26-27 Ottobre 1991
Un’immagine dei resti di quel rogo che ha suscitato ira, disperazione, pianto, ma che a tutt’oggi non ha i veri colpevoli…
Maria Catalano Fiore
Gianvito Pugliese
Nella notte tra il 26 ed il 27 ottobre 1991, a Bari, bruciava, uno dei suoi simboli culturali e non solo, più importanti: il teatro Petruzzelli. un incendio ancor più doloroso, dopo l’accertamento del dolo. Un incendio a cui sopravvive solo la sua struttura salvata dal collasso della cupola che ne soffoca le altissime fiamme.
Uno spettacolo che ha segnato la vita di tutta la comunità della città metropolitana di Bari, e non solo.
Il Petruzzelli, indicato genericamente così, prende nome dai suoi costruttori Onofrio (1850-1928) e Antonio (1851-1934) Petruzzelli, un commerciante all’ingrosso di tessuti, coperte ed arredi, ed un avvocato.
I due fratelli investitori, sfruttando un bando comunale del 1877, per la costruzione di un Politeama, vincono una gara indetta dal Comune di Bari. Comune che cede loro, nel gennaio 1996, un bellissimo terreno per edificare questa vasta costruzione. Dopo lunghi e dispendiosi lavori, il 14 febbraio 1903, il teatro viene inaugurato. Ma il Petruzzelli, già allora, non era solo un Teatro, ma rappresentava tutto il successo storico dell’attività imprenditoriale ed economica, della città stessa di Bari.
Bari, una città sorta sulla riva del mare Adriatico, intorno ad un ampio scalo commerciale, che offre attività fiorenti sin dalla sua fondazione.
Bari città ambita da regnanti e conquistatori per le grandi risorse che offrivano, sia il suo porto, che i suoi fertili terreni interni, che le comunità limitrofe.
Un teatro fortemente voluto proprio dai due ricchi mercanti. Un teatro, dalla vasta capienza, che doveva contrastare l’esodo forzato di pugliesi e dei lucani verso Napoli per assistere ad un’opera dell’immenso repertorio italiano del melodramma, ed essere fruibile e riferimento per una fiorente classe borghese emergente, una nuova classe media, ma anche del popolo con i suoi loggioni dalla perfetta acustica, il precedente “Regio teatro Nicolò Piccinni“, con una capienza approssimativa di 800 posti, rimaneva appannaggio della piccola nobiltà cittadina e della provincia.
Un teatro dove l’ampia superficie viene affrescata dal noto pittore Raffaele Armenise (852-1925), allievo all’Accademia di Belle Arti di Napoli di Domenico Morelli (1823-1901) e Filippo Palizzi (1818-1899). L’Armenise dipinge, infatti, la sua cupola, il suo sipario, narrando proprio le imprese commerciali dei mercanti baresi.
Un ciclo di opere purtroppo perdute: la grande cupola, in vetro dipinto, è implosa per il calore dell’incendio, Il grande sipario che rappresentava la visita del Doge di Venezia Orseolo II, ridotto completamente in cenere.
Il grande sipario: un manufatto dipinto che testimoniava la grande importanza, e sodalizio commerciale, dei rapporti fra i Dogi veneziani e i commercianti baresi: Orseolo II (961-1009) che, nel 1002, libera la città di Bari dai Saraceni, ripristinando i consolidati scambi di commerciali.
Il magnifico, enorme sipario opera di Raffaele Armenise. Venezia e Bari: due poli economici fondamentali sia per il bacino del mar Adriatico, che per il Mar Mediterraneo.
Un simbolo ridotto in cenere. Una autentica coltellata per tutti i baresi.
Una grande volontà di ricostruzione, una gara di solidarietà per le tante maestranze, di tutto il suo indotto, rimaste senza lavoro.
Una volontà, da controllare, spesso da osteggiare, che diventa un vero e proprio “grande affare” per alcuni.
E la politica scopre il Teatro Petruzzelli riconosciuto negli anni Teatro di tradizione (per intenderci di serie B, essendo la serie A rappresentata all’epoca dagli otto Enti lirici (Torino, Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli e Palermo, nonché due istituzioni concertistiche equiparate: di nuovo Roma -Accademia di Santa Cecilia- e Cagliari -Pierluigi da Palesrtina. Ma tra i teatri di tradizione (tredici all’epoca dell’incendio) il Petruzzelli per finanziamento ministeriale era considerato il secondo in Italia con un bagaglio acquisito di 26 recite all’anno sovvenzionate.
