Addio Pelè
Il mondo del calcio perde la sua stella. “O Rey” se ne va a 82 anni dopo una lunga malattia. Il Brasile in lutto per la scomparsa del mitico numero 10
Giovanna Sellaroli
Il calcio piange il suo Re.
Edson Arantes do Nascimento, il leggendario Pelé, se n’è andato. In gravi condizioni da giorni, uno dei calciatori più forti di sempre, è morto ieri a 82 anni; a darne la notizia la figlia Kely che ha postato su Instagram un commovente addio: “Tutto ciò che siamo è grazie a te, ti amiamo infinitamente Riposa in pace”, accompagnato da una tenera immagine che mostra le mani dei figli intrecciate con quelle del campione.
Sul profilo dell’ex numero 10 brasiliano l’ultimo post recita: “L’ispirazione e l’amore hanno segnato il viaggio del re Pelé, serenamente scomparso oggi. Amore, amore e amore, per sempre”. Secondo quanto riporta il quotidiano brasiliano O Globo, la famiglia del campione chiederà al Santos di ritirare la maglia numero 10 perché “nessuno indossi la maglia che un tempo apparteneva al Re del calcio”.
L’indimenticabile 10 sulla maglia Pelé l’ha preso quasi per caso al Mondiale in Svezia, nel lontano 1958, quando i dirigenti brasiliani inviarono alla Fifa la lista dei convocati senza indicare i numeri di maglia. Un componente della Conmebol, la Federazione sudamericana, li assegnò praticamente a caso; la maglia numero 10, fino a quel giorno un numero come un altro, poi diventò La DIECI. Il numero di Pelé.
Nato il 23 ottobre 1940 nel villaggio di Três Corações, nello stato meridionale del Minas Gerais, a cinque anni si trasferisce con la famiglia a Bauru, un grosso centro urbano nello stato di San Paolo che diviene la sua città e dove inizia anche a giocare a calcio.
Nella nuova città il padre, un discreto attaccante, ottenne un contratto con la squadra locale e soprattutto un posto di lavoro come impiegato del comune. Pelé cresce quindi a Bauru, dove gli viene dato il soprannome con il quale divenne famoso in tutto il mondo. Nella sua autobiografia racconta che quando accompagnava il padre al campo, di solito si metteva a giocare dietro la porta del Bauru, difesa da un certo Bilé, il cui nome, ripetuto come incitamento ma storpiato dall’accento ereditato dagli anni passati a Tres Coracoes, divenne per tutti il suo soprannome (in famiglia, invece, è sempre stato chiamato Dico).
Unico giocatore ad avere vinto tre campionati del mondo per nazioni, Pelè ha giocato in sole due squadre di club, il Santos e il Cosmos New York nella fase finale della sua carriera. Ha conquistato 10 campionati dello stato di San Paolo, quattro Tornei Rio-San Paolo, 6 campionati brasiliani, cinque consecutive Taça Brasil, due edizioni della Copa Libertadores, altrettante della Coppa Intercontinentale, la prima edizione (su due disputate) della Supercoppa dei Campioni Intercontinentali e un Campionato NASL con i New York Cosmos negli Usa.
La rete che O Rey realizzò contro la Svezia nella finale del 1958 è considerata il più grande gol nella storia delle finali della Coppa del Mondo FIFA.
Pelè detiene il record di reti realizzate in carriera, 1281 in 1363 partite, mentre in gare ufficiali ha messo a segno 757 reti in 816 incontri con una media realizzativa pari a 0,93 gol a gara. Fa parte della National Soccer Hall of Fame ed è stato inserito dal settimanale statunitense Time nel “TIME 100 Heroes & Icons” del XX secolo. È stato dichiarato “Tesoro nazionale” e “Patrimonio storico-sportivo dell’umanità”.
E’ il Calciatore del Secolo per la FIFA, per il Comitato Olimpico Internazionale e per l’International Federation of Football History & Statistics (IFFHS) e Pallone d’oro FIFA del secolo, ha poi ricevuto anche il Pallone d’oro FIFA onorario.
Centrocampista o attaccante a seconda dell’occasione (con il calcio di oggi sarebbe un trequartista con licenza di fare gol), senza retorica si può dire che Pelè ha scritto pagine di storia dagli anni ’50 agli anni ’70, fino al ritiro arrivato nel 1977.
Nel 1992 è stato nominato ambasciatore delle Nazioni Unite per l’ecologia e l’ambiente e nel giugno 1994 Goodwill Ambassador dall’Unesco. Nel 1995 il presidente brasiliano Cardoso lo ha nominato ministro straordinario per lo Sport. In quel periodo Pelé ha proposto una legge per ridurre la corruzione nel calcio brasiliano, nota per l’appunto con il nome di “Legge Pelé”, carica ricoperta fino alle dimissioni dell’aprile del 1998. Ambasciatore per il calcio della Fifa e membro del Football Committee, Pelé è stato scelto per effettuare i sorteggi delle qualificazioni ai Mondiali 2002 in Giappone e Corea del Sud e come ospite all’inaugurazione dei Mondiali 2006.
