Addio a Jean Luis Godard, re della Nouvelle Vague

Oggi la Francia, e non solo, perde un grande regista ed uomo innovatore……..

Maria Catalano Fiore

Abbiamo perso oggi un grande regista, sceneggiatore, montatore e critico cinematografico. Jean Louis Godard, nato a Parigi nel 1930, si è spento oggi in Svizzera ricorrendo al “suicidio assistito”.

Anche se questa notizia lascia sgomenti, Godard, a 91 anni “non era malato, era soltanto esausto” rivela il quotidiano francese “Liberation”. In effetti, questa uscita di scena è perfettamente nel suo stile.

Godard negli ultimi tempi

Ci lascia un patrimonio di 150 pellicole girate, punti di riferimento per qualsiasi giovane cineasta, rappresentando tesi ed antitesi, contraddizioni e non della seconda parte di tutto il secolo scorso.

Un ruolo di ricerca, il suo, di pioniere cinematografico, di “musa”, conquistato con un linguaggio forte e privo di compromessi. Linguaggio sicuramente derivato dai suoi studi. Ragazzo irrequieto, di famiglia agiata, suo padre è un importante medico, proprietario di una clinica, sua madre figlia di banchieri svizzeri. Durante il periodo bellico viene inviato in Svizzera, dove comincia i suoi studi che completa, a fine anni 40 presso la Sorbona, a Parigi, dove si laurea in Etnologia.

Godard e la sua cinepresa

E’ proprio alla Sorbona, oltre che frequentando la cineteca ed i cineclub parigini, che stringe amicizia con Francois Truffaut, Eric Rommer, Jaques Rivette, ecc…nucleo originario della “Nouvelle Vague”. I suoi approcci lavorativi sono da giornalista e critico cinematografico, fonda “La Gazette du Cinema”. La sua scrittura critica è chiara, fervida, attenta ai segnali etnologici del cinema post-bellico.

Godard comincia a lavorare su piccoli corti, interpretati da amici o giovani attori e prosegue sempre meglio, conquistando premi importanti e riconoscimenti, sino all’“Oscar alla Carriera” nel 2011. I suoi svariati successi sono “a basso costo”, e si contrappongono alle grandi e costose produzioni Hollywoodiane.

Godard negli anni 70

Sicuramente la sua preparazione etnologica (Etnologia: studio comparativo delle diverse culture umane) lo porta a programmare riprese rapide, alternanza di scene costruite, con altre completamente casuali, ambientate in contesti urbani ristretti, ma sempre pronto a cogliere ogni più piccola emozione nei suoi personaggi. Personaggi disorientati, confusi nella condizione sociale moderna, tema che diventa sempre esplicito dal 1968 in poi, dopo aver filmato attentamente molte contestazioni studentesche e avviando in parallelo una importante riflessione politica e teorica sul senso del cinema nella società capitalistica.

Tra le 150 pellicole girate, 5 film possono essere considerati “tappe” della sua carriera:

  1. “Fino all’ultimo respiro”, manifesto della Nouvelle Vaugue, con Jean Seberg e Jean Paul Belmondo (1960), Premiato con “Orso d’oro” a Berlino nel 1960. Su questo set cinematografico conosce e sposa la sua prima moglie (1961-1967) l’attrice, sceneggiatrice, regista, compositrice e produttrice danese Anna Karina (1940-2019),con la quale fonda la sua prima casa produttrice.

2. “Questa è la mia vita” (1962), protagonista Anna Karina, in dodici episodi la vita di una prostituta parigina ed il suo conflitto morale. Premiato con “Leone d’argento” a Venezia nel 1962, candidato al “Leone d’oro”.

Michel Piccoli e B.B., astiosi, prendono il sole sul terrazzo della villa caprese.

3. “Il disprezzo”( 1963) con Brigitte Bardot e Michel Piccoli, tratto dall’omonimo romanzo, del 1954, di Alberto Moravia, ambientato nella incredibile villa di Curzio Malaparte a Capri. Un film in cui B.B. da prova di non essere solo un corpo, ma di essere una attrice drammatica e completa.

La splendida e minimalista villa di Curzio Malaparte sulla scogliera di Capri

Una coppia in crisi per dei malintesi, uno scrittore e sua moglie, che esauriscono il loro rapporto in una lunga discussione, si lasciano e la moglie segue il produttore che li ha ingaggiati, ma muore con lui in un incidente. Lo scrittore mestamente lascia la splendida villa teatro della loro disgrazia.

4. “Il Bandito delle 11” (1965), prodotto da Aurelio De Laurentis, con Jean Paul Belmondo ed Anna Karina, tratto dal romanzo “Obsession”, pellicola, fotografia, colori ed interpreti semplicemente memorabili. Candidato al “Leone d’oro” 1965.

5. “Week-End – una donna e un uomo da sabato a domenica” (1967) Una gita tra i due protagonisti parigini, Mirelle Darc e Jean Yanne, si trasforma in una sequenza di avvenimenti incredibili, esempi del collasso della vita borghese in cui la realtà si sfalda gradualmente nel surreale. Il film resta famoso anche perché contiene la ripresa / carrellata più lunga della storia del cinema ed un epilogo a dir poco horror.

Sposa poi dal 1967-1979 l’attrice francese Anne Wiazemsky (1947-2017).

A metà degli anni 70, dopo un doloroso incidente, Godard si trasferisce in Svizzera, in una sua casa laboratorio, con la sua nuova compagna e spesso co-regista Anne-Marie Mielville (n.1945) anche fotografa, sceneggiatrice, e direttrice artistica, ed inizia una seconda fase della sua produttività.

Ancora una riflessione, per il regista, negli anni 90. I tempi mutano ed anche gli uomini e la società.

Parallelamente sviluppa una sua “Storia del Cinema” assemblando citazioni visive e sonore e scrivendo e pubblicando una “Hitorie(s) du Cinema” (1988-1998) una vera sintesi di conoscenza cinematografica e di sensibilità storica e politica, pubblicata in quattro volumi dalle ed. Galimard (1998) divenuta un classico della cultura francese del Novecento.

Jean Louis Godard avrà sempre un importante ruolo come regista e come intellettuale capace di portare il cinema ai suoi massimi livelli, senza mai chiudersi soltanto in se stesso, ma comunicando: “Prima vedevo la realtà attraverso il cinema, e oggi vedo il cinema nella realtà”.

Una descrizione autobiografica che fotografa l’essenza delle sua arte. Oggi il mondo del cinema, ma anche quello delle cultura diventano più poveri. R.I.P., grande Maestro!

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