Amore cuore morte

La scrittura del narcisista letta ed interpretata dalla grafologa-giornalista Giovanna Serralori. che esamina quella dell’uxoricida Salvatore Parolisi (in foto)..

Giovanna Sellaroli

E tu dimmi: perché sei andata via? Così presto, poi. Che fretta c’era? Dimmi”. Sono le parole struggenti che Giuseppe “Nino” Sgarbi rivolge alla moglie Rina un anno dopo la scomparsa,  estrapolate dal libro  “Lei mi parla ancora. Memorie edite e inedite di un farmacista” di Giuseppe Sgarbi, La nave di Teseo.

Pubblicato cinque anni fa, il volume esce nuovamente per La Nave di Teseo; è un romanzo-elegia, dai sentimenti profondi e delicati, che ha ispirato il film omonimo di Pupi Avati, in prima visione su Sky proprio in questi giorni.

L’amore di Giuseppe Sgarbi per la donna della sua vita, oltre sessant’anni di matrimonio, madre dei suoi due figli, è stato un amore possente, denso di significato, profondità, valore e bellezza che viene cantato in una  “prosa piana, percorsa da echi e risonanze come ogni classicità.” (Claudio Magris).

È un amore di quelli che non si trovano più, di quelli “per sempre”,  di quelli fuori dal tempo.

Ed è un amore dissonante e contrastante con i nostri tempi, anche alla vigilia di San Valentino, l’anacronistica festa degli innamorati tutta amore, cuore e affari.

Un amore, ahimè, fuori dalla realtà, stando alla cronaca di questi giorni: tre donne uccise nelle ultime 24 ore dai loro mariti o compagni, assassinate brutalmente non da persone avvezze al crimine, non da assassini qualunque, ma da chi le ha volute spose, compagne e madri.

Piera, Ilenia e Luljeta i loro nomi, solo per ricordare le donne ammazzate in queste ultime ore; e l’aggressione brutale di oggi a Varcaturo, nel napoletano, dove un quarantaquattrenne, ha picchiato selvaggiamente la moglie. E come non rammentare l’assassinio di Roberta Siragusa, una creatura di 17 anni, uccisa a Caccamo, Palermo, la notte tra sabato 23 e domenica 24 gennaio da Pietro Morreale,  il fidanzato.

Una strage infinita i femminicidi, che secondo  il report  dell’Istituto di statistica, ammontano a ben 112 vittime nel 2020, il che significa più di due donne a settimana. Un’escalation di violenze che vedono vittime donne di ogni età, in nome dell’amore, o del troppo amore, o del “raptus di gelosia” (che raptus non è),  e che i lunghi mesi di convivenza forzata e di chiusure imposte dalla pandemia, hanno esacerbato.

Un altro dato che assolutamente deve preoccupare, e la cui lettura non può essere disgiunta dal dato relativo ai femminicidi, riguarda quello diffuso recentemente sempre dell’ISTAT: su 101mila posti di lavoro persi a dicembre, 99mila riguardano le donne.

Che succede?  Non esistono più le famiglie di una volta?

E no, non è un luogo comune, non è come dire “non esistono più le mezze stagioni”! La questione è molto più seria.

È un terreno melmoso il tema della famiglia “tradizionale” perno della nostra società su cui fondiamo tutto: finché gli uomini avranno posizioni migliori e le donne saranno economicamente più fragili, prevarrà il dominio maschile sulla dipendenza femminile.

Ma so bene che non è solo questo, le dinamiche familiari e interpersonali sono molto più complicate; certamente non possiamo pensare che esista per tutti la famiglia del “Mulino Bianco”, la famiglia idilliaca dove i ruoli sono ben definiti e favolistici. Lo sappiamo, la realtà è molto più articolata e complessa  e la vita spesso può essere feroce.  

Ma esistono dei principi, dei punti fermi e imprescindibili.

Il lavoro femminile, l’indipendenza economica, la parità di genere rappresentano le priorità strategiche per uscire dalla violenza domestica; quella di non disporre di denari propri da spendere o risparmiare liberamente è già una forma di violenza, ed è più diffusa di quanto si pensi. Tra i soprusi considerati dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione della violenza di genere a cui l’Italia aderisce dal 2012, rientra infatti quello della dipendenza economica.

E poi esistono le persone. E il genere maschile. E il tema complicato e doloroso della violenza maschile.