Anche fuori dal campo, Pelè è stato un esempio positivo, il volto ‘pulito’ che ha usato la sua popolarità per dedicarsi al sociale e ai valori importanti, impegnandosi in campagne per l’emergenza fame nel mondo e i problemi dell’infanzia. È stato presente con la sua Fondazione Pelegacy, in quasi tutti i Paesi del mondo, promuovendo cause di beneficenza per venire in aiuto delle comunità più povere del pianeta.
Oggi, il giorno in cui il mondo del calcio piange la scomparsa del suo mito, non posso non pensare, e ricordare, le parole di un grande professionista, Mario Sconcerti, scomparso lo scorso 17 novembre (un’altra grande perdita per il mondo del giornalismo italiano), che tanto amava Pelè.
Lo amava così come si evince da un bellissimo articolo pubblicato non molto tempo fa da Sconcerti sul Corriere della Sera in cui, a proposito del sempre acceso dibattito su chi sia stato il migliore in assoluto tra Pelè e Diego Armando Maradona, l’asso del calcio argentino, afferma:
“Per definire la storia di Pelè sul campo bisogna evitare di paragonarlo a Maradona. Erano due giocatori diversi, unici, le cui qualità a confronto sono sempre state soltanto opinioni. Erano un tesoro inestimabile, tra loro potevi scegliere ad occhi chiusi, non sbagliavi mai, eri pronto per vincere. Pelé ha avuto un riconoscimento in più: è stato il calcio a scegliere lui. È stato premiato miglior calciatore del secolo dalla Fifa, dal Comitato Olimpico vero limite di Pelé è stato il tempo. Pelé aveva un capriccio, quasi una nostalgia: non amava il suo nome Pelé. Amava essere chiamato col nome che gli aveva dato suo padre, Edson, Edison, come l’inventore della lampadina …
“Diceva Pelé che quando fosse venuta l’ora di presentarsi al buon Dio, avrebbe chiesto di essere trattato in paradiso come era stato trattato sulla Terra. Perché Pelé ha avuto una vita lunga e felice. E quando non lo era, sorrideva comunque perché quello voleva sembrare, il simbolo tranquillo, gioioso, del calcio in Sud America e nel mondo. Più Maradona si accostava alla parte oscura, più lui si vestiva da Migliore. Era il suo ultimo modo per rimanere unico. Ha avuto tante donne, tanti figli anche lui ma trattenendoli, spargendo sempre parole di pace …
… Il vero limite di Pelé è stato il tempo. Ha giocato in anni in cui la comunicazione era lenta, la televisione alle prime ore. Noi riusciamo a sentire nostro solo quello che vediamo. Pelé non lo abbiamo davvero mai visto. Era un modo di dire, mi sembri Pelé. Ma non capivamo cosa stavamo dicendo. Pelé usciva dal Brasile solo per lunghe tournée in giro per il mondo, come un’opera d’arte da mostrare e poi subito impacchettare e riportare a casa. La gente accorreva, allargava ogni giorno la leggenda. Voleva far parte del miracolo. Una volta in Colombia fu espulso, ma il pubblico si rivoltò contro l’arbitro, minacciò seriamente di invadere il campo. Alla fine, Pelé tornò in campo e fu espulso l’arbitro“
Eppure, malgrado il limite del tempo, Pelè è stato molto più di un calciatore. È stato anche attore. Come non ricordarlo, a fianco di Sylvester Stallone in ‘Fuga per la vittoria’. Ricordate il rigore che parò Stallone? Durante le riprese provò a prenderglielo a Pelé, ma gli costò caro: “Ho provato a pararglielo, mi ha rotto un dito. Uno dei momenti più bassi della mia carriera“. Guai, però, a paragonarlo a Gesù Cristo; Pelé era molto religioso e spesso ripeteva con un sorriso: “Mi sembra blasfemo che io sia più conosciuto di Lui“.
Solo poche ore prima della notizia della sua morte, un emozionante omaggio per Pelè era andato in scena allo stadio Maracanà di Rio de Janeiro, in occasione della ‘Partita delle Stelle’ organizzata da Zico.
Al termine della partita proprio Zico ha dedicato la serata al suo idolo Pelè. “La sua figurina mi ha ispirato a diventare un calciatore. Tutti noi sentiamo l’orgoglio di stare nel Paese del più grande giocatore di ogni tempo. Lui è sempre stato una fonte di ispirazione per noi. Le mie preghiere per lui sono molto sentite”.
Tutti i partecipanti sono scesi in campo con una maglia in onore di Pelé, con la frase “Pelé Eterno“.
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