E scopre pure che il Petruzzelli che non era stato un affare per nessuno o quasi (il primo gestore il Comm. Caldarola fallì), i successivi gestori mollarono tutti (da ultimo o quasi il Signor Petrizzelli che lasciò il Teatro per andare a gestire il cinema aziendale di III categoria, dei postelegrafonici, sito in una rientranza di Via Sagarriga Visconti, ultimo isolato prima di corso Italia. Solo il M° Carlo Vitale, sotto la cui gestione il Teatro fu riconosciuto di Tradizione, divenne economicamente produttivo. Ma non in se, in realtà era volano di tutto il circuito della lirica minore, gestita dal Vitale soprattutto tra Lecce (dove Vitale fere riconoscere anche il Politeama Teatro di Tradizione) e tutto il Salento. Per intenderci un circuito di oltre una ventina di Comuni, assegnatari di una cinquantina scarsa di recite di -tecnicamente “lirica minore”. Ma Ferdinando Pinto, che all’epoca distribuiva filmetti tipo “Infermiera di notte” e “Quel gran pezzo dell’Ubalda, tutta …” ad una scadenza contrattuale affascina gli eredi Petruzzelli, i Messeni Nemagna, e con un affascinante stratagemma -meriterebbe un articolo a parte- si fa assegnare il teatro.
Comincia una gestione costosissima e da fuochi pirotecnici. Cultura scarsa, immagine al top. Nel frattempo il Pinto entra nelle grazie del Partito Socialista e del suo leader Bettino Craxi, oltre che di quasi tutti i Colonnelli di Craxi. Si arriva, come accertò la Procura della repubblica di Bari, rappresentata dall’ottimo -in quella circostanza- sostituto Carlo Maria Capristo (poi gli subentrò già dal primo dibattimento l’attuate procuratore aggiunto della Dda, Francesco Giannella). Il Petruzzelli arriva ad accumulare un debito di circa 25miliardi di lire, la banca più esposta la Cassa di Risparmio di Puglia, insieme ad una banca privata di Molfetta (cittadina sul mare sulla costa a nord di Bari distante una ventina di chilometri dal capoluogo regionale). Gli interessi da corrispondere alle banche viaggiavano circa intorno al 20%: ergo almeno 5miliardi. Nel frattempo la Regione Puglia, maggiore finanziatore del Teatro direttamente ed attraverso il Comune di Bari, va in defoult per debiti vari ed arriva dallo Stato l’amministrazione controllata. Cancellati i fondi per la cultura diretti ed agli enti locali. come tutte le spese non necessarie. Al Petruzzelli restano nelle mani i circa centomilioni a recita per ventisei recite ovvero solo duemiliardi e seicentomilioni, annui più l’irrisoria cifra di biglietti ed abbonamenti. Ma con quei soldi deve realizzare 26 recite molto più costose.
In questo clima, di anticamera della bancarotta … nasce l’incendio, che vede il Petruzzelli fare da trait d’union tra politici di alto rango, grossi imprenditori (meglio dire appaltatori) e malavita organizzata locale (i clan Parisi e Capriati). Non è un caso che mentre il Petruzzelli sta bruciando alla nuova sede de La Gazzetta del Mezzogiorno nella stanza del direttore si svolge una riunione con le cinque famiglie dei maggiori appaltatori baresi ed altri aggiunti che offriranno quella notte stessa ventimiliardi ai Messeni per “il rudere”. Loro sanno perfettamente che il Petruzzelli non era assicurato quella notte. Ma non sanno, o non dovrebbero sapere, l’entità dei danni. Solo i pompieri sono lì e lottano con il fuoco, che se avesse raggiunto i serbatoi dei due distributori di carburante siti nella medesima area sul retro, avrebbe causato a Bari una catastrofe di dimensioni apocalittiche.
La procura ed i suoi consulenti scoprono, due giorni dopo, l’evidente dolosità: i punti di fuoco, se ben ricordo, sono ben 13. Mi furono mostrati. Ma la Procura per oltre un mese e mezzo inseguirà la falsa pista dell’assicurazione (quando quella vera era l’affare della ricostruzione). Nessuno dei ben informati partecipanti alla riunione notturna della trattativa con i Messeni informa la Procura. Poi processo penale di primo, e secondo grado, annullamento con rinvio alla Corte d’Appello della Cassazione (i politici coinvolti non sono mai stati neanche sfiorati), anche se assistendo agli spettacolini delle scuole elementari e medie della città (soprattutto quelle dei quartieri del degrado urbano) i colpevoli o presunti tali venivano indicati, senza se e senza ma. Bimbi svegli non ci piove. E la Corte d’appello che riceve l’incarico dalla Cassazione di ricelebrare alcune fasi del giudizio, quelle annullate, manda tutti assolti o prosciolti ed i colpevoli restano solo tali Lepore e Mesto, manovalanza malavitosa, che erano stati gli esecutori materiali dell’incendio. Se ben ricordo sei e quattro anni e mezzo.
Una ferita morale alla Città, alla Regione, alla loro terra che non potrà mai essere davvero rimarginata e sanata. In nessuna parte del mondo un tempio della cultura è stato volutamente dato alle fiamme per gestire i profitti di una ricostruzione. Quanto all’affaire ricostruzione, sono cambiati negli anni i nomi dei protagonisti, ma l’affare si è consumato tutto. Brutta pagina, ma da non dimenticare.
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