La psicologia sempre più spesso si è occupata del fenomeno della “fragilità” dell’uomo moderno, di come oggi il maschio sia cambiato rispetto al passato, di come sia diventato sempre più ostaggio dell’ansia da prestazione, più preso dal successo professionale, sempre più narciso, insomma sempre più portato ad “andare in crisi”.

Lasciando da parte le speculazioni psicologiche, di certo i problemi sorgono quando ci si ritrova a doversi confrontare con una persona dal carattere narcisista spinto, una psicopatologia in continuo aumento soprattutto nel sesso maschile. Egocentrismo, vanità e manipolazione sono i tratti salienti del narcisista che nel profondo è in realtà insoddisfatto di se stesso. Ama circondarsi di “persone specchio” e non tollera di essere contraddetto. Ma, molto più semplicemente, il narcisista per sua natura, ha necessità di  tenere tutto sotto controllo, non tollera e non sa gestire le frustrazioni al punto che, quando una situazione gli diventa intollerabile, non controlla più i freni inibitori. Molti dei cosiddetti delitti passionali (delitto passionale: un ossimoro intollerabile), per il narcisista maligno, rappresentano l’unico modo per evitare la minaccia della perdita, per continuare a mantenere un controllo sulla donna e per ridurla a oggetto di possesso.

Una disregolazione affettiva quella del narcisista maligno improntata all’aggressività, che lo studio e l’osservazione grafologica delinea in tutte le sue sfumature.

Come scrive il narcisista?

I segni grafologici che possono emergere dalla scrittura del soggetto narcisista in generale, che non presenti psicopatologie specifiche, si ricollegano a tendenze egoistiche ed egocentriche e a un forte narcisismo mentitore, che in grafologia si traducono nel tracciato in curva, dimensione grande o molto grande, scrittura inclinata verso la destra del foglio, confusione e gesti captativi dell’attenzione, cioè ganci e ricci.

Fra i ricci, i gesti grafici tracciati in maniera spontanea: tratti finali, occhielli, asole, cerchiolini, forme svolazzanti,  emergono in particolare quelli di vanità, nascondimento, soggettivismo e spesso di spavalderia. Questi soggetti provano un gusto particolare a farsi beffe degli altri e dell’autorità in generale e si sentono sicuri di sé con una certa supponenza. Pieno di sé, anche megalomane, il narcisista spesso presenta una scrittura solenne, grande, pomposa a evidenziare il senso di onnipotenza che lo alberga.

LA GRAFIA DI SALVATORE PAROLISI

Salvatore Parolisi è stato condannato in via definitiva per l’omicidio della giovane moglie Melania Rea, originaria di Somma Vesuviana, madre della loro unica figlia; il cadavere della donna è stato ritrovato nel boschetto delle Casermette a Ripe di Civitella il 20 aprile 2011.

L’ex caporalmaggiore dell’Esercito (degradato dopo la sentenza di Cassazione) sta scontando 20 anni di condanna; lo scorso giugno si è avuta notizia che  potrà chiedere permessi premio e uscire dal carcere milanese di Bollate, dove sta scontando la pena per l’omicidio della moglie. 

Una scrittura fortemente ambivalente quella che emerge dal tracciato grafico, caratterizzata da segni grafici primari, che denotano una immaturità ferma all’età adolescenziale.

I segni di aggressività che si evidenziano in particolare nei lacci della lettera T, parlano di una persona che ha accumulato una rabbia interiore repressa, una frustrazione che lo induce a  offrire un’immagine di sé impeccabile. Aggressivo verso chi osa mettere in luce le debolezze nascoste nel profondo, lo scrivente ha un IO traballante, che si fa ipertrofico e agguerrito.  

È collerico e astioso; tiene al suo status che considera un privilegio, è fortemente attaccato alla sua immagine sociale, conquistata malgrado le insicurezze e i suoi sentimenti di inferiorità. Una grafia a tratti “pomposa”, che riflette bene il culto della propria personalità, il narcisismo, il senso di onnipotenza di chi scrive.  

Si specchia nella sua immagine sociale, ostentato negli atteggiamenti, accrescendo quel narcisismo che lo riempie di sé e lo tranquillizza dalle fragilità interiori, in una sorta di delirio di onnipotenza di chi vuole ricevere molto, ma non è disposto a dare pressoché niente.

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