quando lui ha 12 anni, viene concordato il suo matrimonio con Gemma Donati che sposa a circa 20 anni, tra il 1284 e il 1285. Non fu un matrimonio felice, Gemma non è mai citata nei suoi scritti, né è mai con lui durante i viaggi e l’esilio, i figli si. Da questa unione, infatti sono nati ben 4 figli, tre maschi e una femmina: Jacopo, Pietro, Antonia e poi Giovanni. Pietro diventa giudice a Verona, Jacopo e Antonia scelgono la carriera ecclesiastica, di Giovanni si sa poco.
Dell’aspetto vero di Dante abbiamo il ritratto eseguito da Sandro Botticelli, il Boccaccio ne da una descrizione dettagliata: “Fu addunque questo nostro poeta di mediocre statura, il suo volto fu lungo e il naso aquilino e gli occhi anzi grossi che piccoli, le mascelle grandi e il labbro di sotto era di quel di sopra avanzato; il colore era bruno e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso.” Tutt’altro che bello quindi.
Contemporaneamente, o quasi, alla sua promessa con Gemma Donati, a 9 anni, incontra per la prima volta Beatrice. Il 9 è un numero importante nella simbologia, che Dante studia, significa “Miracolo”. Il secondo incontro avviene nel 1287, quando Dante ha 18 anni, la Giovane saluta il poeta che ne rimane ammaliato. Per Dante e gli stilnovisti il saluto di una donna è molto importante. Dopo questo saluto Dante si innamora perdutamente di Beatrice, ma sono entrambi promessi e il loro amore resterà sempre platonico anche se sarà una delle storie d’amore più bella e famosa della letteratura occidentale.
Dante quindi si sposa con Gemma Donati. Nel 1290, giovanissima, Beatrice muore e Dante si dispera, non trova pace, ma un’altra giovane fiorentina gli è vicina, consolandolo e facendo scaturire in lui dei sentimenti. Sino a che una notte Beatrice non gli appare in sogno e lo rimprovera imponendogli di non amare altre donne all’infuori di lei.
Dopo questo sogno Dante scrive la “Vita Nova” nella quale narra la storia dell’amore per Beatrice descrivendola angelicamente.
Beatrice esiste davvero, il suo nome vero era Bice Portinari, figlia di Folco Portinari, un ricco banchiere originario della Romagna, nata come lui nel 1265, sposa a circa 17 anni Simone de Bardi, la cui famiglia è famosa per aver commissionato, a Giotto, gli affreschi della loro cappella in Santa Croce una casata illustre, titolare di una Banca a Firenze e in seguito in contrasto, anche cruento, con la famiglia de’ Medici per ottenere la Signoria della città di Firenze. Con questo matrimonio Bice/Beatrice entra definitivamente a far parte dell’elite aristocratica fiorentina. L’8 giugno 1290 la donna muore, Dante la colloca in Paradiso.
Dante è anche un politico attivo e partecipa anche ad alcune campagne militari; fa parte del “Consiglio dei Cento” ed è presente anche nel “Popolo dei Savi”. Era un “Guelfo Bianco”. Nel 1300 venne eletto anche tra i “Sette Priori”, ma peggiora la sua situazione nei confronti di Papa Bonofacio VIII che lo invita a Roma. Dante è a Roma nei giorni del Sacco di Firenze da parte di Carlo di Valois; viene condannato al rogo ed alla distruzione della sua casa, in contumacia, dal governo fiorentino. Da quel momento Dante e i suoi figli non rivedranno più Firenze.
Si rifugia prima a Forlì, di seguito a Lucca, a Parigi ed in seguito a Verona ospite di Cangrande della Scala, che offre loro sicurezza e protezione. Per motivi ancora sconosciuti Dante si allontana da Verona per approdare, nel 1318 a Ravenna presso la corte di Guido Novello da Polenta. Gli ultimi tre anni a Ravenna, per Dante, furono abbastanza tranquilli crea anche un “Cenacolo Letterario”, frequentato dai figli Pietro e Jacopo e da alcuni giovani letterati.
Dopo una missione di Pace a Venezia, come emissario del Signore di Ravenna, il poeta contrae la malaria, attraversando le malsane valli di Comacchio, cosi nel 1321 la morte arriva improvvisa.
Dante Alighieri fu prima sepolto, in un’urna di marmo, in una Chiesa, poi a seguito della conquista di Ravenna da parte della Serenissima, il podestà ordinò all’arch. Pietro Lombardi, nel 1483, di realizzare un grande monumento che ornasse la Tomba del Poeta. Con il passare del tempo la tomba fu però trascurata e cadde presto in rovina, sino al 1780 anno in cui l’arch. Camillo Morigia, fu incaricato di progettare il tempietto neoclassico tutt’ora visibile.
Ovviamente i resti mortali di Dante furono oggetto di diatriba tra Ravenna e Firenze. L’eredità lasciata da Dante è quello di essere fruibile da parte del pubblico dei lettori, cercando di abbattere il muro tra i ceti colti, abituati ad interagire fra loro in Latino, e quelli più popolari, affinché anche questi ultimi potessero apprendere contenuti filosofici e morali sino allora relegati all’ambiente accademico. Si ha quindi una visione della Letteratura intesa come strumento a servizio della società.
Dell’escursus della fama dantesca parleremo poi.
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